Milano

La Nuova Darsena e l’inaccettabile lagna dei comitati di quartiere dei Navigli

15 Settembre 2015

Nella mia classifica mentale, aggiornata periodicamente, dei gruppi che più mi irritano, che vede stabilmente in cima i Nazisti dell’Illinois, i comitati di quartiere sono da sempre nella top ten. In questi giorni però lottano per entrare nella top five.

I comitati di quartiere: gruppi di persone che vogliono godere delle esternalità positive dell’abitare in città e far ricadere le esternalità negative su altri quartieri. Un comitato di quartiere insomma non è un movimento politico, perché il compito della politica è conciliare le diverse istanze in nome dell’interesse generale.

Un comitato di quartiere può chiedere per esempio di recintare Piazza Vetra, diventato negli anni un luogo di spaccio e di consumo. La Politica non può limitarsi a recintare o meno la piazza, deve dare una risposta al tema dello spaccio e della tossicodipendenza.

Un comitato di quartiere ha il diritto di opporsi all’abbattimento di magnifici alberi per fare posto ad una nuova linea del tram. Compito della Politica è cercare di conciliare l’istanza di qualità e bellezza con il bisogno di una rete di servizi pubblici più efficienti.

Nel 1975 Pier Paolo Pasolini vedeva «nei comitati di quartiere, nella partecipazione dei genitori nelle scuole, nella politica dal basso delle iniziative pratiche, utilitaristiche in definitiva non politiche. La strada maestra fatta di qualunquismo è già tracciata». (Stampa sera, 1975).

I comitati di quartiere sono spesso composti da persone che hanno scelto di abitare in certi quartieri attratti dalla loro vivivacità e che una volta stabilitivisi iniziano a lamentarsene.

I comitati di quartiere sono per esempio quelli che si opponevano alla riqualificazione di Porta Nuova e delle Varesine, pronti ad incatenarsi ai cancelli per impedire la costruzione dei grattacieli che, a loro dire, avrebbero deturpato quella zona. Non credo che oggi accetterebbero di vendere ai prezzi di allora.

Da giovani nottambuli e da vecchi condomini.

Da mesi la nuova Darsena è al centro delle doglianze del comitato dei residenti dei Navigli, che se gareggiasse da solo potrebbe ambire al podio della mia personalissima classifica.

Per intenderci, se fosse per questo comitato, lungo i Navigli l’unica cosa commestibile dopo le 22.30 sarebbero le pantegane, come accadeva ancora nei primi anni ’90. In compenso sono riusciti a cancellare il mercato delle pulci di Senigallia, Milano è l’unica metropoli o sedicente tale a non avere un suo mercatino delle pulci, e lasciare quello per allocchi della fine del mese.

Secondo costoro il rifacimento della Darsena è brutto, c’è poco verde, il nuovo mercato coperto è un pugno in occhio. Intendiamoci, la nuova Darsena non è molto bella, si tratta pur sempre di un porticciolo.

In questi giorni si lamentano ancora una volta che troppe persone frequentano la Darsena. Gabriella Valassina lamenta che «la Darsena non è l’Idroscalo, è un luogo storico con una identità che va mantenuta». Dimenticando che l’Idroscalo è stato costruito nel 1926, decenni prima di molti dei palazzi che circondano la Darsena.

Insomma i critici della nuova Darsena che, in altre occasioni tirano fuori Stendhal, evidentemente rimpiangono le fogne a cielo aperto e le lavandaie gioiosamente inginocchiate e liete, arrabbiati con chi ha inventato quell’inutile aggeggio rotante e rumoroso chiamato lavatrice. Costoro, da esegeti dell’estetica di Stendhal, che leggono strettamente in francese, che corrispondono con l’Académie Française per aggiornarla sui cambiamenti architettonici del panorama urbano milanese, come conciliano il fatto di abitare in quei palazzoni anni ’50 del secolo scorso e rivendicare allo stesso tempo la storicità del luogo, ideato diversi secoli prima?

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In copertina, foto di Federico Moroni, licenza Creative commons, tratta Flickr

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