Milano
C’era una volta, la festa della Liberazione
Camminiamo fino a Palestro, dove ci si ritrova con il gruppo degli stagionati. Io però ho il privilegio di essere accompagnato da mia figlia di 21 anni. Più o meno l’età dei giovani con Lotta Comunista in braccio, strilloni ottocenteschi vestiti fast fashion, che supplicano di acquistarne una copia. Dopo averne rimbalzati due con mediocre ironia (“Mi sembra di essere entrato nella macchina del tempo!”) a una ragazza che le somiglia ne compro una copia. La infilo nello zaino. Arriviamo all’incrocio, davanti all’uscita dai Giardini, dove il flusso di persone si concentra e si schiaccia. Sventolando il drappo rosso che mia figlia si era messa al collo riusciamo a riconoscerci e radunarci. Puntiamo al centro del corteo, dove batte il sole, che all’ombra l’aria è ancora stronzetta. Per noi: lei ha già un caldo della madonna ed è in maglietta. La usiamo come ariete gentile, la motivo dicendole di immaginare di dover conquistare il sotto palco al concerto di Billie Eilish. Funziona. La rosa dei venti trasporta combustioni di thc, dal carro di fronte, sul quale sventolano bandiere palestinesi, si pompa musica sincopata e si vendono birre Moretti in lattina a 2.50. Guardo avanti, aspettando un movimento del corteo. Le voci vibrano, le bandiere sventolano, ma i carri sono fermi. Il Carnevale dei giusti non parte. Sono le tre e mezza. Pace è scritta ovunque. In tutte le lingue del mondo. Su cartelli personali, voci mute di identità. E ci mancherebbe! L’altra parola, imprescindibile, è Giustizia. Ma così complichi, dai, lascia sfilare… Scurdammoce u passato, simmo in Italy, paisà.
Un tizio da terziario avanzato, con moglie e figlia, ha come mantellina la bandiera palestinese. Poco più avanti, da un altro carro, alto, decine di ragazzi arabi in piedi, spavaldi, padroni della scena, che ripetono a squarciagola, come ultras da stadio, le frasi che escono dal megafono impugnato da una ragazza con la voce roca, straziata, carica di disprezzo, gonfia di risentimento. Israele criminale! Assassini. Questa la sintesi. Siamo a una manifestazione Pro Palestina. Per mia figlia ci sta, papi: hanno anche ragione. Perché a vent’anni si è stupidi davvero, quante palle si ha in testa a quell’età! Mi sale un Guccini d’annata, ma vorrei avere vent’anni. La narrazione pregiudiziale aspettava solo il pretesto per divampare. E questo è enorme, purtroppo. I fascisti se la ridono. Gli ebrei tornano nel mirino dell’odio. Non reggo più questa oppressione, l’isteria della ragazza mi sta cambiando l’umore, fosse un videogioco la abbatterei, allora propongo di spostarci sul marciapiede e provare ad avanzare un po’. Ma la storia si ripete. Un gruppo che comprende tipologie umane diverse, all’apparenza opposte, lancia invettive verso lo sfilare della Brigata Ebraica, parole e rabbia identiche a quella della ragazza palestinese con il megafono. L’omino che inizia per H sta vincendo. Dalle pance nutrite a salutismo, dai loro cuori che pompano eguaglianza, escono urla che spaventano, cariche d’odio (questo è il sostantivo che devo ripetere: un altro, altrettanto efficace, non c’è, nei sinonimi e contrari). Tutto pare grottesco. All’estrema destra non sembra vero: il lavoro sporco, alla luce del sole, lo fanno i nemici di sempre. Ai quali si finisce per somigliare. Una deriva. Vorrei prendere nome e cognome di ognuno di questi tizi, così, come si faceva in quel dell’Est nel dopoguerra, ispirato anche dallo sventolare rosso di falci e martelli, ma solo per poi tornare a rintracciarli quando tutto questo avrà dato i suoi frutti antisemiti, e H sarà ancora in giro a ghignarsela: Sei contento, adesso? Sei stato complice. Sei stato soffio nel vento inquisitore.
Vedo Gad Lerner, al bordo del marciapiede, un mezzo sorriso, come stralunato. Un uomo avanti con gli anni, vestito con disarmante semplicità. Vado a stringergli la mano. Forte. E lui ricambia. Non servono parole.
Arriviamo in Duomo, origliamo i comizi, la nuvola dei cosiddetti antagonisti lancia strali infuocati verso il sindaco oratore. Ma ci stiamo facendo il callo. Rumore di fondo. Mia figlia torna indietro a raggiungere i suoi amici. Noi salutiamo quelli che vedi poco, ma oggi, prima o poi, sai di incrociarli. Alle cinque e mezza riprendiamo il percorso, all’inverso. E ancora sta muovendo il corteo verso il Duomo. Saranno contati in centomila. Cifra tonda. Per me, per sempre, i Noi presenti a San Siro per Bob Marley. Il carro palestinese infoiato è ancora in Corso Venezia, e la tipa procede, instancabile, la sua nenia avvelenata. Una fibra incredibile. Odiare raddoppia le energie.
Raggiungiamo il cordone di Polizia e Carabinieri, dopo di loro tutto finisce, e torna il passeggio festivo, ciondolante. Corazzati, sguardi contratti, visi giovani, mi lasciano sempre sentimenti contrastanti. Dal Planetario esce lentamente il pubblico dell’ultimo spettacolo. Sono curioso e vado a vedere la locandina. Un viaggio tra le stelle, il titolo. Tra venti minuti l’ultima replica. Una ragazza si ferma due passi dopo il cancello e alza gli occhi al cielo. E così sta.
Ne ho bisogno anch’io. E faccio il biglietto.
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