Geopolitica

Amministrare la complessità con cuore e cervello

24 Giugno 2021

Cristina Tajani, che premetto doverosamente è un’amica, ha scritto un libro molto bello e utile.

“Città prossime. Dal quartiere al mondo: Milano e le metropoli globali” (Guerini) è un bel libro, che si discosta fortunatamente del tutto dal vanity publishing della politica, ma restituisce senso e profondità (e si spera futuro) a un’esperienza di governo lunga e positiva. Esperienza che, lo ha annunciato lei stessa qualche giorno fa, è destinata a concludersi, almeno nella forma che ha avuto nelle ultime due legislature.

Cristina Tajani ha governato come Assessore nelle ultime due consigliature milanesi fronti molto caldi, come il lavoro e il commercio, e fronti molto cool, come la Moda e l’Innovazione. Lo ha fatto molto bene, dacché è riuscita innanzitutto nel non facile compito di integrare l’anima di sinistra sua e dall’amministrazione (Pisapia in particolare) con Le spinte global glamour della Milano da Ber, senza che nessuna delle due anime avesse a sentisi sminuita. Lo ha fatto ancora meglio sui fronti caldi, gestendo potenziali bombe sociali e logistiche sui temi del lavoro e del commercio, che la pandemia avrebbe potuto far deflagrare, come successo altrove.

“Città prossime” corona questo lavoro, mettendo in fila un percorso politico e intellettuale solido, moderno e aperto.

Non è poco in epoca di culture politiche create su Twitter, per cui si è populisti, europeisti, statalisti, liberisti, verdi quando e per il tempo che serve. Qui no, ci sono letture, dialoghi ininterrotti (ai quali ho avuto l’onore di partecipare), percorsi non scontati a fare da contrafforte alle scelte politiche.

Cristina Tajani viene dalla sinistra radicale e ha governato processi di innovazione e sviluppo nella più globalista e capitalista delle città italiane, senza perdere di vista anima e obiettivi. Che sono, da ben prima della pandemia, quelli di non castrare i processi di sviluppo di una “città che dorme poco”, rendendola però attenta a tutti quei fenomeni sotto taglia, finanziariamente e comunicativamente, che rendono le città uniche, al loro lievito madre fatto di artigianato, commercio, prossimità, non market.

Su questi temi è stato pensato e anche fatto molto, penso ad esempio al tema (anche) a me caro della manifattura in città, scelta economica, ma anche squisitamente politica, come l’autrice spiega non lesinando su contestualizzazioni e condivisioni di paternità politiche e intellettuali (ah, che piacere i politici che leggono e non impapocchiano proposte orecchiate chissà dove, spacciandole per farina del loro sacco!).

Per questo, “Città prossime” è un libro che si legge d’un fiato e con piacere. Dovrebbero farlo gli amministratori pubblici, non necessariamente di sinistra, e certamente chiunque aspiri a governare la propria comunità. Perché è scritto bene, ha dentro una visione e racconta un modo di fare politica insieme moderno e antico, milanese ma con quel gusto meridionale per la riflessione non come impaccio alla concretezza.

Come dicevo all’inizio, l’autrice ha scritto il libro anche come resoconto (testamento suona troppo male) di un percorso amministrativo che si sta per concludere, spero e auguro per nuovi approdi altrettanto interessanti. Da milanese, prima ancora che da amico, mi dispiace.

Ogni amministratore e politico serio si trova, o dovrebbe trovarsi, nelle fasi di passaggio a riflettere sul tema della legacy, di cosa lascia.

Il libro raccoglie come dicevo la legacy intellettuale, il discorso e il percorso che ha portato alle scelte, e le cose fatte, i progetti che hanno caratterizzato dieci anni fin troppo interessanti. Questo è il passato, ed è a posto.

La legacy guarda però necessariamente al futuro, a cosa resterà e a cosa sarà portato avanti, magari migliorandolo. È la parte più complessa e imponderabile, anche perché è quella che non si può controllare, come sa bene Barack Obama, che alla fine della sua presidenza si è trovato a fare il passaggio di testimone con Donald Trump.

Nel caso di Milano, la domanda principale riguarda quanto di quel complicato merletto di sviluppo, innovazione e attenzione all’inclusione, che l’autrice ha tenuto insieme in questi anni con coraggio e pazienza, resisterà anche con altre persone al suo posto. Più precisamente, se una possibile ripartenza del circo milanese a base di mattone, finanza e glamour, senza l’azione di governo di persone come Cristina Tajani, in grado di voltarsi anche in direzione dei coni d’ombra, non farà venire la tentazione di mollare il freno e lasciare fare al “mercato”. Sarebbe una iattura, e purtroppo una iattura non così improbabile, indipendentemente da chi vincerà.

Conservare e fare vivere questo patrimonio è dunque fondamentale, intellettualmente e politicamente e per questo bisogna lavorare. Perché, come ricorda il libro: “il protagonismo non è mai una concessione. Si conquista.”

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