Milano
Il Comitatismo eccitato che sfibra la Democrazia
‘Che cos’è il senso civico, Marinè? È pensare in proprio. Quest’è. Nel rispetto degli altri, ma in proprio. In questo senso, io non lo vedo così sviluppato, ‘sto senso civico, Marinè. L’appiattimento del pensiero autonomo sulle soglie dello zerbino di casa del nostro proprietario massimo ci ha un poco azzoppati”
Paolo Sorrentino, “Hanno tutti ragione”, Feltrinelli, Milano, 2010.
Mi capita spesso di riflettere, tra me e me, su quella che si definisce “partecipazione”. Non perché sia un raffinato pensatore, bensì perché alla partecipazione democratica ho sempre creduto, l’ho attuata promuovendo lotte locali e comitati e – facendo di mestiere il cooperatore – la ritengo un meccanismo fondamentale non solo per avere decisioni più condivise, ma anche persone più responsabili.
Quello che è accaduto ieri a Milano, ma in generale quello che ormai accade in quasi ogni piccolo o grande processo politico-decisionale, mi ha fatto pensare al fallimento di un certo modo di intendere questa “partecipazione”.
Gli scontri e le devastazioni sono l’opera di orde di criminali repressi che provano godimento a distruggere e devastare. Di questi se ne deve occupare la repressione e la cura. Si tratta di reietti che vanno puniti e rieducati.
Il mio ragionamento invece lo vorrei rivolgere a chi, pervicacemente, continua a credere che sfilare in cortei con bande, danze, buone intenzioni che si trovano a convivere con le costanti azioni violente di cui sopra, possa essere questa stessa un’opzione politica. Oppure che altrettanta azione politica possa essere quella di mettere in piedi – per ogni decisione non condivisa o non collimante con qualche privato interesse (spesso accade anche questa miseria, purtroppo) – un “comitato” che si oppone a qualcosa e rifiuta qualsiasi compromesso, perché per questa gente non esiste il compromesso, atto impuro, ma solo Verità: la loro.
A questi personaggi, che si pongono a guida di certi movimenti o contestazioni, capaci di dire quasi sempre solo “NO” a qualcosa, senza individuare soluzioni concrete che possano trovare consenso non solo in chi ha una visione del mondo simile alla loro, ma in fasce più ampie, che contestano la TAV o una pescheria sulla Darsena di Milano con la medesima foga, chiedo: siete consci del vostro fallimento? Siete consapevoli del fatto che con le vostre azioni velleitarie e settarie contribuite a impoverire quel processo partecipativo autentico che sta a base della Democrazia?
Questo perché, tornando a Milano e all’accaduto di ieri, quel che mi sono chiesto è stato: che senso aveva, nel pomeriggio del giorno in cui l’evento che si è contestato per anni veniva solennemente inaugurato, fare una parata che – di fatto – sanciva la sconfitta, in quella battaglia, su tutti i fronti (perché EXPO è -per fortuna – partito)? Perdonatemi, ma i cortei con le proposte si fanno – e si gestiscono, per la miseria – quando ci si vuole affermare con una soggettività politica in grado sia di elaborare proposte, sia di comprendere i meccanismi decisionali che si contestano, per riuscire a modificarli; nei tempi e nei modi che la democrazia rappresentativa riconosce. Fare una parata quando tutto è compiuto sembra una concessione a nostalgiche e spente ritualità di un ’68 che non c’è più.
La prova di questa incapacità dialogica e rancorosa l’ho avuta ieri sera; dopo che ho condiviso sulla mia bacheca Facebook le riflessioni di un amico, filosofo e giornalista da sempre militante in molte battaglie civiche, che criticava la manifestazione dei NoExpo, è intervenuta nel dibattito una sconosciuta attivista. Alle argomentazioni riportate la sua risposta è stata: “siete degli idioti” e “andate affanculo imbecilli”. Negazione di ogni confronto dialettico, insomma (e buoni spunti per una querela!).
In questo senso è chiaro che si fa il gioco della reazione. Di chi coglie tali occasioni per fare di tutta l’erba un fascio. Di chi, in fondo, vorrebbe un mondo “normalizzato”.
Ma chi crede davvero nella partecipazione non si arrende; né ai comitatisti nostalgici e oppsitivi, né ai cultori di una società omologata al pensiero dominante. Chi crede nella partecipazione autentica, nella democrazia, nel pensiero critico come elemento distintivo per costruire “cose” (città, politiche, processi, luoghi) migliori, nella mediazione degli interessi contrapposti e nell’ascolto continuerà a coltivare la cooperazione tra persone come forma civile di convivenza. E anche come fantastica forma d’impresa.
Ma questa è un’altra storia.
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