Milano
Edipo a Colono: rinascita di un classico con Gigi Gherzi
Gran finale di stagione al Teatro Fontana di Milano con lo spettacolo Edipo a Colono di Gigi Gherzi, in scena dall’8 al 18 giugno. La nuova produzione, targata Elsinor centro di produzione teatrale, rielabora il mito classico come narrato da Sofocle cercando di creare un ponte ideale fra antichità e presente a partire da grandi archetipi, come la crudeltà dell’essere umano, il desiderio di guerra, ma anche il bisogno di solidarietà e vicinanza, di giustizia, di vita comune nello spazio condiviso dell’agorà. Edipo, ormai vecchio e cieco, fugge alla peste e si trova a vagare per il mondo, accompagnato dalla figlia Antigone, alla ricerca di un luogo utopico, abitato dalla democrazia. Un percorso che segna un epilogo esistenziale, ma anche un nuovo inizio, una speranza di recupero di giustizia, umanità, comunità. Un viaggio, che parte dalla fine del mondo conosciuto verso il futuro, che presenta molti punti di tangenza con il contemporaneo e di cui abbiamo voluto parlare con il regista Gigi Gherzi in una breve intervista.
Edipo a Colono: una delle tragedie più note del teatro classico, un mito nel mito – come fortuna scenica – da reinventare e interpretare oggi. Se infatti da una parte il classico implica, in modo quasi ancestrale, un interesse del pubblico alla ricerca delle proprie radici, dall’altra raccontare la vicenda di Edipo e Antigone senza limitarsi a una ripresa rappresenta una sfida. Quali sono state le ragioni che ti hanno portato a lavorare proprio su questo testo?
“Edipo a Colono” è tragedia nota, molto di meno, a dire il vero dell’Edipo Re, sempre di Sofocle. E’ quello che succede a Sofocle che è straordinario. Sofocle prende un personaggio famosissimo, Edipo, di cui lui ha scritto tanti decenni prima, e sente il bisogno di stravolgerlo, di ridargli gli un finale, di dargli una possibilità di luce, di salvezza, di uscita dalla maledizione. Mi piace pensare che Sofocle, salvando Edipo, salva tutti noi. Perché Edipo siamo noi. Questa è la frase che ha mosso tutto il mio lavoro, perché Edipo è uomo dai piedi feriti, trafitti dalla nascita, con un rapporto difficile con la terra, è uomo di lungo, continuo, sfinente pensiero, è uomo della ragione, ma, contemporaneamente, vive tutti i limito della ragione apollinea, soffre la scomparsa della dimensione del sacro all’interno della vita collettiva.
Il tema dell’esule stanco, della fuga dalla “fine del mondo”, dell’ultimo viaggio verso un futuro che è fine, ma anche rinascita è molto contemporaneo. Guerre, malattie globali, perdita di un centro, del senso di comunità e di legami: Edipo sembra parlare, in modo fraterno, ai tanti che oggi sono smarriti e in cerca di una strada. In che modo il viaggio di questo personaggio può relazionarsi con il presente che viviamo?
Queste considerazioni guidano lo spettacolo. Edipo vive una fine del mondo, non è più né re né potente, è diventato un vecchio, cieco, mendicante, sta su una strada, non ha più patria, cerca confusamente un nuovo luogo in cui stare, in cui potere vivere. Edipo ha visto tutto l’orrore presente in una città come Tebe, città di cui a un certo punto è diventato il re, orrore presente in una città feroce, patriarcale, militarista, basate sul disprezzo dei giovani e delle donne. “Edipo a Colono” parla di fuga, di rifiuto di un modello tirannico, della ricerca di un rapporto diverso con la natura e con il creato. Edipo parla di noi, della nostra difficoltà a stare dentro al nostro mondo, la sua “fine del mondo” interroga la nostra fine del mondo, fatta di pandemie e di emergenza climatica, di profughi senza accoglienza e di ogni forma del sacro incrinata. Per questo la contemporaneità del testo è sconvolgente.
La tragedia classica era ed è agorà, spazio di rito corale e condivisione: scegliere proprio un’opera classica può, nello sfilacciamento generale delle nostre relazioni, aiutarci a recuperare il senso di comunità?
Fatto sta che la tragedia greca rimane un modello straordinario di confronto di pensieri, di corpo a corpo con le questioni più gravi che pesavano sulla città, sull’Atene del tempo, di luogo in cui, in una dimensione che riguardava il rito, la festa, la cerimonia religiosa, la città si guardava in faccia. Riusciremo a farlo di nuovo, noi? Il teatro può offrire un suggerimento, certo non riuscirà a farcela da solo, ma continuerà il suo sogno di chiedere alla gente di riunirsi di fronte a una grande storia, e, in questo caso, di sperimentare la bellezza di un teatro che si fa anche assemblea, agorà, piazza aperta, comunicazione e condivisione di idee grandi e di passioni.
L’allestimento mescola la parte recitativa a elementi video e musicali che rendono la scena più marcatamente attuale. Vuoi spiegarci qualcosa di più rispetto al percorso di allestimento?
La tragedia greca è una sfida difficilissima e meravigliosa per qualsiasi regista. Poco si sa delle modalità concrete di quelle messe in scena, fortissima arriva però l’impressione di un teatro assolutamente anti-naturalistico, fondato sulla copresenza in scena della parola, del canto, della musica. E’ alla musica, alla scultura dei feticci e dei costumi, alle immagini, che io mi sono rivolto per rompere ogni naturalismo e ogni clichè di “recitazione tragica”. Federico Biancalani ha disegnato lo spazio, l’ha riempito di feticci edipici, senza pensare “scenografia”, ma pensando a un luogo dell’installazione, della visione di opere d’arte, intrise dalla storia di Edipo. Il testo di Sofocle è spesso detto in dialogo con le sonorità dei “Comet i coming”, uno straordinario gruppo del “nu jazz” inglese, il testo della tragedia spesso risuona tra suggestioni ambient, elettroniche, funky I video di Nadia Baldi esplorano il piccolo, i microbi, i batteri, i vermi, i riflessi dell’acqua, il pulsare di un ombelico, esplorano tutto quello che è nostra radice e che per primo soffre quando il mondo è fuori asse, è fuori posto. Gli attori sono entrati in questo gioco, forma tra le forme, presenza tra le presenze, corpi gioiosi all’interno del rito.
Il teatro classico ci interroga su sentimenti e “vissuti” universali, ma anche sul valore e il potere della nostra memoria collettiva. Quale pensi sia il lascito di opere come queste allo spettatore di oggi?
Il regalo più grande: l’idea della necessità assoluta di una rinascita, di una rigenerazione, che nasca proprio dalla nostra sofferenza di oggi. La fame di un cambiamento radicale, sia a livello individuale, personale, sia a livello collettivo, perché nessuno di noi vuole più vivere a Tebe! La necessità di una nuova sinfonia che unisca uomini e creato, perché non è un caso che sia nel “bosco di Colono”, che Edipo ritrova la propria anima.
8_18 GIUGNO EDIPO A COLONO
di Gigi Gherzi
Con Stefano Braschi, Gigi Gherzi, Maria Laura Palmeri
regia Gigi Gherzi scene Federico Biancalani Disegno luci Ivan Dimitri PilogalloVideo Nadia Baldi Produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale
Ph. Luca Del Pia
Devi fare login per commentare
Login