Milano
I padroni dell’Isola
Ho una coppia di amici che abitano in via Confalonieri, la strada che fa da didascalia alla nuova Milano intorno al bosco verticale. Un monolocale di proprietà di lei dai tempi della stecca meticcia, prima della riqualificazione wow. Davanti al balconcino sale un palazzone anonimo, a tranciare la vista sulla distesa verde con grattacieli e locali dove succedono le cose. Alle spalle, verso e dentro Lagosta, resiste il mercato del martedì e del sabato, a reclamare la sua anima popolare. Fine della paesaggistica urbana. E passiamo agli umani. Quel mercato è il suo regno. Lei vede e pesca la chicca nascosta. E accumula da indossare. Non ha genere. Gusto assoluto e improvviso. Vale tutto, e ci trova l’armonia. Ora ha deciso di eliminare. Alleggerire. Fare spazio. E forse rallentare questa libido. Fatto sta che chiama Penelope, le dice che ha due enormi sacconi di vestiti, se vuole andarseli a prendere, altrimenti li dà ai poveri (si dice così, sbrigativamente). Era già successo l’anno scorso, altri sacconi, e adesso è la camera di Penelope a straripare: i poveri si sono dovuti accontentare di poco. Al dunque: passo io, in macchina, in pausa pranzo, a prenderli. Posteggiare lì è impresa impossibile, ci accordiamo che la chiamo in prossimità, lei scende, mi passa il malloppo e vado.
Come sempre, arrivo prima. Mi fermo sul passo carrabile, davanti al mega cancello che nasconde i box del palazzone. Di fianco al silenzioso monolite che ospita la Casa della Memoria. Un minuto e lei arriva, con due carichi che fatica quasi a sollevare. Il tempo dei saluti, di metterli nel baule, e suona un clacson prolungato, da Croce Rossa. Una specie di spiderino, forse Ferrari, forse Jaguar, so che era rossa, e dentro c’è un viso compito, manageriale, che urla: “Questo è un passo carrabile! Questo è un passo carrabile!”
– Ma và! – ho risposto urlando il giusto, per superare la barriera dei suoi vetri sigillati. E lui risuona.
Vai, vai, Mauri, mi dice lei, ci sentiamo. Sento una crisi assassina, la testa vibra come Palla di lardo in Full Metal Jacket, mi escono gli sbuffi dal naso dell’emoticon, lei mi intima ancora di andare, e allora chiudo il portellone dietro, lo mando a fanculo, salgo in macchina, vado in retro, lo faccio passare. Lui sgasa un pezzettino, poi in corsia si rimette a velocità da crociera. Anche l’ultimo dei pirla avrebbe capito e atteso con sorriso: la mia era sosta di fortuna, ce ne saremmo andati al volo. Lo rimando a fanculo con un gesto, che spero veda dallo specchietto, e dimentico tutte le cose belle, che amo, di Milano. Perché un tizio così, senza storia, senza empatia col luogo, si sente padrone. E pure indignato.
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