Milano
Fare impresa e morirne: cosa non è uno Stato
Simona Pedrazzini era un’imprenditrice d’ingegneria che lavorava con tutto il mondo e in particolare con Eni, Ansaldo e la protezione catodica di metanodotti, per evitare la corrosione dei tubi degli oleodotti o acquedotti, più noti come pipe- line. Attività interrotta a causa di una istanza di fallimento per aver saltato una rata di Tfr che ha prodotto un fallimento reale, dichiarato il mese successivo alla sua conclamazione per una cifra pari a soli 25.000 euro.
Una delle assurdità del sistema economico italiano che considera gli imprenditori come nemici dello Stato e non come imprese sociali. Simona Pedrazzini la conosco durante una lectio magistralis del Prof. Valerio Malvezzi a Bologna. Simona mi racconta del disagio umano che pervade chi, facendo impresa, arriva a veder minacciata non solo la propria indipendenza ma anche la propria libertà. Simona ha creato una pagina facebook, “Piccoli imprenditori e suicidi di Stato”, che intercetta il consenso di oltre 17 mila persone che vi hanno aderito. Una fila di uomini e donne che va da Milano a Bergamo costellata dell’ansia di persone che, nate per creare valore, si ritrovano oggi a vivere l’angoscia di aver voluto creare ricchezza. Dentro questa condizione si dipana la storia di Simona che si racconta e ci racconta come la vita possa rovesciarsi a volte in modo inatteso e crudele. Ci parla anche di Sergio Bramini l’uomo abbandonato e tradito dallo Stato con un credito di 3 milioni e un debito di un terzo che proprio lo Stato ha fatto fallire. Simona mi racconta del suicidio quotidiano targato made in Italy: un macellaio di Caserta si è sparato con un colpo di fucile. Sono le notizie di cui nessuno parla. “Tenete duro”, dice al microfono. Lo ripete a se stessa mentre lo dice a chi la guarda e a chi la intervista. Un auspicio. Mai tardivo. Un dovere ascoltarla
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