Cibo
Contrada Govinda, il ristorante di Davide Longoni apre anche a cena
In via Valpetrosa, stretta traversa di via Torino fra il Tempio di San Sebastiano e Piazza San Sepolcro, c’era e c’è ancora, la sede milanese del tempio Hare Krishna, o più precisamente dell’International Society for Krishna Consciousness.
Per decenni, e fino a poco tempo fa, vi si accedeva attraverso un centro culturale e ristorante vegetariano di cucina indiana all’interno di un bellissimo edificio del ‘400, con il soffitto a volta e in fondo alla sala, non visibile dall’esterno, uno splendido cortile di scuola bramantesca.
Dal 20 settembre la gestione della cucina è cambiata: l’ha presa in mano Davide Longoni, panificatore milanese con già diverse sedi a Milano, una scuola di panificazione in apertura a Chiaravalle e un virtuoso lavoro sui campi del parco della Vettabbia ora coltivati a segale. Dalla collaborazione con lo chef e scrittore Tommaso Melilli e con la chef georgiana Nata Qatibashvili è nato il progetto di un ristorante e aprirlo all’interno della sede Hare Krishna è stata una bella sfida. Vincoli stretti spesso stimolano l’immaginazione: le regole della cucina ayurvedica, che prendendo il testimone di Govinda (ora Contrada Gonvinda) i nuovi gestori dovranno rispettare, non prevedono il consumo di carne, pesce, uova, aglio, cipolle e, soprattutto, alcol. Quest’ultimo punto ha forse contribuito, inizialmente, alla scelta di tenere aperto dalle 8 alle 20: quindi panetteria, colazione, pranzo e merenda.
E invece questo weekend sono state inaugurate anche le aperture serali: d’ora in poi il giovedì, venerdì e sabato a Contrada Govinda sei potrà anche cenare e chi volesse un cocktail troverà fantasiosissimi Negroni e Sbagliato, magari con la barbabietola al posto del Campari.
La cucina non è né indiana, né italiana, forse entrambe, sicuramente sorprendente, curiosa. Gli ingredienti sono tutti italiani perché oltre ai vincoli della cucina ayurvedica ci sono anche vincoli etici e, si può dire, politici da rispettare, e infatti, racconta Tommaso Melilli, i prodotti sono naturali, di stagione, non vengono da troppo lontano e si evita la grande distribuzione, non c’è mai più di un intermediario fra ristorante e produttore e anzi, spesso il contatto è anche diretto. Sono le spezie, come il curry, e soprattutto l’accostamento degli ingredienti ad evocare invece la cucina indiana.
Il sedano rapa alle foglie di curry, per esempio, ricorda a vederlo il pollo al curry, mentre la Roveja al latte di cocco (non facciamoci ingannare dal nome, la roveja è un legume umbro) rimanda forse a un Dahl di lenticchie. E il Cavolfiore viola, con melograno, patate dolci di Anguillara e somacco mette allegria solo a guardarlo.
I cambiamenti spaventano sempre e Tommaso Melilli racconta di vecchi clienti indignati quando scoprono passando per via Valpetrosa del cambio di gestione. Gli Hare Krishna invece sono contenti, li vengono a trovare spesso, c’è scambio interesse e curiosità reciproca. E i clienti, quelli nuovi e quelli che non si sono fatti intimorire dalle novità, vengono e quasi sempre ordinano il menù degustazione che, osserva Tommaso, è come dire allo chef “mi fido, lascio che sia tu a mettere il tuo spettacolo in scena, o in tavola”. Poi tornano e approfondiscono alla carta quello che li ha colpiti la prima volta, ma la prima reazione è la curiosità di scoprire qualcosa di nuovo.
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