Milano
Il caso del magistrato ubriaco in bici che fa giurisprudenza
Fa giurisprudenza la sentenza di condanna inflitta dalla Corte di Cassazione a un magistrato milanese sorpreso a guidare ubriaco la sua bicicletta. La Suprema Corte ha confermato a febbraio la pena a due mesi e venti giorni di arresto e a un’ammenda di 800 euro per il ciclista togato, verdetto che da giorni viene commentato sui principali siti specializzati in diritto.
Il reato di guida in stato di ebbrezza – questo è il cuore della pronuncia – può essere commesso anche sulle due ruote. Per la Corte “ciò che conta è l’effettiva idoneità del mezzo ad interferire con il regolare e sicuro andamento della circolazione stradale, con la conseguente creazione di un obiettivo e concreto pericolo per la sicurezza e l’integrità del pubblico degli utenti della strada”. Fermato e sottoposto all’etilometro che aveva accertato un tasso alcolemico pari a 1,97 grammi per litro, il magistrato ha provato in tutti i modi a convincere i colleghi ad annullare le precedenti condanne che gli erano state inflitte a Brescia nei primi due gradi di giudizio. Implacabili gli ‘ermellini’: non solo hanno confermato le sentenze, ma si sono rivelati molto severi nel distruggere tutti i motivi d’appello, a cominciare dalla “pretesa inapplicabilità della disciplina penalistica della guida in stato di ebbrezza alla conduzione di veicoli non motorizzati (e segnatamente della bicicletta)”. L’imputato aveva sostenuto di essere montato in sella alla bici “spinto dalla “necessità di sottrarsi al pericolo di una danno grave alla persona” perché aveva fretta di tornare a casa per curare una fastidiosa “cefalea a grappolo”. Un argomento definito dalla Cassazione “congetturale”. Respinta, infine, la richiesta del ricorrente di riconoscere la tenuità del fatto. Non si può dire che al povero magistrato, cui va la nostra umana simpatia, sia stato riservato un trattamento di favore. Magistrato mangia magistrato, a volte.
Manuela D’Alessandro
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