Giustizia
Il decreto Caivano a Milano:“Nella migliore delle ipotesi, non servirà a niente”
A un mese dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del c.d. “decreto Caivano”, e alla luce delle prime, necessarie, considerazioni a proposito della sua “necessità e urgenza”, a commentare insieme a noi gli effetti del provvedimento sull’ordinamento milanese è l’avvocato Niccolò Vecchioni, penalista al foro di Milano, da anni al lavoro su procedimenti penali relativi a reati commessi da minori in materia di spaccio, detenzione di stupefacenti e armi – processi che l’hanno visto difensore, tra l’altro, di diversi trapper piuttosto conosciuti (Baby Gang, Simba La Rue e Drefgold per citarne alcuni).
Lei da anni si occupa di procedimenti a carico di giovani coinvolti in reati in materia di stupefacenti, spaccio, risse e detenzione di armi nel foro di Milano. Ha già visto, o almeno sentito parlare, di qualche caso di applicazione del decreto Caivano nel milanese?
“A dire il vero, no. Ne’ io ne’ nessuno dei miei colleghi, che io sappia, si è già trovato a che fare con l’applicazione del decreto Caivano davanti al Tribunale dei Minori di Milano. E la cosa, del resto, non mi stupisce: come è sembrato palese fin dal momento della sua approvazione, il decreto Caivano non è un buono strumento di contrasto alla criminalità minorile. Come è stato detto anche da altri miei colleghi (si è espressa in maniera molto critica sul decreto Caivano, con un comunicato di pochi giorni fa, la Camera Penale di Milano), infatti, si tratta di un provvedimento che, facendo leva sul suo carattere presupposto “emergenziale”, pone in essere tutta una serie di misure che, oltre a essere palesemente in contrasto con i principi dell’ordinamento minorile, si rivelano sostanzialmente inefficaci in termini di prevenzione della criminalità e, di conseguenza, poco utili in termini di benefici per la sicurezza pubblica.”
In effetti, è proprio per questo suo carattere c.d. “emergenziale” che ci siamo proposti di indagare le sue prime conseguenze già a un mese dall’approvazione. Se si fosse trattato davvero di un’emergenza nazionale, il decreto avrebbe già dovuto portare alcune conseguenze, no? Tanto più, poi, se consideriamo l’area di Milano – che rappresenta una buona cartina al tornasole in materia di disagio e diffusione della criminalità giovanile.
Il punto è che, come, anche qui, era palese, non esiste nessuna emergenza nazionale. O meglio, forse, in alcune aree un problema legato alla criminalità e al disagio giovanile c’è, ma questo non è certo il caso di Milano. Poi, è un dato di fatto che, negli ultimi anni, il numero di minorenni negli IPM del milanese, come probabilmente in tutta Italia, è aumentato, ed è vero che molte strutture penitenziarie che ospitano minori sono in una situazione di sovraffollamento sempre più cronico. Questi dati, però, sono frutto di una situazione costante e protratta nel tempo, non certo di un’esplosione della criminalità giovanile che, al contrario, sembra crescere in proporzione alla percentuale della popolazione italiana e non che vive in condizioni di disagio e – soprattutto – estrema povertà. Poi, bisogna considerare che, se ci sono più minori coinvolti in procedimenti penali, è anche perché ci sono più misure in grado di incriminarne la condotta (si pensi ad esempio al c.d. “daspo Willy”, applicabile ai minori già dal governo Conte II): così, è ovvio che le strutture penali minorili che ci sono non siano più in grado di farsi carico di tutti i ragazzi ristretti, e si vada così a creare una situazione emergenziale. Ma si tratta, occorre specificare, di un’emergenza strutturale, provocata dall’inadeguatezza degli istituti che dovrebbero ospitare i ragazzi sottoposti a misure carcerarie, e – soprattutto – dalla totale mancanza di investimenti sulle strutture di rieducazione e riabilitazione del minore – strutture queste ancora oggi considerate una realtà totalmente marginale e a cui guardare con diffidenza, quando invece esse dovrebbero essere al centro del procedimento penale minorile – così come è previsto dalla Costituzione.
Quindi, di fatto, la “straordinaria necessità e urgenza” riportata nel decreto di approvare il prima possibile misure di contrasto alla criminalità minorile, applicabili in tutto il territorio italiano, non c’è. O almeno, di questa non c’è traccia nei tribunali milanesi.
Così sembrerebbe. Del resto, già nel momento dell’approvazione si sono mostrate moltissime perplessità a proposito della sua “urgenza”. Ricordiamoci da cosa nasce il decreto Caivano: il provvedimento è stato adottato all’indomani dei fatti del Parco Verde, che riguardavano lo stupro di due ragazzine da parte di un gruppo di giovani (non solo minorenni, peraltro). Questa ipotesi di reato, quella dello stupro intendo, rappresenta una fattispecie ben più grave rispetto a quelle normalmente ascrivibili alle c.d. “baby gang”, che il decreto Caivano si propone di colpire. Se si legge il provvedimento, poi, non si capisce perché in apertura si faccia riferimento proprio al caso del Parco Verde, mentre di fatto nelle misure si va a colpire condotte che hanno a che fare con stupefacenti e armi, – fattispecie di reato già previste e ampiamente regolati dal codice penale dei minori. Siamo davanti all’ennesimo caso di ipertrofia normativa che, per stare al passo con il dibattito politico, finisce per penalizzare il lavoro di giudici, investigatori, avvocati, magistrati e agenti di polizia. Il tutto, chiaramente, costando allo Stato tantissimi soldi.
Se casi di applicazione in tribunale per ora non se ne vedono, però, a un mese dalla pubblicazione forse possiamo ipotizzare in maniera più chiara quali potranno essere le sue conseguenze sul sistema penale minorile nella realtà di Milano – anche alla luce del fatto che, tra qualche giorno, il decreto Caivano verrà convertito in legge.
Dal momento in cui il decreto Caivano sarà convertito in legge, se ci chiediamo quali possibili conseguenze esso potrà avere sul sistema penale minorile (sempre ammesso che ne avrà, di conseguenze intendo), ci sono due possibili scenari che mi riesco a immaginare. Il primo riguarda, purtroppo, l’inevitabile aumento, vertiginoso, degli arresti in flagranza che, divenuti obbligatori, ora possono essere disposti dalla questura senza che il giudice si possa opporre. Questo porterà inesorabilmente ad un ulteriore sovraffollamento delle strutture carcerarie per minori dove, anche solo per un breve periodo, i ragazzi si troveranno rinchiusi per, presumibilmente, essere scarcerati in breve tempo – con le conseguenze in termini di recidiva che ci possiamo immaginare, vista anche la rinomata fama di carceri e IPM di “scuole di criminalità”. Senza considerare poi i costi che questa “parentesi cautelare”, che tiene occupati agenti, giudici e pm senza poi di fatto arrivare all’applicazione di nessuna misura, può comportare. Il secondo scenario che mi viene in mente, poi, è altrettanto problematico: spostando così drasticamente il baricentro della giustizia minorile dalla rieducazione alla carcerazione, si va inevitabilmente a danneggiare quei sistemi di riabilitazione dei minori che, pur essendo – lo ripetiamo – il punto attorno a cui ruota tutto il procedimento minorile (la cui funzione, bisogna ricordarlo, non è punire un ragazzino buttando via la chiave ma essere in grado di creare percorsi adeguati per il suo concreto reinserimento nella società e nel mercato del lavoro) sono a oggi gravemente penalizzati, dal punto di vista amministrativo ed economico in primis. E se questo è un problema ovunque, lo è in particolare a Milano, dove ci sono diversi ottimi esempi di realtà di rieducazione minorile – che tuttavia già si trovano in grosse difficoltà a causa della grave mancanza di fondi. Ecco, sono queste realtà che il decreto Caivano rischia di andare, ulteriormente, a colpire, svalutando completamente il loro, indispensabile, lavoro. Il tutto, chiaramente, a scapito di quei minori che, per una manciata di spinelli, vedono la possibilità di costruirsi un futuro “normale” sfumare sempre più lontano. Quindi, paradossalmente, quello in cui c’è da sperare – mi viene da dire – è che il decreto Caivano continui, nella migliore delle ipotesi, a rimanere soltanto questo: un provvedimento, uno dei tanti, adottato dal Governo di turno per fini esclusivamente politici – ossia, in altre parole, un provvedimento che, dal punto di vista del diritto penale, non serve e non servirà, sostanzialmente, a niente”.
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