Milano
“Far vivere il passato nella nuova Milano: così è nata la Casa della Memoria”
Settant’anni, tondi tondi, dalla Liberazione di Milano e dell’Italia, da quel 25 aprile che ha fatto la nostra storia. Per celebrare quella memoria, per conservarla, Milano ha da oggi un monumento in più. La casa della Memoria verrà infatti inaugurata ufficialmente oggi, dopo anni di progetti, lavori e discussioni. Il monumento fu inizialmente promosso dalla giunta Moratti e dal suo assessore Verga. In quella fase, il progettista doveva essere Stefano Boeri. La casa della memoria sorge nel complesso di Porta Nuova, proprio ai piedi del Bosco Verticale progettato proprio da Boeri, e nasce come sfogo degli oneri di urbanizzazione secondaria a fine sociale a carico di Hines, il grande gruppo immobiliare che sviluppato tutta l’area delle Varesine. A sviluppare il progetto, a seguirlo fino alla sua esecuzione, un gruppo di architetti under 40, baukuh. Abbiamo incontrato il cofondatore che ha seguito direttamente questo progetto, l’architetto Pier Paolo Tamburelli.
Come mai è toccato a voi?
Quando Boeri è entrato in politica e ha rinunciato al progetto, ha promosso un concorso internazionale di architetti. I soggetti attorno a quali si doveva sviluppare il progetto erano tre: il comune, Hines e le associazioni (AIVITER, ANED, ANPI, Associazione Piazza Fontana 12 Dicembre 1969, INSMLI) .
Il concorso lo vince un allievo di Boeri, cioè tu. Chi c’era in giuria?
(sorride e annuisce). Il presidente era Cesar Pelli, il progettista della torre di Unicredit; poi c’era Stefano Boeri, appunto, e una rappresentanza del Comune e di Hines.
Quali erano i punti di forza del vostro progetto, rispetto agli altri?
Anzitutto il nostro progetto costava poco. Sembra un dettaglio un po’ misero, ma se non fosse stato così ora l’edificio semplicemente non ci sarebbe. In tutto l’edificio costa 3,6 milioni (oneri che Hines doveva dare al Comune e che venivano commutati, per così dire, in questa urbanizzazione secondaria). Il nostro edificio è estremamente semplice. Parliamo di 2500 mq, per un costo di costruzione di meno di 1500 euro al metro quadro. Per intenderci, la media costo dei musei tedeschi è di circa 4 mila al mq. Per rispettare questo piano costi abbiamo dovuto fare scelte radicali: niente controsoffitti, cemento armato a vista, pavimento di gomma a bolli. In un certo senso è un edificio sfacciatamente povero: da fuori sembra un granaio, dentro un garage. Eppure è anche un oggetto molto ambizioso in termini culturali. Credo che questa “ambiziosa povertà” sia una delle caratteristiche che rendono l’edificio contemporaneo, che lo fanno un documento di questo preciso momento storico.
Mmm: granaio, garage… Spiegaci l’ambizione di cui parli.
L’ambizione sta anzitutto nello “scopo”: abbiamo progettato e realizzato un vero e proprio monumento, ed è davvero inusuale nell’architettura contemporanea. C’è, in questo, una grande ambizione e una forte sfida alla tendenza più consolidata, che pensa i monumenti delle nostre città come realizzazioni ereditate dal passato. L’ambizione sta naturalmente anche nelle scelte scomode che abbiamo fatto: a cominciare dalle enormi rappresentazioni sulla facciata che costituiscono un’autorappresentazione della città e della sua memoria.
Ecco. Parliamo un attimo di queste rappresentazioni. A me sembrano praticamente irriconoscibili a chi non le conosca già, quasi ermetiche, in definitiva poco comprensibili.
Quella di mettere le facce in facciata è stata una nostra proposta. Lavorando con il Comune e le Associazioni poi l’operazione è leggermente cambiata: noi avevamo proposto al comitato scientifico di raffigurare ritratti di milanesi illustri. Il comitato scientifico invece ha deciso per una rappresentazione più corale e complessa delle popolazioni milanesi.
Le associazioni rappresentano i partigiani, le vittime del terrorismo, gli ex deportati. Com’è stato il dialogo con loro?
Ovviamente, il loro approccio è segnato da un radicamento identitario della memoria che rappresentano, e non sono particolarmente disponibili a mediare su quei vissuti dolorosi da tramandare. Del resto questa è una casa della memoria, e non della storia, e quindi ci può stare. Quanto alla difficile riconoscibilità dei soggetti rappresentati, questa invece è una nostra scelta. le immagini sono composte con mattoni di sei colori diversi, come dei giganteschi pixels grossi come un mattone. Ovviamente, realizzate così, le immagini sono – per così dire – a bassissma risoluzione: quindi da lontano si vedono, da vicino sgranano, ed è quello che volevamo: perché la memoria è materia complicata. Per quanto noi volessimo disporre le immagini direttamente sull’edificio e realizzarle in un materiale durevole (anche definitivo, in un certo senso), d’altra parte volevamo anche mostrare tutta l’incertezza di questa memoria, la sua fragilità. Quindi le immagini da lontano sono molto forti e poi come spariscono quando ci si avvicina, come se fossero molto più insicure di quanto non sembri.
La scelta del mattone è anche un elemento di “resistenza” e alterità rispetto all’architettura che la circonda?
No, è una scelta di economia e sostenibilità che sta, peraltro, nel pieno della tradizione monumentale milanese: dall’Ospedale Maggiore a San Satiro, a Santa Maria delle Grazie.
Entriamo nella “Casa”. Cosa troveremo?
Abbiamo realizzato un edificio il più semplice possibile, così da adattarsi a tutti (o almeno a molti) possibili usi futuri: mostre, esposizioni, percorsi, conferenze. La collezione principale è quella dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia . La consultazione dei materiali non è ad accesso diretto: non si potrà toccare, ma tutto sarà molto vicino. La grande scala gialla all’interno porta i visitatori molto vicino alla collezione, ne dà un percezione fisica della consistenza.
Cosa speri che diventi la Casa della Memoria?
Spero che i milanesi potranno usarla per discutere e conoscere il proprio passato. Questo monumento inizia a vivere ormai senza i testimoni, e spero che la casa serva ad avvicinare chi non sa molto di questa storia.
In effetti anche la collocazione in un luogo molto “laico”, un luogo dello struscio commerciale, come già è Porta Nuova.
Ecco, spero che le associazioni colgano questa sfida e la vivano come un’opportunità e non come un fastidio. Anche il fatto di essere tutti assieme, tra custodi di memorie diverse, sicuramente creerà qualche difficoltà, ma certamente rappresenta una enorme risorsa per raccontare la propria storia a tutti quelli che la vorrebbero sapere.
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