Milano
A Milano salta la “riqualificazione degli scali ferroviari”: per fortuna
La stampa racconta la cronaca di una notte insonne dei consiglieri comunali di Milano, impegnati sulle opposte sponde a far passare o a bloccare l’accordo di programma, firmato anche da Rete Ferroviaria Italiana e da Regione Lombardia, sul futuro degli scali ferroviari milanesi o meglio di quelle aree che si trovano al loro interno e che non vengono più utilizzate da decenni.
C’era una volta la Milano delle ciminiere, quando era indispensabile che i carri merci arrivassero fin dentro le fabbriche, ma prima il prevalere del trasporto merci su gomma, ineliminabile per le brevi distanze, poi la totale deindustrializzazione e terziarizzazione della città hanno lasciato negli scali ampi spazi vuoti, che l’accordo prometteva e permetteva di riconvertire ad abitazioni, uffici e parchi, secondo una formula che poteva accontentare la correttezza politica della giunta di sinistra, ma che aveva anche il benestare di quella di destra della Regione.
Si legge dei lamenti di Palazzo Marino per l’occasione perduta, ma non di quelli di RFI Rete Ferroviaria Italiana, che avrebbe ceduto le aree ai prezzi attuali, quando la crisi dell’edilizia non permette certo di spuntare grandi guadagni.
Non avendo capito bene quali fossero i motivi per cui la destra cittadina volesse affossare un accordo appena sottoscritto anche dalla destra regionale, mi limito ad osservare che tutte le parti si erano mosse con grande miopia. Centinaia di migliaia di persone vanno a Milano tutti i giorni, molte utilizzando una rete ferroviaria che abbiamo letteralmente ereditato dai nostri bisnonni, ma soffrendo di qualche loro errore di lungimiranza. In molti casi si è potuto rimediare, ad esempio portando da due a quattro i binari fra Milano Cadorna e Milano Bovisa, cosa che permette l’arrivo del doppio di treni pendolari delle Ferrovie Nord. Si è potuto aggiungere la coppia di binari sulla cintura ferroviaria che viene utilizzata dai treni AV che ci portano a Roma in tre ore e Bologna in una, ma ci sono moltissime strozzature che possono essere eliminate soltanto spendendo molti soldi, perché contravvenendo alla legge si è costruito a ridosso dei binari o semplicemente perché i bisnonni non potevano avere la sfera di cristallo.
Se si vuole una “mobilità sostenibile” bisogna offrire innanzitutto ai pendolari la possibilità di salire su treni che oggi sono pieni fino all’inverosimile e che non possono essere aumentati, perché sui binari costruiti dai bisnonni non ce ne sta uno in più.
L’accordo avrebbe permesso a RFI di vendere e incassare e al Comune di vantare nuove aree verdi e nuovo “housing sociale”, quella cosa che quando si parlava come si mangiava veniva chiamata case popolari.
A nessuno è venuto in mente, pare, di obbligare RFI a reinvestire a Milano i proventi della vendita delle aree, né di chiedersi se a qualche progetto futuribile farebbe comodo utilizzare una parte delle stesse aree, prima che vengano ricoperte dal cemento dell’ “housing sociale”.
In un momento storico in cui non mancano certo palazzi vuoti, costruiti per la bolla scoppiata già nel 2007, RFI ha pensato a incassare e il Comune ai luoghi comuni della sinistra borghese, quella che sogna di andare in bicicletta intorno ai riaperti navigli (costo almeno 400 milioni di euro), ma non sgancia un euro per far arrivare i pendolari a Milano anziché in auto, su treni dove ora non si trova posto.
Il nodo ferroviario di Milano va ristrutturato e invece di aspettare i soldi da Roma, che potrebbe non concederli mai, perché in fin dei conti il trasporto pubblico a Milano non fa schifo come in buona parte delle altre città e regioni del Paese, i soldi devono venire anche dalla vendita delle aree che si concederebbe a RFI.
Invece di sognare un improbabile ritorno della Milano che fu, con i bei navigli da cartolina, sarebbe il caso di ritornare alla Milano che fu, quando la gente ci veniva a lavorare in treno e persino con le soppresse tramvie, altrimenti è inutile che ci lamentiamo dell’inquinamento oltre i limiti.
Finché non pensiamo a come ingrandire la torta che si deve sfornare, invece di litigare sulla grandezza delle fette che spettano a ciascuno o sulla loro socialità, vivremo soltanto di quello che abbiamo ereditato, come i binari dei bisnonni o le metropolitane costruite ai tempi del boom.
Ora andiamo a costruire una M4 che non avrà comunicazione diretta con la M3 dove si incrociano, un po’ perché il Policlinico pone ostacoli come se fosse uno Stato sovrano, un po’ perché “non ci sono i soldi”. Ma i soldi che vengono dal mondo dei trasporti, come le aree ferroviarie dismesse, vanno reinvestiti nel mondo dei trasporti.
Torino ha avuto un nuovo Passante ferroviario a molti binari, Bologna quello sotterraneo per l’Alta Velocità, criticabilissimo ma piutost che nagott, a Firenze si fa a rilento altrettanto, a Roma si è costruita la fallita stazione Tiburtina, a Napoli quella di Afragola che nella costruzione rivaleggia in celerità con la Salerno-Reggio Calabria. E a Milano? RFI non investe, vende e si porta a casa i soldi, mentre a Palazzo Marino ci si occupa del verde. Bene dunque che l’accordo sia saltato.
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