Economia
Neanche la pandemia ferma l’industria del sesso
Chi rispetta il coprifuoco, chi è disponibile 24 ore su 24. Chi cerca solo gentleman. Chi centro massaggi. Chi da me, da te, motel. Chi anche car sex. Basta combinare, basta fare sto cash: subito, no perditempo. Anche in questi undici mesi di Covid, a Milano (e non solo), il mondo della prostituzione – lockdown o non lockdown; contagio o non contagio – non si è quasi mai fermato. Tutto sotto gli occhi di tutti. Che però preferiscono guardare – ostinatamente – da un’altra parte.
Le palestre quando riapriranno? E i teatri? E i cinema? Ci vorrebbe la sfera di cristallo. Ma per sapere – Covid o non Covid – dove andare a Milano per un massaggio orientale con “coccole finali” basta googolare: l’algoritmo di Larry Page e Sergey Brin in pochi millisecondi ci porta sul sito giusto per trovare il lettino giusto dietro la vetrina oscurata giusta. E per avere di più? Basta cambiare parole d’ordine: escort più Milano più praticamente qualunque cosa mente umana possa partorire. Tutto (o quasi) è in vendita, nella capitale italiana degli affari. Lati A, lati B. Bocche, tette, piedi, pelo, depilato e non. Si può perfino pagare qualcuno per farsi pisciare addosso. Si può perfino pagare qualcuno per pisciargli addosso. No, non è un film. Ripeto: Milano, oggi, stasera.
Catalogo di carne
Una volta l’indirizzo degli appartamenti passava per le pagine di qualche rivista da comprare di nascosto dal vicino in edicola o di sussurro in sussurro, accompagnato da consigli e commenti. Ora si può sfogliare uno sterminato catalogo di corpi a qualsiasi ora, basta avere una connessione internet, tempo da ammazzare e un qualche motivo per farlo. Gli annunci sono tantissimi, sparpagliati su diversi siti e a volte quasi comici nella loro ripetitività iperbolica.
Casalinghe, ma ninfomani. Trans con «un’anaconda» così tra le gambe. Bamboline. Porcelline. Birichine. Un esercito di nuove arrivate, un calendario di ultimi giorni. Chi rispetta il coprifuoco e chiude bottega alle 21 e chi invece è disponibile 24 ore su 24, basta combinare, basta fare sto cash, no perditempo. E di soldi ne girano veramente tanti. Secondo l’Istat, il nostro istituto nazionale di statistica, l’intero settore – prima della pandemia – valeva 4,7 miliardi di euro all’anno. Sono stime: le cifre esatte non le sa nessuno. Ma se i numeri sono più o meno questi, si fanno molti più soldi così che, per esempio, vendendo libri a tutti i 60 milioni di italiani. Ci sono maschi, parecchi – 2 milioni e mezzo, dice uno studio condotto qualche anno fa dal Gruppo Abele; molti di più, addirittura 9 milioni, secondo altre statistiche – che almeno una volta l’anno fanno sesso a pagamento. E che evidentemente sono più disposti a spendere per scopare che per un romanzo da premio Nobel.
Case aperte
Qualche escort, visti i tempi, si propone solo per videochiamate come almeno una decina di “regine dello squirt” in diretta. Ma sono poche. Altre invece sono pure disposte a fare come la montagna con Maometto e a raggiungere il cliente in hotel, a domicilio oppure in macchina. Ma anche queste sono una minoranza. La gran parte, tra chi mette annunci, riceve a casa sua.
Nulla di strano. Nell’immaginario collettivo, la prostituta, per definizione “batte” il marciapiede, ma non è così. Statistiche alla mano, circa il 40% incontra il cliente, appunto, in appartamento. Come funziona? Il Covid non ha cambiato, nella sostanza, le cose. Basta un colpo di telefono tra quindici minuti e una mezz’oretta prima per combinare l’orario e farsi dare anche l’indirizzo che nell’annuncio invece non c’è mai.
E’ facile come ordinare una pizza, solo basta avere più soldi nel portafoglio. Quanto? Non so se sia una coincidenza o meno, ma ho chiamato tre numeri a caso e le tre ragazze mi hanno sparato tutte la stessa cifra: 150 euro per un’ora del loro tempo. E sono state tutte e tre gentilissime. Mi hanno aiutato a superare i primi secondi di imbarazzo; mi hanno spiegato dove si trovavano; hanno cercato di farmi sentire benvenuto, anche senza mettere piede in casa loro. Ma sempre in meno di due minuti, perchè il tempo è pur sempre denaro.
Quando ho chiamato era il pomeriggio del 5 gennaio; l’Italia era tutta zona rossa; tutte e tre erano regolarmente al lavoro.
La mappa dei massaggi
Dopo le tre ragazze, ho provato a chiamare un centro massaggi orientali. Qui ho avuto, se così si può dire, meno fortuna: era chiuso. «Ma riaprite?», ho chiesto. «7 gennaio, dopodomani». Ah, ecco. Trovare il numero, in questo caso, non era stato semplice, era stato semplicissimo. Un sito ha tanto di elenco e mappa non del tesoro, ma dei centri che, a Milano, nonostante la pandemia, sono aperti. Non solo. Gli aficionados del genere possono anche lasciare commenti ad uso e consumo di altri appassionati del genere o semplici curiosi. Come me.
E’ così, cioè dai commenti, che scopro che quello stesso centro aveva riaperto i battenti da mesi, dai primi di giugno, cioè dopo la fine del primo lockdown duro e che così avevano fatto altri. E i clienti? Tornati pure loro. Certi giorni, come lamenta qualcuno, in alcuni posti sembra di stare «all’Ikea all’ora di punta» o si trova proprio «sold out». La lista completa delle serrande che sarebbero alzate è lunga. Arrivato a quota trenta, mi sono stancato di contare. E sono tornato a dedicarmi alle recensioni.
I clienti raccontano
Di questi tempi i clienti raccontano le precauzioni imposte in alcuni centri massaggi contro il virus (mascherina e controllo della temperatura all’ingresso); ma anche, ovvio, le bellezze delle ragazze; e, quando ci sono, pure le offerte speciali, tipo un «quattro mani» al posto di due, qualunque cosa voglia dire. Soprattutto si elogiano «i giochini», «le coccole finali», «la parte ludica». Cioè? Cioè non si spiega, basta la metafora. Ma provo a mettere i numeri di telefono di un paio di questi posti su Google e – coincidenza – me li ritrovo su EscortAdvisor.
EscortAdvisor è una sorta di sorta di Tripadvisor del settore, usatissimo dai clienti di escort e gigolò, perché lì possono recensire e dare i voti, come farebbe chiunque dopo essere stato all’hotel o al ristorante, usando il più noto Tripadvisor. Né più, né meno. Ecco: su EscortAdvisor, le ultime recensioni di escort attive a Milano risalgono giusto a qualche giorno fa, cioè inizio gennaio. Ma, scorrendo indietro nel tempo, ne trovo altre – come mi era successo sul sito dedicato ai massaggi – che risalgono a dicembre, novembre, settembre, giugno. La giostra del mercato del sesso non si è praticamente mai fermata, se non tra marzo e maggio, quando davvero uscire di casa era praticamente vietato. E anche allora qualcuno era comunque al lavoro.
«Per lo stato non esistiamo»
«Durante il lockdown duro a primavera tante ragazze sono state indirizzate a centri di aiuto, tipo le Caritas o la Comunità di Sant’Egidio, ma chi non è riuscito ad arrivare là ha dovuto arrangiarsi e lavorare anche in quel periodo…», mi racconta Pia Covre, che ormai quasi 40 anni fa ha fondato assieme a Carla Corso il Comitato per i diritti civili delle prostitute. Prostitute che in Italia sarebbero forse 50.000 o addirittura 90.000 per appunto milioni di clienti. E’ un mercato di massa, non di nicchia. «Ma la gente comune, i nostri parlamentari, il nostro governo fa finta che questa cosa non esiste, questa è la verità. La usano tutti; sappiamo tutti che c’è; però non esiste quando si tratta di dare un sussidio, un aiuto…», mi dice Covre, al telefono, dalla sua Trieste.
Già. Il nocciolo del problema è tutto lì: prostituirsi in Italia non è reato, è consentito, ma per lo Stato non è un lavoro. Risultato: per le escort non è stato previsto alcun ristoro e per qualcuno non c’è alternativa: deve lavorare per campare. «Le più povere non possono rinunciare: non hanno soldi da parte, hanno magari qualcuno che le sfrutta e che pretende di continuare ad essere foraggiato; e poi ci sono una serie di cose: affitti al nero, molto cari, da pagare quando si è magari stranieri e non si hanno le carte in regola… Per questo il primo giorno che hanno aperto dopo il lockdown (tra marzo e maggio, ndr) hanno subito ripreso. L’estate, poi, è stata quella che è stata: qualcuna ha lavorato, ma poco, perché comunque i clienti sono pochi, visto che c’è anche meno disponibilità economica», mi dice Covre. Che mi spiega che pure questo è un problema: «C’è una contrattazione al ribasso continua. I clienti vogliono spendere sempre meno, offrono cifre irrisorie o chiedono prestazioni senza preservativo o che di solito una non offrirebbe, non accetterebbe, ma è costretta ad accettare. Le ragazze dicono: se devo pagare l’affitto e mangiare, devo comunque adattarmi…».
Il rischio contagio
Covre è da mesi che ripete queste cose e chiede un intervento da parte delle istituzioni. Eppure, fin qui, praticamente nulla si è mosso. Ma non c’è, appunto, un rischio contagio che alla fine ci riguarda tutti? «Assolutamente sì. Dobbiamo considerare che, in questo momento, ogni contatto con le altre persone è un rischio bassissimo, ma possibile di infezione e che questa malattia si diffonde perché una quota di persone infette non sono malate, sono asintomatiche, ma mantengono questa catena di trasmissione. Anche un’attività sessuale con il proprio partner è a rischio e queste persone (le escort, ndr) massimizzano questo rischio, incontrando tanti clienti. Clienti che poi possono diffondere la malattia in famiglia…», mi spiega Fabrizio Pregliasco, virologo e membro del Comitato tecnico scientifico lombardo che si sta appunto occupando della pandemia.
Ecco, ma se il rischio contagio c’è e il problema è di fatto sotto gli occhi di tutti e a portata di Google, non si sarebbe dovuto fare qualcosa, magari provvedendo appunto con dei ristori? Il problema per Pregliasco è tanto semplice da spiegare quanto difficile da risolvere: come si fa a determinare chi, come le escort, svolgeva o svolge un lavoro in nero e che quindi ufficialmente, come lavoratore, non esiste? «Ci sono anche altri lavoratori in nero in altri contesti, per esempio, nell’edilizia. Come si fa a certificarli e aiutarli se non con una specie di reddito di cittadinanza per l’indigente?». Ma queste persone, le escort, sono di fatto a rischio per il lavoro che fanno. Non bisognerebbe metterle tra le figure prioritarie da vaccinare, magari come altri lavoratori in nero nella stessa situazione, come per esempio, le badanti? Il problema per Pregliasco è lo stesso: «Come fai sempre a certificare e a categorizzare in questo caso?». Piuttosto, dice lui, «velocizziamo la campagna vaccinale».
Il nodo, insomma, rimane sempre quello: finché lo Stato non riconosce quelli oggi comunemente chiamati sex worker come lavoratori, c’è poco da fare, pure se c’è di mezzo una pandemia. Resta da capire una cosa: ma il lavoro nero è semplicemente quello su cui non si pagano le tasse o quello che, come società, facciamo finta di non vedere?
In copertina: “L’amore ai tempi del Covid” dello street artist palermitano TvBoy
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