Clima

Green&Blue: il festival del gruppo Gedi dedicato all’Ambiente

7 Giugno 2022

I giorni intorno a questo 5 giugno – giornata mondiale dell’ambiente, cinquantesimo anniversario della prima Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente – sono stati densi di eventi a Milano: dal basso, concerti e incontri in Vettabbia; dal mondo dell’attivismo il Klimatfest al Parco Nord; dal mondo istituzionale e dei media mainstream Green&Blue ai Bagni Misteriosi del Teatro Franco Parenti: una due giorni organizzata dal gruppo Gedi (Green&Blue è l’inserto digitale e cartaceo di Gedi dedicato al tema dell’ambiente in relazione con economia, scienza e società) e patrocinata dal Comune di Milano con concerti, presentazioni di libri e talk sulle questioni legate alla transizione energetica e al cambiamento climatico.

La domenica giorno di riposo: musica e interventi sul palco della piscina (ai Bagni Misteriosi del teatro) e durante il giorno esposizione di un’installazione di Domino Artists &Derek Kroops per la campagna #Cambiagesto promossa da Philip Morris per riflettere sull’inquinamento da mozziconi dispersi nell’ambiente.

Lunedì come ovvio a Milano si comincia presto a lavorare invece: dalle 8.45 con l’opening di Sala insieme a Frans Timmermans (Vicepresidente Commissione europea con delega al clima) e Svitlana Krakovska (climatologa e referente IPCC per l’Ucraina) fino agli interventi di Francesca Michielin, Carlo Petrini, il velista Giovanni Soldini e il presidente di Music Innovation Hub Andrea Rapaccini e la musica di Elisa, sempre sul palco in piscina, all’ora dell’aperitivo.

In tutta la giornata un grande spazio va, ovviamente, al discorso sulle rinnovabili. Nicola Lanzetta di Enel e Renato Mazzoncini di A2A, nella talk dedicata alle “Aziende”, ma più tardi anche le Associazioni (Legambiente, Greenpeace, WWF, ASviS fra le altre) sottolineano la centralità di una pianificazione statale coraggiosa, lungimirante e attenta. Se l’energia fossile prevedeva pochi attori e quindi gestioni molto centralizzate (pensiamo a Eni), l’energia rinnovabile lascia spazio a tantissime aziende e implica che siano le sovraintendenze locali, le singole regioni e comuni a decidere cosa e dove installare a seconda delle specificità del territorio. Così spiega Mazzonicini: “La pianificazione è fondamentale perché ne dipende il costo che l’energia avrà nel futuro. Per questo, fra le altre cose, bisogno trovare anche il giusto equilibrio fra salvaguardia del paesaggio e appunto costo energia. Molti attori non sono ancora non consapevoli dell’impatto economico delle scelte. A volte ci si intestardisce sul rispetto del paesaggio, ma spesso mettere delle pale eoliche in un punto o in un altro cambia radicalmente energia prodotta e dunque costi. E il concetto di bellezza mi sembra molto relativo: vanno bene le montagne sventrate e le macchine ma non i pannelli solari?
Nicola Lanzetta racconta invece che I pannelli in molte zone addirittura bonificherebbero i terreni e che se tutti i capannoni del Veneto fossero ricoperti di fotovoltaico farebbero metà del lavoro necessario per la regione.
Energia rinnovabile vuol dire creazione di comunità energetiche, economia circolare in cui i rifiuti non riciclati biodegradabili vengono trasformati in bio-metano da fornire a sua volta all’industria agroalimentare. Si può andare verso un sistema distribuito, in cui ognuno può essere produttore e consumatore. Per farlo serve, appunto, pianificazione e un grande sostegno agli enti locali perché ci vogliono professionalità nuove, giovani, adeguate, che sappiano gestire il cambiamento.

Questa è la visione lucida e in qualche modo entusiasta di aziende non certo piccole come Enel e A2A: si parla di decentralizzazione, di costi, di necessità di fare questo cambiamento al più presto e al meglio perché già non convengono più i combustibili fossili così come non conviene l’uranio, come spiega più tardi il sociologo e Presidente della Foundation on Economic Jeremy Rifkin: “Rispetto a pochi anni fa i costi di solare e eolico ora sono molto più bassi. Il nucleare invece costa tantissimo, in Francia si usa il 40% dell’acqua per raffreddare i reattori e ora c’è poca acqua e in Francia Meridionale bisogna addirittura fermare gli impianti. Sono infrastrutture che hanno già perso valore, sono difficilissime da gestire. La stessa cosa vale per le raffinerie. Bisognerebbe piuttosto riadattare i tubi per il gas e usarli per trasportare l’idrogeno verde che sfrutta il solare e l’eolico. Non c’è motivo di tornare indietro se non per interessi politici”.

È proprio la politica a fare la figura peggiore. O quanto meno il ministro Cingolani, intervistato da Molinari, che a parte un giusto discorso iniziale sulla necessità, anche, di ridurre i consumi – altrimenti le rinnovabili vanno ad aggiungersi e non a sostituirsi alle energie fossili – lascia trasparire bassissime ambizioni. Parla delle nuove forniture di gas (da Paese non sempre molto più democratici della Russia) e spiega che si rimpiazzeranno 30 miliardi di m3 di gas con 25 miliardi di m3, perché gli altri 5 saranno garantiti dalle rinnovabili. Solo? Cifani di Legambiente più tardi farà notare come persino Confindustria abbia fatto proposte più coraggiose. Ma non solo: parla della lobby “rinovabilisti”, definendoli “a volte indifendibili”, della difficoltà e dei tempi lunghi che servono a costruire centrali di smistamento dell’energia rinnovabile ma non della velocità con cui invece a quanto pare si possono costruire i rigassificatori.

Dalla talk successiva, dedicata alle Associazioni, arrivano le critiche più severe a un atteggiamento “attendista e retrogrado” del governo e del ministro in particolare, all’assurda posizione difensiva nei confronti delle rinnovabili – proprio mentre  la Germania punta al 2035 per arrivare al 100% di di rinnovabili –, all’incapacità di cogliere quella che è anche un’occasione di sviluppo economico, all’inettitudine a dare un quadro di riferimento alle aziende che invece vogliono investire e prendere parte al cambiamento ma non sanno che direzione prendere perché il governo di direzioni non ne dà e forse non ne ha, se non appunto un generico attendismo e l’abitudine a “preferire” le politiche di Eni.

Per fortuna non tutta la politica se la cava così male, anzi. Il ministro Giovannini non ha l’aria invece di chi prende il cambiamento climatico sotto gamba, parla di piani di sicurezza per mettere in sicurezza la rete dei trasporti “per renderla resiliente a ondate di calore che possono piegare i binari; oppure in caso di grandi precipitazioni” di teconologia digitale che permetta di aumentare in sicurezza il traffico di treni: a questo, fra l’altro, dovrebbe servire il Pnrr. Auspica un rapporto di sostenibilità su ogni nuovo progetto, che prenda in considerazione l’impatto sia di emissioni che sulla biodiversità. Inoltre, siccome è consapevole del fatto che mentre si costruisce si aumentano le emissioni (e per accelerare il passaggio alle rinnovabili ci sarà molto da costruire in poco tempo)  nel frattempo andranno piantati molti più alberi per controbilanaciare e “anticipare i benefici futuri”. Del resto è un ministero “dei trasporti” che ora si chiama “delle infrastrutture e mobilità sostenibili”. Tratta anche la discussa e discutibile questione degli incentivi alle auto a benzina ma promette che gli incentivi dei prossimi anni saranno “adattivi” e seguiranno i cambiamenti in corso.

Un bilancio positivo, tutto sommato, quanto a intensità e lucidità degli interventi. Se qua e là qualcuno si limita a puntare al ribasso, o a fare un po’ di pubblicità alla propria azienda, ad auspicare un “grande aumento della produzione alimentare” mentre al Klimatfest si discuteva del problema dello spreco e, piuttosto, della cattiva gestione di questa già altissima produzione, i contenuti più incisivi si fanno spazio. Stefano Mancuso accusa la specie umana di provincialismo se cerca nella tecnologia un alleato migliore degli alberi per l’assorbimento di CO2 e poi ricorda l’impatto devastante dell’allevamento intensivo: “il 77% dello spazio agricolo viene usato per l’allevamento, e produce solo 27% del fabbisogno di calorie. Da 25% di terreno coltivato si ricava tutto il resto. Tutto questo è illogico e ha conseguenze irrimandabili”.

Ovviamente si è parlato anche di guerra, riprendendo l’intervento di Mattarella del 5 giugno, che ha sottolineato come il conflitto in Ucraina stia “provocando una conseguenza inevitabile sulla capacità di rispettare l’agenda degli impegni per contrastare il cambiamento climatico”. Ma per Jeremy Rifkin si tratta dell’ultima (speriamo) guerra per il controllo dei carburanti fossili : “Chi controlla i combustibili fossili controlla il mondo. Solare ed eolico invece non sono concentrati e saremo obbligati a condividere: ci sarà un ‘internet’ dell’elettricità potrà attraversare gli oceani, potremo usarla, immagazzinarla e condividerla, ci sarà una rete che collegherà tutto il mondo. Bisogna monitorare e creare infrastrutture giuste. I costi fissi sempre più bassi. Non c’è ragione di non procedere. Ci vuole solo volontà politica, molti sono legati al vecchio approccio, il primo ministro deve veramente guidare e coinvolgere, deve avere un ruolo di leadership, fare incontrare associazioni imprenditori, universitari, sindaci. Non va sprecata questa opportunità, non ce ne saranno altre.”

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