Ambiente
Costruire la Città 30 a partire dalle scuole
Testo scritto con Chiara Quinzii.
Una città di scuole
A seguito dell’introduzione e avvio di Bologna Città 30, nei giorni scorsi si è creato un surreale clima di polemiche tra l’amministrazione comunale emiliana e il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, conclusosi, per ora, con una direttiva del Ministero stesso che chiede di giustificare la riduzione dei limiti di velocità rispetto a particolari situazioni che possono essere presenti nei centri urbani.
Di queste particolari situazioni, che giustificano limiti di velocità ridotti, fa un elenco, tra l’altro riferendosi alla circolare 1200 del 14 giugno 1979 (di ben 45 anni fa, per guardare avanti!), che include assenza di marciapiede e/o movimento pedonale intenso, attraversamenti non semaforizzati, in strade ad alta frequentazione di pedoni e ciclisti, reticoli stradali con frequenti interruzioni, frequenza di ingressi e uscite di asili, scuole, campi sportivi, parchi di gioco, luoghi di culto, ospedali, musei e poi ancora presenza di immobili storici e di preminente interesse artistico e di unità abitative residenziali [..] Definisce poi i tassi di incidentalità monitorati almeno nell’ultimo triennio come altra motivazione possibile per giustificare la riduzione di limiti di velocità.
Che cos’è questo luogo che presenta tutte queste caratteristiche in modo capillare? È la città, o comunque la stragrande maggioranza del suo territorio costruito.
Proviamo a fare quindi un piccolo esercizio prendendo ad esempio Milano e considerando anche solo uno degli elementi elencati: le scuole.
Le scuole, soprattutto quelle dell’obbligo, sono state costruite nell’ultimo secolo seguendo la normativa urbanistica che le prevede come un servizio di base, di prossimità. Il legislatore ha pensato, in tempi non sospetti, che la scuola, diritto e dovere per ogni bambino e per la sua famiglia, dovesse essere a portata di piedi, permettendo l’accoglienza di un grande bacino di utenti e, in una certa maniera, quasi per evitare qualsiasi giustificazione per non frequentarla.
Se mappiamo anche solo tutte le scuole elementari di Milano vediamo infatti come queste siano sostanzialmente omogeneamente distribuite in tutta la città. Se aggiungiamo poi anche tutti gli altri ordini e gradi, dagli asili alle scuole superiori, includendo anche le scuole private paritarie, vediamo un pulviscolo diffuso su tutta la città di più di 1000 istituti scolastici.
E se definissimo un’area di prossimità intorno ad ogni scuola corrispondente a 500 m, ovvero 5 minuti a piedi, quanta parte di città copriremmo? Sostanzialmente tutta la parte costruita (curiosamente rimarrebbe fuori una piccola lingua nel centro storico tra il Duomo e il Castello Sforzesco, che in gran parte oggi è pedonale): applicando una riduzione dei limiti di velocità così puntualmente otterremmo l’obbiettivo generale di ridurre la velocità in ambito cittadino, parte di una politica che riequilibri l’uso della strada, che diminuisca il traffico veicolare, che favorisca la mobilità attiva, che cerchi di far fronte all’emergenza ambientale (inquinamento, isola di calore) e della sicurezza e che, più in generale, si prenda cura del benessere dei suoi abitanti.
La città delle scuole dimostrerebbe, tra l’altro, che l’organismo urbano è un ambito di movimento uniforme, che non può essere ridotto ai meccanismi rigidi dei percorsi casa-scuola o casa-lavoro: lo spazio pubblico è ovunque e per questo la tutela dei cittadini deve essere estesa, ampia, generalizzata.
Milano oggi sta iniziando ad attuare in maniera più sistemica una politica, quella delle strade scolastiche, che cerca di creare dei minimi ambiti di sicurezza intorno alle scuole, in modo da assicurare una sorta di “sagrato” di fronte ad ognuna di esse, nel quale si possa, come minimo, entrare ed uscire in sicurezza e magari anche fermarsi a fare due chiacchiere e giocare.
Ma oggi, anche se il Ministero cerca di fermarci al 1979 (che, come abbiamo visto, aveva una visione più ad ampio raggio, già tutelando le scuole come ambiti di riduzione della velocità veicolare), dobbiamo pensare anche a come si raggiungono, in sicurezza, queste strade/piazze scolastiche.
Dobbiamo incentivare, anche per motivi di salute pubblica, il movimento a piedi di genitori e bambini, dobbiamo ri-costruire la città di prossimità, la città dei quartieri, così facendo, in realtà, stiamo ridefinendo la città nel suo insieme.
E di fatti, se si visitano le città europee, i bambini vanno a piedi, soli, a scuola. Quasi solo in Italia c’è il traffico pazzo di automobili dei genitori che li accompagnano. Del resto io stesso, sia da bambino, sia da ragazzo, a Bahía Blanca, in Argentina, andavo a scuola a piedi (circa 1, 50 km per la primaria, poche centinai di metri per il liceo), e a con gli autobus quando ritornammo a Roma. Questa cappa d’iperprotezione dei genitori italiani è dannosissima per l’educazione dei bambini e dei ragazzi.