Milano
Debito pubblico, mobilità sociale, trasparenza: le sfide dei riformisti, oggi
Occuparsi di amministrazione pubblica, anche se a livello locale, abbandonando il ruolo di semplice cittadino, ha inciso sulla mia coscienza politica e indotto alcune riflessioni sul più generale contesto italiano, e in particolare sulle validazioni di futuro che il riformismo di sinistra si dovrebbe proporre.
Siamo di fronte ad una prossima tornata elettorale che dovrebbe consentire di confrontare non solo il programma quinquennale, ma una visione chiara e forte delle modalità e dei termini con i quali si vogliono affrontare alcuni vincoli strutturali del Paese, proponendo una dialettica virtuosa alla nostra collettività, attraverso la rivendicazione e l’impegno verso scelte difficili ma essenziali. La dialettica è tra vincoli e proposte. I vincoli sono per lo più noti. La partecipazione all’UE deve essere rinegoziata politicamente, ed è imprescindibile la nostra partecipazione all’Unione. L’equilibrio finanziario del paese, in particolare il rapporto tra debito e Pil è una condizione di indipendenza alla quale non possiamo rinunciare. Il sistema educativo deve essere rilanciato, riproponendo l’opzione che merito e diritto allo studio devono essere alla base di una prospettiva di crescita dei nostri giovani. Il rapporto tra amministrazione centrale e enti territoriali va riposizionato su profili di responsabilizzazione e non di massificazione centralistica delle decisioni. Le condizioni normative ed operative sulle quali è fondato il nostro assetto istituzionale vanno rivisitate per recuperare un’efficienza delle istituzioni in grado di dare risposte alla popolazione in modo puntuale e temporalmente definito; non si ritenga che sia impossibile coniugare efficienza e democrazia: il futuro non potrà, infatti, che rappresentarne una sintesi. I confini delle responsabilità di uno Stato inclusivo passano attraverso una necessaria intersezione tra gli obiettivi di assistenza e previdenza necessari per affrontare i cambiamenti demografici e le migrazioni in corso e la gestione differenziata dei territori che a questi cambiamenti sono esposti, riconoscendo condizioni di partenza di fatto diverse. Il sistema finanziario deve riposizionare il mercato al centro del proprio agire: non è procrastinabile l’esigenza di una definitiva e netta revisione del grado di commistione tra controllori e controllati né tra finanziatori e finanziati.
Se questi sono probabilmente alcuni dei vincoli, le risposte devono fondarsi su due paradigmi intellettualmente non separabili. Il primo è etichettabile con l’impossibilità di risolvere i vincoli nell’ambito di una o due generazioni. Le soluzioni sono solo multiperiodali; le dimensioni dei vincoli e la secolarizzazione delle inefficienze non consentono a nessun uomo di immaginare di completare il percorso di cambiamento nell’arco della sua vita. Il secondo paradigma è certamente definibile come l’impossiblità di trovare una coerenza di lungo periodo delle soluzioni, senza predisporre sullo stesso orizzonte temporale le modalità per la creazione delle risorse necessarie.
Vediamo come è possibile impostare logicamente alcune risposte sulla base di questi paradigmi. Chiamerei la sintesi “Patto intergenerazionale”. Nella storia economica moderna le basi del patto erano sostanzialmente il risparmio e l’investimento. Una equa distribuzione intergenerazionale della ricchezza costituiva la garanzia per i giovani di poter affrontare il proprio futuro in condizioni di limitata incertezza, accollandosi i rischi tipici delle scelte esistenziali come la scelta di un lavoro, l’acquisto di una casa e la formazione di una famiglia, ma non limitava se non parzialmente l’intraprendenza del singolo, né mortificava le ambizioni di mobilità sociale. Il risparmio, drenato solo in parte “dall’obbligo” di finanziare il debito pubblico, costituiva fonte per il finanziamento degli investimenti, con i conseguenti effetti di crescita della produttività dei fattori e del Pil. Due fenomeni hanno interrotto il circolo virtuoso: la crescita del debito pubblico e l’attitudine del risparmio ad accumularsi in modo concentrato, allorché il sistema fiscale privilegiava progressivamente la rendita finanziaria rispetto agli investimenti produttivi e al lavoro. Per sostenere la spesa si è fatto ampio ricorso ai trasferimenti statali, con effetti evidenti sul debito. Oggi, il problema sostanziale, mantenendosi elevato il saggio di risparmio degli italiani, è di riavvicinare la ricchezza finanziaria cumulata al debito pubblico. In altre parole, si tratta di riavvicinare ciò che è si è significativamente concentrata, la ricchezza, con quanto è stato, per definizione, omogeneamente distribuito tra i cittadini, il debito. Le leve possibili sono da riflettere, ma è chiaro che la sintesi non può che essere un relativo spostamento di entrambe le grandezze, l’una verso l’altra. Le condizioni di accreditamento del processo di avvicinamento non possono che essere due: riduzione dei benefici economici della rendita e l’innalzamento del livello di produttività del paese, a livello individuale e collettivo. D’altra parte è chiaro che la ripresa del livello di produttività deve avvenire attraverso logiche che a tutti i livelli, imprenditoriali, finanziari educativi e lavorativi premino il merito e facilitino la mobilità sociale attraverso meccanismi trasparenti ed eque garanzie.
Questo stesso schema deve essere applicato a tutte le condizioni di riforma delle istituzioni del Paese, senza alcuna vergogna nel rivendicarne la fondatezza e con tutto il rigore del caso nelle applicazioni. Un altro esempio potrebbe venire dal sistema educativo. Ci si scaglia contro il numero chiuso in Università, negando un’evidenza eclatante: le migliori facoltà italiane inserite nei ranking mondiali hanno il numero chiuso. Evidentemente, negare l’evidenza è ancora un esercizio per molti. Credo che anche qui il problema sia altro: governare gli accessi con il numero chiuso ed alimentare il diritto allo studio come forma di investimento sul futuro del Paese. Il merito va salvaguardato, la qualità va recuperata nell’ambito dei docenti, ma soprattutto vanno selezionati i migliori, indipendentemente dal livello di reddito o dal censo delle famiglie di provenienza. Garantire la mobilità sociale, in ascesa ed in discesa, è la forma migliore per sostenere oggi una visione riformista del paese.
Proprio perché oggi sono amministratore pubblico mi sia consentita una chiosa. Lo stesso paradigma deve essere applicato anche nei rapporti tra l’amministrazione centrale ed gli enti territoriali. La scelta considerare la media quale grandezza per il governo delle relazioni tra le due entità è fallimentare. La media serve solo a nascondere una dispersione che se rimane ampia e si accentua nella direzione negativa, alimenta progressivamente in effetto di trascinamento verso il basso dell’intero sistema. Si riconoscano i meriti e si consenta, tramite un sistema redistributivo il recupero dei soggetti in disagio. Un sistema redistributivo che fondi però sulla responsabilizzazione diretta e riscontrabile degli amministratori e non su una logica di tipo assistenziale che progressivamente depaupererà l’intero sistema.
A mio parere, essere di sinistra e riformisti oggi vuol dire riconoscere che lo sviluppo di un capitalismo evoluto, trasparente e riscontrabile, con una legittimazione meritocratico-innovatrice e non ereditaria rappresenta il miglior modo per creare la disponibilità di risorse necessarie all’inclusione della popolazione più disagiata. Quest’ultima, liberata da una visione espiatrice della propria esistenza, deve essere certa che le siano garantite le forme di mobilità sociale possibili, così come sia prevedibile una mobilità verso il basso per chi perde le condizioni di merito, ad esclusione ovviamente dell’eventualità che ciò accada per l’uscita dal mercato del lavoro per anzianità o vecchiaia.
Senza la definizione di un “Patto intergenerazionale” che abbia ampie e forti garanzie politiche ed istituzionali si ricade in una visione miope, dalla quale si esacerberanno prima o poi tutte le dicotomie che nel breve non possono essere risolte, con conseguenze sociali ed istituzionali di dubbia prevedibilità.
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