Milano
A tavola tutti buoni: a Napoli, roccocò e panettone si abbracciano
Te piace o’ presepe? Luca Cupiello era tormentato da questa domanda.
Attendeva la risposta che doveva salvare la tradizione del Natale.
Ma a Napoli la tradizione della natività, si rinnova ogni anno, grazie anche ai fantasiosi personaggi che gli artisti napoletani sono in grado di realizzare.
San Gregorio Armeno, la via dei presepi, merita sempre una visita, anche per acquistare i pezzi più originali e stravaganti.
Ma la vera tradizione immutabile di Napoli è a tavola.
Il clima di festa deve essere allietato dal cibo, ovvero quei piatti della memoria tramandati a voce che uniscono generazioni intere attorno allo stesso tavolo. Popolo fiero delle proprie radici, è proprio in queste occasioni che la città esibisce il meglio della sua cultura gastronomica.
Il cenone della Vigilia, trova nel pesce l’ingrediente principale delle preparazioni: spaghetti con le vongole, baccalà, capitone, ma anche una bella frittura. Poi visto che si tratterebbe di un menu di magro, il tutto si accompagna da qualcosa che è immancabile sulle tavole, l’insalata di rinforzo.
Il nome già da suggerimenti, serve a dare sostegno al pasto e lo fa a suon di cavolfiori bolliti, papaccelle, giardiniera, olive e acciughe sotto sale.
Poi il pranzo di Natale, a cui dedicherò successivamente un articolo.
A chiusura di ogni pasto, i dolci tipici, come gli Struffoli, palline di pasta fritte e ricoperte di miele, il Roccocó, ciambellina a base di mandorle, o i Susamielli, caratteristici biscotti a forma di esse.
Quindi, se pensate che il Natale, a tavola, sia solo panettone e pandoro, a Napoli, quanto a dolci natalizi, ha una tradizione tutta sua, talmente vasta e inimitabile da essere tutt’uno con lo spirito stesso dei napoletani.
Un dolce della tradizione, che forse ha perso un po di appeal, sulle tavole moderne, è il “divino amore”.
Si tratta di piccoli ovetti prodotti con un impasto di uova, zucchero, acqua e mandorle, arricchiti con canditi, vaniglia e scorze di limone. E quindi ricoperti di ostie, marmellata di albicocche e ghiaccia rosata. Il nome deriva dal Convento del Divino Amore, presso Spaccanapoli. Le sue origine sono antichissime: pare che a inventarlo furono, nel XIII secolo, le suore del convento, in onore di Beatrice di Provenza, madre del re di Napoli Carlo II d’Angiò.
Poi ci sono i “mustaccioli”. Un biscotto fatto con un impasto a base di farina, acqua, zucchero semolato, miele, mandorle, bicarbonato di ammonio, cacao amaro, scorza d’arancia grattugiata, cannella, noce moscata, chiodi di garofano e cannella, il tutto ricoperto da cioccolato fondente.
La “pasta reale” sono paste di mandorle. La leggenda racconta che un giorno Ferdinando IV di Napoli, il “re lazzarone” o re “nasone, si recò nel Convento di San Gregorio Armeno. Qui le monache gli prepararono un ricco buffet di aragoste, pesci e polli arrosto. Il re, assaggiata la prima pietanza, si accorse che tutto quel ben di Dio erano in realtà dei dolci travestiti da altro.
Ma il roccocò è il principe dei dolci. Una ciambella, adatta a chi ha denti buoni, preparato con farina, acqua, zucchero, bicarbonato di ammonio, mandorle tostate, uovo, bucce d’arancia e pisto, il tipico mix di cannella, noce moscata, chiodi di garofano, coriandolo e anice.
Nel 1300 circa, furono le monache del Real Convento della Maddalena a prepararlo, dadogli quell’aspetto decorativo di una a forma di roccia o conchiglia da cui il nome di “rocaille”, nel Settecento, il termine diventò “rococò”.
I raffiuoli anche non sono più dolci che si trovano facilmente nelle famiglie moderne, ma li dove ci sono dei nonni, il dolce a base di pan di Spagna, ricoperto di marmellata di albicocche e che poggia su una base di glassa di zucchero, deve esserci per forza.
Il nome deriva dai ravioli del Nord Italia (detti anticamente “raffioli”), dai quali trassero ispirazione: ad inventarli, nel Settecento, furono le benedettine del monastero di San Gregorio Armeno.
Ma forse i più famosi tra i dolci natalizi napoletani sono gli “struffoli”, palline di pasta fritte, vengono poi cosparse di miele caldo e poi arricchite da canditi e confettini colorati (“diavolilli”), un dolce povero, forse di origine mediorientali.
Alla fine, un dolce d un nome molto particolare, al quale si associano anche detti popolari i “susamielli” ( I napoletani, usano apostrofare le persone dal carattere greve e scostante, che difficilmente riescono a familiarizzare con gli altri, risultando quindi fastidiose e noiose, con l’espressione: si’ nu susamiello!).
I susamielli si ottengono da un impasto di farina, miele e zucchero, arricchito da mandorle, cannella, chiodi di garofano, noce moscata, vaniglia e canditi.
Detto questo, si sta facendo strada ormai, nella tradizione della pasticceria napoletana, nientepopodimenoche “il panettone di Natale”.
Il panettone è uno dei dolci tipici del Natale, le origini di questa delizia si perdono nel tempo e la nascita del panettone è legata a numerose leggende.
Sarebbe, si dice, nato alla corte di Ludovico il Moro, signore di Milano nel lontano XV secolo. In occasione di un banchetto, durante il periodo di Natale, il cuoco bruciò inavvertitamente un dolce. Per recuperare la situazione, un servo di cucina, decise di utilizzare del pane lievitato aggiungendo farina, uova, uvetta, canditi e zucchero, ottenendo un impasto particolarmente lievitato e soffice.
Il dolce venne apprezzato così tanto che la nobile famiglia decise, in onore del servo, di chiamarlo il “pan di Toni”, da cui deriverà nei secoli a venire il termine “panettone”.
L’unica certezza è che il panettone è nato nel medioevo ed è legato alla tradizione dell’epoca nelle corti del nord Italia, di preparare in occasione del Natale dei pani molto ricchi, che venivano serviti dal capofamiglia ai commensali.
Per gli storici le prime prove sull’esistenza del panettone risalgono al 1600, a quell’epoca basso e non lievitato, simile al pandolce di Genova. Nell’Ottocento la ricetta venne perfezionata e il dolce prese il nome di “panattón o panatton de Natal”.
La forma attuale del panettone venne infine ideata negli anni Venti, quando Angelo Motta, prendendo ispirazione dal kulic, un dolce ortodosso che si mangia a Pasqua, decise di aggiungere nella ricetta anche il burro e di avvolgere il dolce nella carta paglia, rendendolo come lo vediamo oggi.
Tanti continuano a cercare di definire limiti e restrizioni, nella vita delle persone, tracciando confini, forse solo immaginari, tra nord e sud, ma se nella notte di Natale, in una tavole imbandita, arrivano struffoli e panettone, siamo tutti più felici.
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