Milano

Il dolore è la nostra rivoluzione

10 Maggio 2017

Massimo ha 30 anni. È  diventato padre da poco. E alle spalle ha una vita burrascosa. Non ne parla volentieri ma ha la forza di chi è  stato all’inferno e da lì  ha fatto ritorno alla vita normale. E considera tutto questo non solo un successo. Di più: un riscatto. Sociale. Morale. Personale. Oggi lavora in una cooperativa alimentare  (“ma nel mio gruppo ci sono tante persone e sappiamo fare tutto: gli imbianchini, gli operai. Oggi ci occupiamo con la nostra azienda di reperire ristoranti che abbiano bisogno soprattutto di frutta e verdura”) ma soprattutto è  un uomo risolto. Fiero. E prima di ogni altra cosa è  uno cui non sfugge chi ha paura. “Sentivo la mia è per questo ero diventato un bullo. Poi è  arrivata la cocaina. La morte bianca. Oggi quando riesco ad aiutare un giovane che capisco esserci finito nel mezzo, so che non solo sto salvando lui ma forse mille altre persone”.

Massimo porta con sé  il senso della vita. Fa parte del gruppo della trasgressione del carcere di Opera. Un gruppo voluto e creato oltre vent’anni fa dal prof Angelo Aparo. Questi ragazzi si confrontano sul senso della loro vita. Sull’amore che è  loro mancato. Massimo lo incontro in uno di quegli eventi in cui ci dovrebbero essere tutti i giornali e le tv e le radio del nostro Paese. E invece non c’è  un cazzo di giornalista, a parte il sottoscritto. Il gruppo della Trasgressione ha “cooptato” al suo interno studenti universitari e con loro si confronta. Ieri sera, come in molte altre occasioni, e nel caso di specie era la settima volta, il gruppo fa visita a delle scuole con cui instaura una progressione d’incontri con gli studenti . Ieri sera al Pia Marta di Crescenzago si è  celebrata, con una cena, l’epilogo di un rapporto cominciato tra il gruppo della trasgressione e gli studenti. Massimo, lo capisci guardandolo e ascoltandolo, ha un ruolo. Un ruolo guida. E di sé  parla con gioia. Con orgoglio. Perché “il mio riscatto diventa il riscatto di altri ragazzi che si trovano nelle condizioni in cui io mi trovavo prima di conoscere il gruppo della trasgressione”. Da allora la sua vita è  cambiata. Ho ancora qualcuno che, con il comportamento assunto in passato, si è sentito tradito. E voglio fargli capire che il tempo mi ha cambiato e che oggi può fidarsi di me”.

Dopo Massimo incontro Noemi. Lei è  una delle ragazze del gruppo della trasgressione. Una studentessa che si è unita al gruppo. È  strano vedere come delle ragazze che dalla vita hanno avuto molto, e prima di tutto una famiglia che le ama, siano così unite ai detenuti che hanno conosciuto. Come se tra loro fosse scattato un meccanismo di osmosi e di protezione reciproca. C’è amicizia e complicità. Noemi mi spiega in cosa consistano questi processi di avvicinamento. Lo fa con il sorriso ma anche con la ferma determinazione di chi si è  messa accanto ai detenuti e non al di sopra di loro, per giudicarli. Ne è  nata una alchimia interessante. Una  visione fuori dall’ordinario. Lasciando la sala al termine della serata ho, nitida, la sensazione che lo Stato siamo noi. E sappiamo essere un gran bello Stato. Che ha nomi e cognomi.

Il direttore del Carcere di Opera Giacinto Siciliano per cominciare.

Il professor  Angelo Aparo che ha cominciato a lavorare a progetti di recupero nel 1979 (“e allora quando uscivo dal carcere mi guardavo le spalle, perché  dentro c’erano molti brigatisti”) che insiste per far conoscere il metodo di lavoro (” ne parleremo Dott. Rigano, ne parleremo….)  e poi ancora i volontari e chi queste realtà  le fa conoscere.

Massimo Moscatiello

Noemi mi racconta cosa significa diventare parte del gruppo della trasgressione. E soprattutto spiega cosa significa per i detenuti che attraverso questo percorso sono diventati altro da quello che erano. Diventando la parte migliore di sé stessi. Padri, di sé  stessi

 

 

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