Milano
Dove finisce Milano – Carissima casa: le lunghe ragioni di un fenomeno
Di colpo, non si è parlato d’altro. Di quanto costa vivere a Milano. Di quanto costa, anzitutto e soprattutto, abitarci. Il “caro casa” è il vero protagonista di ogni dibattito pubblico, riempi i giornali e i convegni. È il perno attorno al quale si è ribaltata la narrazione cittadina di questo decennio passato: da place to be, posto in cui stare, città europea piena di vita, di eventi, di opportunità di lavoro, a città impossibilmente costosa, prima flagellata dalla pandemia e poi, rimosso quel breve e traumatico tempo delle nostre vite, resa insostenibile per il costo della vita e delle case. Per guardare laicamente ai fatti, è bene ricordare che il prima e il dopo sono strettamente connessi, non solo in ragione della sequenza temporale, ma anche di un nesso causale. È quello che provo a fare nella seconda puntata del mio Podcast “Dove Finisce Milano”, prodotto dal Centro Martini nell’Università degli Studi di Milano Bicocca, che potete ascoltare o leggere qui sotto.
Per comprendere il fenomeno della spaventosa crescita della rendita immobiliare in città, e per capirne radice più lunghe di questo presente e più larghe di questa città, può essere utile un esercizio di memoria. Ci può aiutare la storia di un piccolo immobile commerciale, situato in un famoso quartiere di Milano.
Nel 1986, un giovane milanese desiderava avviare un’attività commerciale in un quartiere popolare e periferico di Milano: l’Isola. Già, appena 35 anni fa la zona diventata il simbolo della nuova Milano era tecnicamente entrambe le cose: popolare, e periferica. Quel giovane compra un negozio a due vetrine in una via nella quale, oggi, si fatica a camminare, tanto è affollata di dehor, turisti, e gente in coda per mangiare o per andare in pellegrinaggio al Bosco Verticale. Saranno una cinquantina di metri quadrati commerciali, che nel 1986 paga circa tre milioni di vecchie lire. Tenendo conto dell’inflazione, del costo della vita di allora e dei salari medi, parliamo di circa quattro mila euro di oggi. Due anni fa, quello stesso negozio, è stato rivenduto a un fondo al prezzo di 750 mila euro, e ora è affittato a una catena che fa street-food, al prezzo di 7 mila euro al mese. In sostanza, in circa 35 anni, il bene si è rivalutato di circa 200 volte, cioè del 20 mila per cento. È naturalmente un caso estremo, un caso limite, che sintetizza alcuni fattori specifici, riguardanti un trend generale ma anche alcune questioni specifiche, legate in particolare a un quartiere che era stato lungamente considerato periferico e sostanzialmente malfamato, e che oggi è il secondo centro di Milano: un’alternativa simbolica, commerciale e turistica a Piazza del Duomo. Un quartiere la cui nuova centralità rappresenta quasi la rottura del paradigma di una città all’antica, che si è sempre concepita a cerchie concentriche, con al centro la piazza della cattedrale e quella del mercato. Quello del nostro negozio, dicevamo, è un caso estremo, che deve il suo destino di impressionante rivalutazione anche alla specifica esplosione commerciale di un’area che al momento dell’acquisto era marginale e depressa. Prendendo ad esempio gli immobili residenziali, in quella stessa zona, avremmo rivalutazioni di prezzo pari a quindici o venti volte: meno di quelle mura commerciali, ma sempre un bel risultato, di molte volte superiore all’indice di inflazione medio in questi decenni, e sensibilmente più alto dell’andamento medio del mercato immobiliare in Italia.
Nel nostro periodo di riferimento, diversi fattori hanno composto e scomposto il prezzo delle case, a Milano e non solo. Alcuni sono fattori macroeconomici, uguali in tutto il mondo, più o meno sempre: quando scendono i tassi di interesse, cioè quando il denaro costa meno, è più facile e conveniente ottenere credito dalle banche, e quindi il mercato immobiliare è più effervescente e i prezzi salgono. Quando invece i tassi di interesse salgono, come è successo negli ultimi anni a causa della lotta all’inflazione agita dalle banche centrali, il credito bancario è più difficile e costoso, si comprano e vendono meno immobili, e i prezzi smettono di crescere, o scendono. Da questi cicli non è ovviamente esclusa Milano, che dal 1987 a oggi ha attraversato tre fasi di crescita dei prezzi, e due fasi di contrazione. L’ultima fase di crescita a livello nazionale, iniziata secondo l’Istat nel 2015, ha incrociato una fase cittadina particolarmente significativa, e – ancora una volta – caratterizzata da tratti peculiari. Il 2015, come noto, è stato l’anno di Expo, un evento che ha rappresentato l’ingresso di Milano nelle rotte internazionali – ma anche nazionali – del turismo. Il successo di pubblico della manifestazione ha trascinato con sé il successo di un’intera città attrattiva, viva, con mezzi pubblici che sostanzialmente funzionano e continuano ad aumentare la loro portata, ben connessa con il resto d’Italia e del mondo. Una città nella quale è possibile trovare un lavoro, e che per definizione una città che attrae persone e capitali: proprio mentre tutt’attorno un intero paese sembra arrancare. E più attrae persone e capitali, nazionali e internazionali, e più le sue case si fanno desiderate e costose. Il prezzo della casa, sia che sia il prezzo “al metro quadro” di una casa da comprare, sia che si parli di canone di locazione, non è ovviamente un dato “a sè”, ma anzi è il contrario: è il termometro più evidente, lampante, di una serie di fattori. Mentre il resto dell’Italia tende a spopolarsi, Milano cresce di residenti e di abitanti con grande costanza, da molti anni. Mentre il resto del paese decresce, economicamente parlando, soprattutto dalla fine del secolo scorso in poi, Milano continua a mantenere una media europea. In assenza di vere politiche correttive e contenitive, che avrebbero bisogno di coraggio, sguardo globale, visione di lungo periodo, pianificazione, il divario tra Milano e il resto del paese è destinato ad allargarsi, con la conseguenza che “una città di successo” continuerà, sempre di più, ad escludere chi non ha abbastanza successo, appunto, o abbastanza rendita da investire. Il problema è in fondo semplice da descrivere, e complicatissimo da affrontare. È molto facile lamentarsene e incolpare un’amministrazione e una città: ma a guardarlo bene si vede che la questione non è Milano, ma il capitalismo globale finanziario, che mostra la sua faccia e dispiega le sue conseguenze più o meno ovunque. Parlando di Milano, dunque, parleremo del mondo.
Ringraziandovi intanto per averci ascoltato, vi annuncio il tema della prossima puntata, che è la demografia di Milano. Chi vive, in città? Chi ci viene, chi se ne va? Non se ne parla davvero quasi mai: eppure, dopotutto, sono gli abitanti che fanno i luoghi, e ne definiscono il tono. È vero ovunque: nelle grandi città, perfino di più.
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