Milano
Cinquant’anni dalla morte di Buzzati: il Colombre in musica al Conservatorio
Il 28 gennaio del 1972 moriva Dino Buzzati. Veneto, ma milanese d’adozione, scriveva di cronaca nera per il Corriere della Sera e di quell’immaginario in cui era immerso nel quotidiano spesso nutriva i propri racconti. Racconti che però subito scivolavano nel fantastico e nel surreale, nutriti di un nitido sguardo kafkiano e di mistero. Qualcosa sempre da cercare oltre le righe, di intuíto e di non detto, lontano e alluso, fra parole e particolari estremamente concreti.
In occasione di questo cinquantenario, alla Sala Verdi del Conservatorio verrà suonato Colombre, un brano per orchestra composto da Vincenzo Parisi. Ligure-siciliano ma anche lui milanese di adozione, ha cominciato nel 2011 sul palco del Cicco Simonetta con il gruppo alternative rock Kafka On The Shore, nome ispirato a Murakami ma che certamente Buzzati avrebbe apprezzato e forse avrebbe disegnato con quel suo stile dolce, fra De Chirico e le fiabe per bambini. Il logo dei Kafka, in realtà non buzzatiano nello stile, rappresentava proprio un colombre.
Un album, qualche premio e centinaia di concerti più tardi, nel 2015 il gruppo si è sciolto e Vincenzo Parisi è tornato all’origine: la musica classica.
Musica classica dentro cui era cresciuto, da pianista, ma in cui ora aveva molto di suo da portare. Una voce, come si dice in letteratura: carica di rock e di elettronica, di ricerca di suoni a volte difficili e scomodi, altre inebrianti, ossessivi come mantra, danze pagane o preghiere.
Il disco Zolfo del 2020, a dir poco sperimentale, riprende canti popolari siciliani e li reinterpreta, in una scrittura per pianoforte solo. Nel 2021 con Fulmine randagio, quintetto per flauto, clarinetto basso, violino, violoncello e pianoforte, ha vinto il Premio del Conservatorio di Milano in Composizione e il 1° Premio al Concorso Internazionale di Composizione “Jorge Peixinho” di Lisbona.
Da palermitano cresciuto sul mar Ligure, il mare è sempre presente, quello più caldo e denso della Sicilia, quello più aspro di Albisola. Nel mare, fra le onde che si ripetono, c’è il Colombre.
Per chi non ne conoscesse la storia, lo splendido racconto buzzatiano narra di Stefano Roí, figlio di un capitano di mare, che per i suoi dodici anni salì per la prima volta a bordo del veliero del padre, sognando di fare anche lui da grande quella stessa affascinante vita. Ma quello stesso giorno, scrutando il mare e la scia bianca della nave, vide una figura lontana che ogni tanto spuntava in superficie, sempre alla stessa distanza. Quando lo disse al padre questi lo guardò spaventato. Quella figura era il Colombre: uno “squalo tremendo e misterioso, più astuto dell’uomo” che “per motivi che forse nessuno saprà mai, sceglie la sua vittima, e quando l’ha scelta la insegue per anni e anni, per una intera vita, finché è riuscito a divorarla. E lo strano è questo: che nessuno riesce a scorgerlo se non la vittima stessa e le persone del suo stesso sangue”. Il padre fece sbarcare il ragazzo in tutta fretta, raccomandandogli di non lasciare la terraferma mai più. Stefano Roí obbedì e per gli anni a venire, ogni volta che si avvicinò al mare, scorse da lontano il suo inseguitore: “il ‘suo’ Colombre (…) ostinato ad aspettarlo”. E anche quando il giovane approdò alla vita di mare che desiderava e gli era destinata, il Colombre non smise mai di seguirlo e lui di sfuggirgli.
Fattosi vecchio, prossimo alla morte, Stefano Roí decise di andare incontro al suo Colombre. E quando con una barchetta a remi lo raggiunse questi gli disse che per tanti anni lo aveva seguito, con grande fatica, per portare a termine il compito affidatogli dal Re del Mare: doveva consegnarli la Perla del Mare, che “dà a chi la possiede, fortuna, potenza, amore e pace dell’animo”.
Il brano composto da Vincenzo Parisi sarà suonato per la prima volta il 20 gennaio. Nessuno l’ha mai ascoltato, come nessuno ha mai visto il Colombre, ma l’ha un po’ raccontato a Gli Stati Generali.
Il tuo brano, a quanto si legge e mi hai raccontato, rappresenta un’onda che si riflette sempre uguale eppure sempre diversa. Dov’è il Colombre lì dentro?
Credo ci siano infiniti modi per approcciare la scrittura, qualsiasi tipo di scrittura. Prendi Chopin e i suoi Studi per pianoforte, esempio tra i più immediati: in ogni studio Chopin parte da un problema specificamente tecnico del modo di suonare il pianoforte e lo sfida per vedere fino a che punto si possa spingere il virtuosismo esecutivo, ma la grandezza sua sta nella capacità tipica del grande compositore di saper sublimare il mero tecnicismo ed elevare a poesia il gesto.
Diametralmente opposto a questo approccio – ma ovviamente è una semplificazione – c’è invece un tipo di scrittura che parte da un’idea molto più astratta, spesso dal pre-verbale, e quindi il compositore afferra questa idea non fatta di note ma di colori, di densità, di energie e masse in movimento e la trasferisce alla carne degli strumentisti che ha a disposizione, cercando di capire quale possa essere il tecnicismo adatto a far sì che quell’idea prenda vita in musica.
Nel caso del Colombre, l’idea alla base della costruzione è stato un impulso sotterraneo, profondamente radicato a terra, il bisogno mio prioritario di sentire muovere le energie ombelicali più di altre. Fulmine randagio faceva dell’elemento aereo la sua cifra di fondo e dopo un anno e mezzo a pensare a fulmini e nuvole, puoi ben capire che avessi bisogno di cambiare gli elementi fondamentali cui dare la mia attenzione: e così sono stato spinto, mi sono spinto, verso la terra e l’acqua, elementi naturalmente più pesanti, più ancoranti. Che poi la terra e l’acqua non siano solo pesanti, è cosa ovvia. E infatti Colombre oscilla fra il subacqueo, la terra che sta laggiù nelle profondità marine e il contatto che l’acqua ha col cielo: il vento si muove a pelo d’acqua, e le onde, si sa, possono salire a metri d’altezza con il vento che le attraversa.
L’impulso sotterraneo (o forse subacqueo, o forse entrambe le cose) dato dalle percussioni si trasforma in onda, e tutti gli altri strumenti dell’orchestra, fiati e archi, si muovono, come un grande bellissimo sintetizzatore, per creare queste onde, colorate ogni volta in modo un poco diverso.
C’è un movimento cangiante abbastanza minuzioso tra le masse orchestrali, molto complesso da gestire per gli esecutori e il direttore d’orchestra, e l’effetto finale è una sorta di magma che si muove tra le sezioni cambiando forme ad ogni ripetizione di quest’onda.
A livello macro-formale la composizione è costruita accostando fotografie diverse della stessa onda: è sempre la stessa, sì, potresti sempre riconoscerla, ma ogni volta che si ripete è un poco diversa, per durata e movimento di masse interne. È un po’ come guardare tantissime fotografie dello stesso oggetto prese da angolazioni diverse, e in ognuna di queste fotografie puoi notare dettagli diversi. Potresti persino soffermarti a guardarne una un po’ di più rispetto ad altre, oppure potresti notare una qualità della grana che prima non avevi per nulla notato e a quel punto il viaggio della tua mente parte per orizzonti che non avevi previsto.
Insomma, per concludere, è la storia di un’onda. Ma allo stesso tempo non c’è nessuna storia.
Non c’è una narrazione, eppure se vuoi la puoi trovare. Dipende da te che ascolti.
Di certo la tensione è sempre tenuta sul filo del rasoio, e l’incalzare delle figure brulicanti all’interno di questo grande magma pulviscolare dovrebbe tenere l’ascoltatore incollato mentre naviga con l’orecchio sopra questo mare di inquietudine.
La vita di Stefano Roí, il protagonista del Colombre, è una vita che si ripete, sempre uguale ma fuggendo per mille mari diversi. È poi una delle tematiche portanti della letteratura di Buzzati se ci pensi: un uomo che sta per tutta una vita fermo nello stesso posto, oppure che vaga per mille mari, oppure c’è un goccia che sale le scale sempre con lo stesso incedere ritmico per un tempo senza fine, nella fissità succede di tutto e nell’infinita varianza ti trovi sempre nello stesso spazio, fisico o mentale che sia. Nel finale della composizione succede qualcosa di diverso. Ma non posso fare spoiler, sennò poi che gusto c’è? Chi leggesse il racconto di Buzzati, troverebbe in ogni caso qualche indizio su come potrebbe finire il pezzo, e allora potrebbe persino figurarsi un finale pur senza aver mai neanche ancora sentito l’inizio…
I racconti di Buzzati sono simbolici, rimandano sempre a qualcosa allo stesso tempo di facilmente intuibile ma anche di non detto e indefinibile. Il Colombre è una metafora chiarissima di qualcosa eppure se si dovesse dire di cosa non so se sarebbe così facile. Il “tuo” Colombre sapresti dire se l’hai riconosciuto?
In parte forse ti ho già risposto. Di certo posso aggiungere che nel Colombre, come peraltro in molta della produzione di Buzzati, viaggia sempre tra le righe un’oscillazione costante attorno al concetto di destino: un destino che gli è stato predetto e cui il protagonista spesso cerca di fuggire, ma alla fine dei conti lo realizza con raffinatissima chirurgia proprio grazie alle tecniche di fuga che ha adottato.
Dopodiché, il Colombre, tra le letture più immediate che se ne possono trarre, simboleggia il mostro/angelo da cui noi tutti fuggiamo e cui invece dobbiamo andare incontro: è la paura di essere noi stessi fino in fondo.
Il mio fare musica, il mio essere musicista, anzi proprio specificamente compositore, ha attraversato una bella serie di tornanti piuttosto travagliati, sui quali evito di dilungarmi. Sostanzialmente la decisione di “rassegnarmi” all’idea di fare il musicista è arrivata dopo anni di studi anche piuttosto disparati, tra i quali non posso non citare i miei anni passati studiando economia alla Bocconi. Ma da allora, diciamo che ho iniziato a dormire meglio.
L’esecuzione si terrà il 20 gennaio alle 20.30 e sarà affidata ai musicisti dell’orchestra sinfonica Oscom, formata dai migliori studenti del Conservatorio di Milano, e diretta da Yoichi Sugiyama, fra i massimi esperti di musica contemporanea di oggi: fra un Conceto per flauto e arpa in do maggiore di Mozart, una Sonata per flauto e orchestra da camera di Francis Poulenc e Lennox Berkley e una Simple Symphony di Benjamin Britten ci sarà un Colombre per orchestra, magari con la sua Perla del mare.
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