Lavoro
CoVid19 e Responsabilità del datore di lavoro: contrasti tra Cassazione e Inail
La Corte di cassazione con l’ordinanza n. 10404 dell’1 giugno 2020 (Cass.-ord.-n.-8988-2020), sancisce che il riconoscimento dell’infortunio o della malattia professionale da parte dell’Inail non comporta automaticamente la responsabilità del datore di lavoro per i danni sofferti dal dipendente.
È onere di quest’ultimo, che abbia contratto una malattia professionale, dimostrare l’inadempimento datoriale e il nesso di causalità con il danno dal medesimo sofferto.
La responsabilità del datore di lavoro per la mancata adozione delle misure idonee alla tutela dell’integrità fisica dei lavoratori discende, in primis, da norme specifiche collegate alle lavorazioni svolte e al settore merceologico o produttivo in cui opera l’impresa (in tal caso vale tutta la normativa definita dal d.lsg. 81/08 e s.m.i).
Nel caso invece che non vi siano norme speciali di riferimento, la responsabilità del datore di lavoro va ad inquadrarsi nell’articolo 2087 del Codice civile, a norma del quale l’imprenditore ha l’obbligo di adottare, nell’esercizio della propria attività, tutte le misure necessarie, secondo le conoscenze tecniche e le esperienze acquisite, alla salvaguardia dell’integrità fisica e della personalità morale dei propri dipendenti.
In tal senso, anche nel D.L. 23/2020, tradotto in legge il 5 giungo 2020 e pubblicato nella G.U. n.40, è stato inserito l’articolo 29-bis contenente chiarimenti riguardo alla responsabilità dei datori di lavoro per il rischio contagio dei dipendenti. Si tratta di un intervento richiesto da più parti in seguito alle preoccupazioni indotte dai contenuti dell’articolo 42 del “Cura Italia” che equipara il contagio da Covid-19 ad un infortunio sul lavoro.
Relativamente quindi al rischio contagio da Covid-19, l’articolo 29-bis citato afferma che i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (art. 2087 del codice civile) mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, nonché negli altri protocolli e linee guida post-Covid.
Se le linee guida e i protocolli citati non trovano applicazione, valgono le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentative sul piano nazionale.
In caso di contagio di un lavoratore si tende dunque a sollevare da responsabilità il datore di lavoro che abbia applicato le prescrizioni previste da linee guida e protocolli.
L’ordinanza della Corte di legittimità consente di avvalorare la tesi secondo cui, anche in questo caso, la responsabilità dell’impresa non interviene sul mero presupposto che l’infortunio sia riconducibile all’attività lavorativa.
In presenza di un’infezione da coronavirus, che sia stata contratta sul luogo di lavoro, la responsabilità del datore di lavoro, può intervenire solo se non sono state adottate le misure fissate dalle norme speciali introdotte nel periodo di emergenza sanitaria.
Il riconoscimento dell’origine lavorativa del contagio da Covid-19, può essere solo del tipo probabilistica del rischio, considerando le prestazioni che comportano “costante contatto con il pubblico”, e ciò a prescindere da una ipotesi di responsabilità del datore di lavoro.
L’Inail lo dichiara:
“il riconoscimento dell’origine professionale del contagio (…) è totalmente avulso da ogni valutazione in ordine alla imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro che possano essere stati causa di contagio”. (Inail-circolare-n-22-del-20-maggio-2020)
La Cassazione ribadisce che, affinchè vi sia responsabilità datoriale, è necessario un inadempimento rispetto alle norme speciali, le quali in materia di coronavirus sono costituite dai protocolli di contenimento e dalle linee guida governativi e regionali (di cui all’articolo 1, comma 14, del Dl n. 33 del 16 maggio 2020).
Nella verifica delle precedenti sentenze della Cassazione, vogliamo però evidenziare che la produzione a volte, non rispetta assolutamente poi quelle che sono le eventuali liee guida di organi che non hanno valore in tema giurisprudenziale.
Tanto è vero che nel caso di infortunio sul lavoro deve escludersi la sussistenza di un concorso di colpa della vittima quando risulti che il datore di lavoro abbia mancato di adottare le prescritte misure di sicurezza; oppure abbia egli stesso impartito l’ordine, nell’esecuzione puntale del quale si sia verificato l’infortunio; o ancora abbia trascurato di fornire al lavoratore infortunato una adeguata formazione e informazione sui rischi lavorativi; ricorrendo tale ipotesi, l’eventuale condotta imprudente della vittima degrada a mera occasione dell’infortunio, ed è perciò giuridicamente irrilevante. (• Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 15 maggio 2020 n. 8988)
L’infortunio non può essere addebitato al dipendente che agisce su ordine del datore. La responsabilità del datore di lavoro può essere esclusa solo se il lavoratore ha avuto un comportamento del tutto anomalo e imprevedibile, mentre la condotta imprudente resta irrilevante se attuativa di un ordine e svolta sotto il controllo del datore di lavoro.(• Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 21 febbraio 2020 n. 4619)
In tema di infortuni sul lavoro, qualora il comportamento del lavoratore che ha determinato l’evento dannoso sia scaturito dall’inosservanza, da parte del datore di lavoro, di specifici doveri informativi o formativi rispetto all’attività da svolgere, tali da rendere altamente presumibile che, ove quegli obblighi fossero stati assolti, l’infortunio non vi sarebbe stato, non è possibile addossare al lavoratore l’ignoranza delle circostanze che dovevano essere oggetto di informativa o di formazione, al fine di fondare una colpa idonea a concorrere con l’inadempimento datoriale e tale da ridurre, ai sensi dell’art. 1227 c.c., la misura del risarcimento dovuto. (• Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 25 novembre 2019 n. 30679)
Il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell’integrità fisica del lavoratore, è interamente responsabile dell’infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggerne l’incolumità nonostante la sua imprudenza o negligenza; pertanto, la condotta imprudente del lavoratore attuativa di uno specifico ordine di servizio, al datore di lavoro va addebitata la colpa. (• Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 5 dicembre 2016 n. 24798)
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