Milano

Diamoci del LEI

Diamoci del Lei quando ormai il tu è solo espressione di un consociativismo diffuso

16 Marzo 2025

Torniamo a darci del LEI.
Anzi, quasi quasi anche del  VOI.

Ultimi, ma non ultimi, i casi che hanno interessato l’urbanistica e l’edilizia milanese ci dimostrano di vivere in un paese in cui la conoscenza personale supera, sorpassa e seppellisce il valore della conoscenza culturale e professionale.
Sono fermamente convinto della buona fede di tutti gli indagati e personaggi coinvolti nell’urbanistica-gate, che sinceramente non pensano di aver fatto niente, non dico di penalmente perseguibile, ma neanche di eticamente riprovevole.
Le cose vanno così, vanno sempre così.
Ci conosciamo, ci parliamo, consultiamo, aiutiamo. Cosa mai ci sarà di male?
E tutto è incominciato dandoci del TU, già dal primo incontro.
Non dico niente di nuovo, lo so.
Da sempre le “conoscenze”, le amicizie, le massonerie e i circoli hanno contato più delle competenze, del lavoro, dello studio e delle capacità.
Quello che però è cambiato, ed è ormai inarrestabile, è l’uso del TU istantaneo.
Non si fa tempo a conoscere qualcuno, a intrattenere con chicchessia un minimo rapporto professionale, lavorativo, occasionale che si passa da un timido LEI a un confidenziale TU che livella ogni differenza.

Sotto le sembianze di una apertura e disponibilità, alle volte anche democratica, da parte di chi occupa posizioni di comando, inseriamo o veniamo inseriti nella medesima consorteria, nel medesimo circolo.
Si entra a far parte del giro, che tutto accomuna e omogenizza.
E a quel punto si passa da conoscenti, collaboratori, prestatori d’opera ad amici, confidenti e da lì, il passo è breve, complici.
E a un amico si perdonano certamente delle piccole deviazioni etiche, morali, professionali.
A un amico sono dovuti certi silenzi e certe disattenzioni, come sono dovuti dei piaceri e delle condivisioni.
Anzi, che amico è quello con cui non si divide un’esperienza, un’avventura e allora anche un lavoro.
Che amico è quello a cui non si fa una confidenza o che non si facilita nel raggiungimento di un traguardo?
E il TU, ormai, non si nega più a nessuno.

È il passaporto dei rapporti confidenziali in cui ci si trova assorbiti senza neanche rendersene conto.
Un TU che non ci permette più distinguere quali siano le procedute corrette nell’affidamento di un incarico, nella valutazione di un concorso, nella valorizzazione di un lavoro.
Quella fiducia, affidabilità, rispetto che si dovrebbero conquistare con una dimostrazione di capacità, serietà, correttezza vengono superate in un battibaleno da un TU che ormai non si nega quasi più a nessuno. Neanche ai nostri avversari politici o ai nostri più acerrimi concorrenti.

Un TU non lo si nega a nessuno se non quando si desidera palesare una presunta imparzialità.

È il ridicolo LEI di qualche intervistatore che lo utilizza anche dopo aver concordato le domande e indirizzato le risposte.
O quello di un esaminatore o dell’agente che vuole dimostrare la sua estraneità con l’interlocutore.
Ma nella quotidianità è visto come una scortese volontà di mantenere le distanze, come un gesto di antipatica superiorità che nulla hanno a che fare con la richiesta, ormai universale, di complicità, che ci permette di partecipare tutti, attivi e passivi, al medesimo teatrino.
Dividendoci, chi più chi meno, una fetta della torta,
E allora torniamo al LEI, e anche, e non sarebbe male, al rifiuto del saluto e dello scambio con chi pensiamo non rispetti i nostri valori e le regole che collettivamente ci siamo dati.
Perché non siamo tutti uguali e se anche siamo sulla stessa barca, siamo su ponti diversi.
Che un TU non porta allo stesso livello.
E io con chi ha usurpato un posto sul ponte di comando non desidero avere niente a che spartire.
Tantomeno un TU che riservo a chi stimo, apprezzo, rispetto.

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