Cinema

Il cinema e Milano

20 Gennaio 2019

Il rapporto di Milano con il cinema (prima) e in generale con il media audiovisivo (dopo) è sempre stato intenso e profondo, seppur spesso un po’ sottovalutato.
Già meno di un anno dopo la prima proiezione dei Fratelli Lumiere a Parigi, nel capoluogo meneghino ci furono le prime rappresentazioni cinematografiche.
Nel 1909 Luca Comerio (che fu anche fotografo di corte dei Savoia), nella zona di Turro, costruì degli immensi stabilimenti cinematografici (in totale l’area occupata era di 22.000 mq.) che diedero impulso alla produzione della settima arte.
Successivamente (nel 1917) alla Bovisa furono edificati quelli dell’Armenia film, altra importante società di produzione.
Milano fu capitale del cinema prima di Roma, ma poi dal regime fu fondata Cinecittà e la produzione lasciò la città.
La mostra Milano e il cinema a Palazzo Morando
illustra come la storia della celluloide sia intrecciata con quella della città della Madonnina.

Dopo gli albori, in cui Milano era stata sia luogo di produzione sia di ambientazione, dal dopoguerra diventa il set che, a seconda del periodo, rifletterà quanto accadrà anche nella società italiana.
Una Milano povera, nei primi anni della ricostruzione e prima del boom, è quella di Miracolo a Milano che nel 1951 Vittorio De Sica venne a girare tra Lambrate e piazza del Duomo: la scena finale del volo con le scope, che segna il riscatto degli ultimi, è diventata iconica, tanto che ha certamente ispirato Steven Spielperg in E.T., quando i ragazzini volano con le loro biciclette.
Per arrivare, dieci anni più tardi, a Rocco e i suoi fratelli diretto da un regista che più Milanese non si può, Luchino Visconti. Siamo nel pre-eboom, la vicenda si svolge sullo sfondo della Milano operosa e lavoratrice (alla Bovisa).
Contemporaneamente nella città si affermano due nuove modalità di comunicazione visiva: la pubblicità e la documentazione della produzione industriale. Dalla prima nascono i cortometraggi per Carosello e i personaggi immortali come Calimero (dei fratelli Pagot) che prende il nome dalla chiesa di San Calimero dove uno dei fratelli si sposò; La Linea di Osvaldo Cavandoli e il Signor Rossi di Bruno Bozzetto; dalla seconda i lavori di documentazione, alfabetizzazione dell’attività industriale, come fece la Edison, per cui lavorò un altro regista milanese molto amato: Ermanno Olmi.

L’industria, la vita operaia, l’immigrazione e i temi sociali sono un altro filone di quegli anni, Milano così diventa la patria dei clichè, dell’opposizione tra come il Nord vede il Sud e viceversa. Basti pensare, in origine a Totò, Peppino e la Malafemmina e dopo a Romanzo popolare.
Milano diventa cupa, le immagini ci rimandano a una città caotica con la fuliggine che ricopre tutto e il Duomo che non è mai bianco, ma anche a una città che ha qualcosa da offrire: il lavoro e la possibilità di trovare una strada. Oppure, come nella Vita agra, la frustrazione e la voglia di far saltare il torracchione.
Ma Milano è anche la città dei banditi, dei poliziotteschi, degli inseguimenti e delle sparatorie, delle storie della malavita. La Banda Cavallero è la protagonista di Banditi a Milano, il film di Carlo Lizzani che racconta la storia -vera- della rapina di largo Zandonai e la scia di sangue e morte che la banda lasciò durante la sua fuga.

La comicità la si ritrova (e siamo alla fine degli settanta/inizio degli ottanta) con Pozzetto (stralunato così come lo era Dario Fo ne Lo Svitato) e tutta la banda Derby: Abatantuono, Boldi, Teocoli, Mauro di Francesco, Guido Nicheli.
Il terrunciello diventò un personaggio cult così come i due film che lo hanno santificato, I Fichissimi e Eccezzzziunale veramente.
Sono gli anni in cui sta per iniziare il riflusso
Artefici del rilancio di Milano sono i fratelli Vanzina (di Roma) che fanno emergere la generazione Derby già con Sapore di mare e Vacanze di Natale e con i film di Abatantuono per arrivare alla Milano da bere di Via Montenapoleone, Sotto il vestito niente e Yuppies
Diego è l’anello di congiunzione con Gabriele Salvatores che a Milano ambienta Kamikazen e Marrakech express in cui i protagonisti cercano una fuga dalla propria vita dopo il disincanto seguito alle lotte operaie e studentesche.
Maurizio Nichetti, e il suo sguardo surreale sono un’altra chiave di visione della città, che non è più sfondo ma diventa protagonista.

Il cinema (e la pubblicità) hanno dato conto della trasformazione della città da realtà industriale a capitale del terziario.
Milano ha cambiato pelle e oggi c’è il suo skyline con i grattacieli minimali nel design e affascinanti per chi viene da fuori, mentre prima c’erano le luci gialle e i suoi cortei. In ogni caso anche io, come Alberto Fortis, sono contento che ci sei.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.