Milano

I Giochi 2026 e noi boccaloni milanesi che abbiamo creduto a Sala

2 Agosto 2018

Eh sì, nel momento in cui noi milanesi fossimo stati chiamati dal Cio a esporre le nostre buone ragioni per vantare il diritto a un’Olimpiade invernale, oltre alla figaggine della Darsena ma che non c’entra un fico secco, sul tavolo avremmo sicuramente depositato – unico reperto ormai ingiallito dal tempo – questo videino reperibile su YouTube in cui il tortellone più straordinario della storia patria, ancora nell’Italia B, dà la paga a tutti i suoi compagni più celebrati e diventa quel giorno finalmente Alberto Tomba.

Il parallelo di Natale che disvela il genio sportivo del nostro va in scena proprio a Milano al Monte Stella, la nostra montagnetta di San Siro, è l’inverno del 1984 e già da qualche anno i cannoni spruzzano neve artificiale ad uso di sciatori più o meno professionisti. Era, quella, una poetica dell’impossibile (sciare a Milano), quasi quanto l’idea meravigliosa di restituire la pace dopo la guerra con la montagna inventata dall’urbanista Bottoni, qui Consonni lo celebra con il suo tocco:

 

Persino più sorprendente della reazione quasi sdegnata, persino sussiegosa, del sindaco Sala, è stato l’atteggiamento dei milanesi ai quali – evidentemente – i Giochi della neve a Milano dovevano sembrare la cosa più ovvia del mondo, pur non avendone, in città, la più pallida consuetudine. Ce ne siamo chiesti la ragione, e non ritrovandola in un sentimento prettamente sportivo, abbiamo dovuto battere qualche altra angolazione per ritrovarne il senso. Come prima ipotesi ci è balzata alla mente Torino, altra metropoli dove materialmente non si scia e pensando a Torino olimpica, nei migliori salotti di Milano ci si dev’essere immediatamente interrogati sul perché di una differenza così grande, ai limiti della discriminazione. Se questo è davvero successo, sarebbe facile concludere che una certa memoria storica, che comprende tratto culturale, abitudini, conformità dei territori, ha perso nel tempo quasi tutto il suo valore. Perché è abbastanza evidente che la prossimità (culturale e storica) di Torino con la montagna non ha parentela con quella che Milano non ha (mai) avuto.

Altro motivo possibile del disdoro meneghino, questo forse un attimo più credibile, è l’idea che adesso nello sport, a tutti i livelli , soprattutto a quelli più alti, si vende un brand. In questa visione, vediamo bene anche la zampa del sindaco. Materialmente: importa nulla se a Milano-città non succederà letteralmente una mazza nel corso dei Giochi invernali 2026, importa che Milano tiri il gruppo degli investimenti, che sia collettore di mille istanze economico-sociali, insomma un’occasione irripetibile per una metropoli. È davvero così? Anche a dispetto della ridicolezza di immaginare le funivie sopra Milano (perfette sì, ma senza Giochi), nella nostra città nulla, ma proprio nulla, ha mai fatto pensare alle discipline sciistiche, nulla si intercetta sugli sfondi della città, a meno che non si voglia pensare a quelle giornate speciali di “quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello”. Del resto, il contrappasso più crudele è arrivato proprio dal disvelamento del piano segreto Coni, quelle trecento e passa pagine in cui ci si smezzano gare e competenze. Ecco, non ce ne vorranno i nostri concittadini, ma Milano città, com’era ampiamente prevedibile, dagli organismi sportivi del Coni è stata persino ridicolizzata e offesa. “E mo’ che gli facciamo fare a questi?”, dev’essere stato lo spregevolissimo tono romanocentrico. Alla fine, solo quattro gare e, onestamente, ne avremmo fatto volentieri a meno: curling (che comunque adesso fa anche un po’ figo), hockey femminile, e due di pattinaggio (figure skating e short track).

Il paradosso di tutto questo è che Beppe Sala ha avuto buon gioco a offendersi. Dopo aver mandato la barca meneghina sugli scogli (perchè a Milano c’è anche il mare, non lo sapevate?), ora si smarca parlando di governance e altre astrusità. E i cittadini gli vanno dietro, gli urlano adoranti “bravo Beppe, gliel’hai cantate a quelli di Roma!”, “chi si credono di essere, noi siamo Milano!”, e un sacco d’altre autocertificazioni muscolari. Beppe vi ha fregati, cari milanesi. Vi ha fatto cadere in un tranello tra l’economico e il sentimentale, non ha usato la poetica dell’impossibile, come già fece Bottoni per la montagnetta, che sarebbe stata una scelta felice e visionaria, non è partito dalla candida consapevolezza che a Milano, l’immaginazione al potere – cioè i Giochi invernali – sarebbe stata una meravigliosa sfida culturale. No. L’ha messa solo sul comando, sul fatto che se Milano scende in campo, scende per vincere, e fin qui evviva, ma non su tutto, non sulle cose dove imparare dagli altri, dove guardare anche con quel minimo di ansia, di religioso rispetto perché è “una prima volta”.

Le Olimpiadi della neve a Milano città sarebbero state come veder l’erba dalla parte delle radici. E invece abbiamo scelto di dominarle dall’alto di una montagna che non c’è.

Ps. Sin qui Milano, Sala, noi milanesi. Si eviteranno troppe parole per quel nulla incapsulato di Malagò, che ha prodotto un pateracchio, quando per i Giochi si doveva puntare da subito su Cortina. Un posto semplicemente straordinario, dove le montagne si vedono e si sentono. Dove sanno tutto e tutto fila. Non erano questi i requisiti per la candidatura alle Olimpiadi della neve?

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