Milano
L’eredità della giunta arancione: un caso da psicanalisi
Appartengo a quel genere di persone che è ancora capace di indignarsi, e sono sicura che come me ce ne siano moltissime anche se non va più di moda. E sono indignata, sì indignata, per il comportamento Giuliano Pisapia il sindaco della mia città.
Colui che ha deciso (in un momento storico particolare) di non ricandidarsi, che non ha favorito per tempo una gestione dell’eredità il più possibile unitaria (perdendo la persona che forse più di tutti avrebbe incarnato questa idea), che ha fatto in modo che la giunta arancione che tanto ha fatto per la città si balcanizzasse, che ha sempre detto (fino a un paio di settimane fa) che lui sarebbe rimasto fuori dal percorso di selezione del candidato sindaco facendosi garante di un processo (che se era per il suo impegno non credo che saremmo qui a parlarne), ecco lui ha deciso una sera a cena che il candidato migliore per rappresentare certe istanze e una auspicata continuità con il lavoro della sua giunta sarebbe la sua vicesindaca. Lui che mentre affermava la supremazia del modello Milano la portava a Roma per farla conoscere. Lui che è stato eletto anche grazie alle idee di un nuovo modo di fare politica che possiamo raggruppare sotto il termine di “partecipazione” ha calato dall’alto la candidata sussurrando “votate lei in memoria di me”.
E la benedizione del sindaco, com’era ovvio che succedesse, ha scompigliato le carte nel campo delle forze politiche che stavano già lavorando alla costruzione di una candidatura di “sinistra” e di “continuità” incarnata da Pierfrancesco Majorino. Majorino che ha lanciato la sua candidatura a luglio, che ha chiesto martellante un giorno sì e l’altro pure che si facessero le primarie, che ha una folta squadra di volontari con gruppi tematici e territoriali, che ha avviato la raccolta delle firme, che insomma lo sta facendo nel “modo giusto” nonostante il silenzio mediatico che finora l’ha circondato.
Addirittura alcuni dei primi sostenitori della candidatura di Majorino si stanno defilando per correre in sostegno dell’altra supposta candidata, e questo sta avvenendo non per questioni di “programma” (perché oggettivamente è facile immaginare che le visioni della città dei due candidati di sinistra sarebbero piuttosto simili) ma per ragioni di “metodo”, ovvero la candidata in pectore sarebbe quella che potrebbe garantire al meglio la sopravvivenza della politica partecipata che è uno dei fiori all’occhiello dell’amministrazione uscente. Quindi chiedono a Pierfrancesco Majorino di farsi da parte, di fare gioco di squadra e confluire nella proposta della candidata-annunciata affinché i due candidati non si indeboliscano a vicenda lasciando campo libero a Beppe Sala.
Ora, sarà che io certe cose non le capisco, ma essere candidati dall’alto e voler sgombrare il campo prima ancora di essersi confrontati non mi sembra un grande esempio di processo partecipato.
Mi sembra estremamente ingeneroso e irrispettoso nei confronti di Majorino, e di tutti coloro che lavorano con lui da mesi perché credono in un progetto, chiedergli di farsi da parte per non dividere il fronte del centrosinistra (che è tutto da dimostrare che ancora esista) in opposizione al fronte del partito della nazione. Quando esiste evidentemente anche un’altra possibilità, ovvero che il sindaco appoggi Majorino e renda lui il baluardo in difesa del modello Milano convincendo eventualmente quei pezzi di giunta e di militanza che si muovono in base al Pisapia-pensiero.
Ma come dice Recalcati, bisogna accettare che il destino dell’erede è quello di essere orfano e che l’eredità autentica implica un movimento attivo più che un’acquisizione passiva. L’erede quindi lo si riconosce dal desiderio e dal voler riconquistare ciò che si è ereditato per poterlo possedere veramente (semicit).
E in aggiunta, non so da voi, ma a casa mia il terzo incomodo è chi arriva dopo. (E non è ancora arrivata, per la precisione.)
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