Milano
Fausto e Iaio: 40 anni dopo Milano non dimentica
Il 16 marzo 1978 fu rapito Aldo Moro dopo lo sterminio della sua scorta da parte di un commando delle Brigate Rosse. Un colpo durissimo allo stato, furono ore drammatiche di incertezza e di paura. Le scuole e le fabbriche si svuotarono e le piazze si riempirono per dire no al terrorismo.
Il 18 marzo 1978, due giorni dopo, a Milano furono assassinati, in circostanze mai chiarite, due militanti del Centro Sociale Leoncavallo: Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci (Iaio). I due ragazzi stavano conducendo un’inchiesta sullo spaccio di droga nella zona, raccogliendo testimonianze e registrando interviste.
L’omicidio colpì molto la città, una città provata dai continui scontri tra destra e sinistra con molte vite umane andate perdute. Meno di un anno prima, in via De Amicis (dove morì in vicebrigadiere Antonio Custra) fu scattata la famosa foto del ragazzo con il passamontagna che a, gambe divaricate, sparava.
A destare stupore fu il fatto che nel capoluogo lombardo, in quei giorni molto controllato dalle forze dell’ordine, si potesse consumare un delitto con quelle modalità.
I due giovani furono uccisi, con otto colpi di pistola, in via Mancinelli; da chi non si è mai saputo. Furono diversi i gruppi neofascisti a rivendicare le uccisioni ma, dagli inquirenti, a essere ritenuta la rivendicazione più attendibile fu quella dei Nar di Fioravanti e Carminati. Un legame stretto quello tra la destra e i servizi segreti, che però la magistratura non riuscì a dimostrare sino in fondo.
La notizia dell’omicidio si diffuse nella notte, allora non c’erano i social c’era, però, il tam tam, metropolitano e tribale allo stesso tempo, delle radio libere. E’ radio Popolare a confermare la notizia, la cronaca fu lunga e tutti l’ascoltavano, questi sono i racconti dell’epoca.
Il sequestro Moro si interseca con questa triste e brutta storia in almeno due punti: le Brigate Rosse citano i due giovani nel comunicato n. 2 sul rapimento del Presidente della DC (fatto rinvenire dopo il loro funerale) concludendolo con queste parole: “Onore ai compagni Lorenzo Jannucci e Fausto Tinelli, assassinati dai sicari del regime”.
Il Centro Sociale, come racconta Stefano Jesurum nel suo articolo del 28 marzo 1978 apparso su Repubblica, respinsero con forza e con sdegno “l’uso strumentale del nome di Fausto e Iaio da parte di un gruppo che ha scelto di inserirsi organicamente nella strategia della tensione”. Così è scritto su un foglietto appeso al portone d’ingresso del “Leoncavallo””. Il secondo, riguarda la distanza, meno di dieci metri, tra la stanza di Fausto e il covo delle Brigate Rosse di via Montenevoso, scoperto nell’ottobre 78. Nell’appartamento furono ritrovati documenti relativi al rapimento come i “verbali” dell’interrogatorio e delle lettere scritte da Moro stesso.
Si è detto che Fausto stava investigando in zona, e sua madre sostenne che aveva visto strani movimenti nella via durante quei quei mesi e che suo figlio fu ucciso dai servizi per questa sua attività.
All’epoca avevo dodici anni e oggi posso solo ricordare il clima di tensione di quegli anni e in quei giorni specifici.
Milano mantenne il suo sangue freddo e reagì con forza pacifica; ai funerali dei due giovani (cui si riferisce la foto di copertina) al Casoretto parteciparono oltre centomila persone.
Negli anni successivi al fatto, in occasione dell’anniversario, gli studenti organizzavano sempre un corteo per ricordarli e anche la prima Smemoranda (al tempo militante), quella che uscì proprio nel settembre 1978, dedicò un inserto ai due ragazzi.
Poi, velocemente, la città è cambiata, in poco tempo si è passati dai pugni chiusi ai paninari.
Ma una cosa è certa, come hanno scritto sia Pisapia – quando era sindaco – sia il suo successore Sala: Milano non dimentica, senza hashtag.
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