Calcio
ARRIGO “CHE GUEVARA” SACCHI UN VERO RIVOLUZIONARIO: AUGURI
“Berlusconi ci raggiunse il sabato nello spogliatoio e fece un discorso brevissimo, ma di straordinaria efficacia “Questo allenatore l’ho scelto io, gode della mia massima fiducia. Chi non segue le sue indicazioni non rimarrà” e fece un gesto eloquente con la mano. “Auguro a tutti un buon lavoro” e se ne andò”.
(cit. Arrigo Sacchi; Calcio totale.)
Arrigo, che il primo aprile compie 71 anni, si riferisce al discorso tenuto dal presidente alla squadra prima della partita con il Verona della stagione 1987-88, partita che arrivava subito dopo quella di Lecce con l’Espanyol e l’eliminazione dalla dalla Coppa Uefa.
Sono passati circa trent’anni, ma quel discorso, secondo me, rappresenta il vero punto di partenza di una delle più incredibili carriere da allenatore della storia del calcio mondiale.
Ed eravamo “solo” nel 1987, vale a dire appena cinque anni dopo la sconfitta con la Cavese in casa per 2 a 1, massima punta di orgoglio rossonero con 60.000 persone allo stadio (e la Fossa).
Assurdamente bello quanto accadde al Milan e ai milanisti in quegli anni irripetibili, in cui siamo passati dalla Serie B alla finale di Coppa dei Campioni in un battibaleno. Da una squadra di miti minori (ma pur sempre miti) alla più forte squadra di club di tutti i tempi.
E’ stata una cavalcata che è andata, più o meno, di pari passo con quella della società italiana.
Dalle B.R. alla Milano da bere; dagli anfibi alle ballerine, dai Clash a Joshua Tree, da Lotta continua a Milano Finanza. Da Icardi e Battistini (onore a loro) a Gullit e Van Basten.
Dalle due finali di Coppa dei campioni del 1984 (Roma) e del 1985 (Juve), entrambe tristi seppur per motivi diversi, all’esplosione del Camp Nou del 4 a 0 allo Steaua.
Sacchi, come tutti i rivoluzionari (Newton, Galileo, Copernico, Einstein, Kafka e Che Guevara), dovette lottare per far attecchire le sue idee ma, quando ci riuscì fu il nirvana del calcio. E per quelli come me, che all’epoca facevano l’università, ancora di più, visto che potevamo goderci tutte le partite.
Partite in purezza, partite che, però, non sempre si potevano vedere, come il 3 a 2 al San Paolo, il primo maggio del 1988. Quell’anno il Milan fu di Ruud, del leggendario Ruud Gullit, di Carlo Ancelotti e di Franco Baresi, tre giocatori con un carisma senza fine, carisma che misero, con umiltà (1 comandamento del Profeta) al servizio della squadra.
Come dice Sacchi, citando forse Jake Blues del Blues Brothers, “erano la spina dorsale della squadra”.
I risultati furono devastanti. Al punto che quel primo maggio i tifosi napoletani, con grande sportività, applaudirono lungamente il Milan. L’allenatore a fine partita disse “non siamo i più forti, oggi siamo stati più forti” o qualcosa del genere. Ancora adesso vederlo con il groppo in gola mi emoziona.
Il parvenu Berlusconi riuscì nell’impresa di spazzare tutto quello che era venuto prima, sia il buono (come l’immenso Gianni) sia il meno buono come le due retrocessioni, il calcioscommesse e Giussy Farina che affittava Milanello per i matrimoni (era già avanti, ora la multifunzionalità degli stadi è una regola fissa).
Quell’omino con il megafono aveva stregato tutti, anche il grande Real; al Bernabeu le merengues andarono 21 (si 21) volte in fuorigioco. Ma prima c’era stata la partita di Belgrado, quella della nebbia, quella in cui si è cementata la certezza che quell’anno avremmo vinto noi la coppa più importante.
Sempre nel suo libro Arrigo racconta che Galliani disse, poco prima della ripetizione della gara, “ci sono oltre centoventimila persone! non dovete avere paura” e Ruud chiese di solito quanti vengono a vedere la Stella Rossa, “trenta quarantamila rispose Galliani. “E allora gli altri sono venuti a vedere noi” replicò il tulipano nero.
Prima della gara con lo Steaua, Sacchi racconta “lessi alla squadra queste parole di Gianni Brera “Giochiamo contro i maestri del palleggio e del possesso palla, dobbiamo aspettarli e uccellarli in contropiede” e chiesi ai giocatori se era la tattica giusta.
“Gullit mi rispose determinato come non mai: “No. Dobbiamo giocare come abbiamo sempre fatto. Li attacchiamo dal primo all’ultimo minuto, fintanto che abbiamo energia”. Questo era Sacchi, questo era Ruud, questo era il Milan. Questo siamo noi milanisti, abituati a vincere e a perdere. Categoria particolare quella dei tifosi rossoneri, capaci di passare dalle vette alla polvere, ma sempre attaccati alla squadra.
Il signor nessuno, il rappresentante di scarpe aveva saputo creare un gruppo di uomini e mutare definitivamente il calcio, come pochissimi altri prima e dopo di lui. Ha sempre difeso e sostenuto i suoi giocatori, forse troppo potrebbe dire qualcuno, ad esempio se ci riferiamo alla lista dei rigoristi della finale di USA 94.
La Nazionale è stata il suo grande cruccio, non ce l’ha fatta per un pelo. Ebbe il torto di arrivare secondo e per questo fu criticato ma anche attaccato durante il lavoro con le maglie azzurre; all’Europeo del 96 andammo a casa per un rigore fallito (Rep. Ceca e Germania, le due che passarono nel nostro girone si giocarono la coppa in finale). Tornò al Milan e questo fu un errore del suo cuore.
Freak Antoni lo diceva, in Italia non c’è gusto ad essere intelligenti, ma nemmeno a essere uno che ha cambiato il calcio e i suoi rituali: un eretico, uno, che i suoi detrattori (e ce ne erano tantissimi) avrebbero davvero trattato come Savonarola o Giordano Bruno. Invece ha cambiato il paradigma e il linguaggio del gioco del pallone (per dirla con Kuhn, quello del saggio sulle rivoluzioni scientifiche). Qualcuno, più di altri, lo aveva capito e gli voleva bene come Giancarlo Padovan.
Il tempo, come si dice, è galantuomo e anni dopo (come per la relatività, del resto), le cose sono state rimesse a posto.
Tutti gli allenatori più famosi -e vincenti- in attività riconoscono la sua grandezza a cominciare da Mourinho e Guardiola (che almeno su questo sono d’accordo); Klopp e naturalmente il suo discepolo Carletto (che lo ha addirittura superato vincendo tre Champions). Ma anche Frank Rijkaard e Donadoni hanno ottenuto grandi risultati. I giornalisti, un tempo critici o irridenti, si sono ricreduti e hanno partecipato alla sua beatificazione.
Oggi, per noi milanisti, quei tempi sono passati ma l’affetto per l’Arrigo di Fusignano è rimasto intatto e lui ha sempre ricambiato. Auguri Arrigo e forza Milan, sempre.
“Noi tifosi del Milan abbiamo un sogno nel cuore , Arrigo allenatore”.
PS anche Alberto Zaccheroni è nato il Primo aprile, ma questa è un’altra storia e un altro scudetto. Auguri anche a lui, che stese la Juve a Torino.
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