Milano
Ancora sulla Pirelli
Blog Largo ai Vecchi. Merita la nostra vecchia cara Pirelli da parte di noi milanesi qualche osservazione in più oltre che qualche addio col fazzolettino in mano per tamponare la lacrimuccia. Intanto vi prego tutti, carissimi lettori, di pronunciare Pirelli con la “r” pizzicata e la “e” larga alla milanese da salotto come faceva Franca Valeri, poi di ricordare i nostri padri e le nostre madri, di qualsiasi ceto sociale che tanto avrebbero voluto per noi un posto alla Pirelli dove si lavorava bene insieme con gente onesta e tranquilla.
Mi dicono meglio così cederla ai cinesi piuttosto che chiuderla: è vero ma vedremo col tempo se non sarà la stessa cosa data la più alta capacità produttiva dei lavoratori cinesi. Mi dicono ma la General Electric ha ben operato con il Nuovo Pignone a Firenze, l’emiro del Qatar ha comprato Valentino, i tedeschi hanno comprato la Lamborghini ecc. Tutte queste aziende vanno bene e hanno risolto i loro problemi. E’ certamente vero ma l’iniziativa industriale, la capacità di invenzione, non è più nelle nostre mani e poi, nel sistema capitalistico, che piaccia o non piaccia chi ha i soldi è il padrone.
Insomma la mia modesta osservazione è che il sistema delle microfabbriche regge a malapena soprattutto in relazione alla necessità di rinnovamento e le altre industrie sono esposte al vento di un mondo globale del quale noi possiamo essere volta volta vittime o avvantaggiati senza saperlo. Il rischio è la deindustrializzazione cioè il collocamento in una posizione subordinata e marginale nell’ambito dell’Europa che rappresenta per noi l’unica chiara scelta di salvezza civile. Sul bollettino quotidiano del capogruppo forzista on. Brunetta si chiede, criticando Obama, una svolta della nostra politica estera verso la Russia e la Cina anche Salvini guarda con amore a Putin che del resto resta con la Cina il punto di riferimento di tutta l’estrema sinistra stiamo dunque cambiando padrone? Avrà per le nostre industrie quell’attenzione che per il loro passato meritano?
Detto questo, su un altro piano credo più profondo, penso che chi vende la storia compra la miseria politica.
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