Milano
Dall’arcivescovo di Milano Delpini un discorso alto e politico
Da operatore di rete (uno strano ed originale mestiere non ancora così ben codificato!) sono impegnato in alcuni quartieri di Milano e penso che il richiamo alto e politico del nuovo Arcivescovo di Milano Mario Delpini sia formidabile per chiarezza ed equilibrio. Un discorso pronunciato nella Basilica di Sant’Ambrogio mercoledì 6 dicembre, disponibile in libreria col titolo “Per un’arte del buon vicinato”.
Lo scrivo da agnostico che laicamente ritrova in Delpini tracce profonde di senso, pragmatiche indicazioni operative e interrogativi chiave.
Vista dalla mia prospettiva la “costruzione dei legami” per promuovere “coesione sociale” è una sfida quotidiana tutt’altro che agevole fatta di molti ingredienti: presidio dei luoghi, ascolto, attivazione, riqualificazione del territorio, sicurezza urbana e forme di socialità da accompagnare per rispondere a bisogni sociali nuovi e vecchi dei quartieri.
Prendetevi il tempo di ascoltare l’intervento di Delpini perché la proposta positiva di costruire un’alleanza per il buon vicinato chiama in causa tutta la metropoli, nessuno escluso. Un vicinato che ”rassicura, rasserena, rende desiderabile la convivenza dei molti e dei diversi, per cultura, ceto sociale e religione”. Un richiamo corale a valorizzare quanto di buono c’è non limitandosi a denunciare e condannare. Un invito esplicito a fare e continuare a praticare alcune cose piuttosto concrete:
-superare la “logica dei conflitti e delle fazioni contrapposte”;
-dedicarsi alla prossimità capillare come pratica istituzionale ma non solo per promuovere la convivenza civile serena essendo “là, tra la gente, in ascolto di tutti, con il desiderio di rendersi utili”;
-andare oltre la “tendenza diffusa a lamentarsi sempre di tutto e di tutti”;
-invitare i giovani ed i pensionati a “farsi avanti. Prendetevi qualche responsabilità! Dedicate tempo! Le istituzioni hanno bisogno di voi! La città, il paese, hanno bisogno di voi!”;
-contrastare i “fattori di disgregazione, di isolamento, di conflittualità”;
-ridefinire e di riscrivere le basi del welfare come “welfare relazionale, comunitario, generativo e rigenerativo”.
Delpini esorta: “l’alleanza che propongo non è un impegno che riguarda le istituzioni come fossero delegate a tenere insieme gli abitanti di queste terre, è piuttosto una impresa comune di cittadini e istituzioni, di fedeli e pastori della comunità cristiana e delle altre religioni: è una impresa corale che riconosce il contributo di ciascuno e chiede a ciascuno di non vivere la città come servizi da sfruttare o pericoli da temere, ma come vocazione a creare legami. Sono essi il luogo dell’ospitalità, della possibilità di (ri)dare nome ai soggetti, di offrire dimora alla cittadinanza fraterna e di riconsegnare le istituzioni alla comunità. Per questo tutti, tutti!, sono invitati a partecipare: chi abita da sempre in città e chi è arrivato oggi, chi abita in centro e chi abita in periferia, chi parla il dialetto milanese e chi stenta a parlare italiano, chi ha un passaporto granata, chi ha un passaporto blu, verde, rosso…La costruzione della convivenza fraterna dà storia alla possibilità e capacità di rispondere alla ineludibile domanda del come, del dove, del quando siano attivati percorsi di vita buona, anche nelle improvvide stagioni delle fragilità”.
Proseguendo, con decisione, Delpini pone alcuni interrogativi alle politiche pubbliche: “Quali case meritano di essere costruite? Quali infrastrutture sono prioritarie? Quale gestione degli spazi, del verde, dei servizi deve essere perseguita? Quali servizi alla persona (educativi, sociali, sociosanitari e sanitari) devono essere garantiti (per tutta la vita e per la vita di tutti)? Come favorire tra le strutture abitative luoghi di incontro e di condivisione tra persone e tra famiglie? Quale politica urbanistica deve essere progettata per favorire una migliore integrazione tra le diverse fasce della popolazione, evitando la nascita di ghetti e zone di segregazione? Quale gestione e promozione dello sviluppo del commercio va sostenuta, per non perdere il capitale sociale rappresentato dai negozi di quartiere? In che modo immaginare il disegno della città e delle periferie, per rendere lo spazio non solo abitabile ma anche bello e capace di comunicare armonia e serenità? Come favorire lo sviluppo di relazioni e di legami, incrementando in questo modo il grado di sicurezza delle persone che vivono in quel quartiere, non delegando questo compito alle sole forze dell’ordine? Come diffondere e far crescere tra gli abitanti la voglia di conoscere la storia dei luoghi, di condividere la festa, di nutrire la memoria comune, di sentirsi sempre più un popolo e una comunità?”
Nella mia personale esperienza le sperimentazioni più belle e feconde avvengono nell’incontro tra la politica, le reti sociali e i servizi locali. Percorsi che reinventano il governo dei processi tenendo conto del contributo che può arrivare dal basso quanto di quello dall’alto coltivando una capacità costante di apprendimento reciproco nel fare comunità.
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