Milano

A Milano, in attesa del lockdown che verrà

31 Ottobre 2020

Le case a Milano sono tutte gialle – si chiama Giallo Milano – oppure grigie o color panna nelle zone più lussuose. I milanesi non hanno una particolare passione per ostentare gusti eccentrici o scelte stravaganti. Sono un popolo mite, ossequioso delle regole, ordinato.
A Milano si sale e si scende dalle carrozze affollate della metropolitana senza che nessuno si lamenti della folla e del traffico delle ore di punta, cercando di non urtare il proprio vicino.
A Milano non ci sono cartacce per terra, non si sente mai suonare i clacson inopportuni degli automobilisti maleducati, e ai giardinetti le mamme si raccomandano ai figli di non parlare a voce troppo alta e di non dare “fastidio” agli altri bambini.

I milanesi sono così attenti a dimostrare la buona educazione e compostezza che li accomuna da sempre, che persino il generale Radetzky fu stupito dalle Cinque Giornate di Milano: da dove veniva tutta quella rabbia, com’era possibile che i milanesi uccidessero gli austriaci dopo anni di convivenza, senza che vi fossero stati dei segnali premonitori dell’esplosione della violenza di Milano?

Ecco, quegli stessi milanesi stanno aspettando compostamente di sapere se Milano verrà chiusa in un nuovo lockdown mirato proprio a tagliarla fuori dal resto d’Italia.
Milano è colpevole di una crescita del tasso di positivi al Covid più sostenuta che in altre città del nostro paese. Tasso di crescita  dovuto al fatto che i milanesi hanno ricominciato ad andare a lavorare, affollando i mezzi pubblici, perchè sono tornati negli uffici, e perchè le scuole a Milano vengono raggiunte utilizzando il trasporto pubblico.

Non sappiamo peraltro – perché non ce ne viene data notizia – quali sono state le filiere del contagio a Milano, ovvero dove siano i focolai di diffusione del virus (ne è stato individuato uno nel reparto di Cardiologia del Sacco e di nuovo uno al Pio Albergo Trivulzio).
Nei paesi dove il virus è stato sconfitto o comunque tenuto sotto controllo – Cina, Giappone, Corea del Sud, Hong Kong, Thailandia – gli epidemiologi hanno seguito le tracce del virus, analizzando quali erano state le attività delle persone positive e scoprendo quali erano stati i loro “contatti” che si erano infettati.

In paesi come la Corea del Sud, le autorità sanitarie pubblicano addirittura l’elenco dei luoghi dove sono transitate le persone positive, così da offrire a tutti i cittadini la possibilità di effettuare un tampone per il Covid nel caso in cui si siano trovati nello stesso luogo e nello stesso orario insieme a un positivo.

In Italia non è stato seguito questo approccio, forse per incompetenza o per mancanza di personale sanitario in grado di svolgere un tale lavoro di tracing, ma si è preferito allarmare i cittadini (in particolare da parte di alcuni virologi d’assalto) sul rischio di venire contagiati sui mezzi pubblici (mentre andavano a lavorare) o nei supermercati (mentre acquistavano il cibo), preferendo la tecnica del terrorismo psicologico, in cui alla fine il colpevole del contagio è il cittadino stesso che non ha preso le adeguate misure per proteggersi o, peggio, ha fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare.

Ma Milano non ha grandi rimproveri da farsi, perchè i mezzi pubblici erano affollati da gente che andava a lavorare e i supermercati da cittadini che si dovevano sfamare. L’unica colpa di Milano è stata quella di non fermare con decisione le notti della movida, peraltro diffuse in tutte le città d’Italia, e che sono state tollerate in tutto il paese, quando invece sarebbe stato necessario intervenire per impedire che nelle strade del Ticinese e del Garibaldi si formassero gli “assembramenti” peraltro vietati da una legge che nessuno ha voluto applicare, non solo a Milano, ma in tutto il paese.

Forse Milano verrà isolata dal resto della Lombardia per applicare delle misure di contenimento dell’epidemia che conosciamo molto bene, perchè molto dolorose da sopportare – non si può uscire di casa, neanche per fare una passeggiata – ma soprattutto sappiamo che se non sono accompagnate da misure sanitarie di sostegno, hanno anche un’efficacia limitata nel tempo.

Il lockdown cinese – sul cui modello abbiamo costruito quello italiano – è stato infatti accompagnato da misure di screening massicce. I dieci milioni di abitanti di Wuhan sono stati testati nell’arco di tre giorni, e il sacrificio della popolazione della città ha portato alla sconfitta dell’epidemia. Non voglio con questo dimenticare le colpe della Cina nella diffusione del virus, sul quale non sono state date informazioni tempestive al resto del mondo, ma solo ricordare che l’efficacia delle politiche di quarantena dipendono dal fatto che contemporaneamente le autorità sanitarie siano in grado di svolgere le attività di “Test, Track and Treat” per sconfiggere definitivamente il virus.

A Milano, invece, ancora non è facile ricevere un tampone per il Covid se si sospetta di essere positivi, e le code davanti agli ospedali dove si può sostare durante l’attesa nella propria vettura sono lunghissime e molto faticose da sopportare per i bambini che hanno un compagno di classe o un insegnante positivo, e devono quindi fare un tampone. Le mamme che li accompagnano ormai si sono passate la voce, e partono per gli ospedali attrezzate con cibo e acqua per sostenerli durante le ore in attesa.

Una Milano lucida e rassegnata accetterà quindi il nuovo lockdown, pur ormai nella consapevolezza che i nostri sacrifici non saranno sostenuti da politiche sanitarie adeguate. E che quindi l’alternarsi di lockdown e riaperture potranno continuare a ripetersi, senza altro effetto se non quello di rallentare (temporaneamente) il tasso dei contagi.

La fiducia dei milanesi (ma ormai degli italiani tutti) nelle politiche sanitarie messe in campo nel nostro paese contro l’epidemia sono così basse, che molti credono che un’altra ondata di lockdown mirati a “recintare” le zone più pericolose (perchè economicamente più attive)  avrà solo l’effetto di spegnerle, ovvero di mandarle in regressione economica, senza per questo riuscire a vincere la battaglia contro il virus.

I milanesi si chiuderanno in casa un’altra volta, ma una misura così drastica avrà l’effetto di allontanarli ulteriormente dai loro rappresentanti. Milano si sta stancando, meglio trattarla con i guanti, perchè dovrà guidare la ripresa, quando la pandemia sarà finita. Meglio anche evitare ridicoli lockdown “mirati” che i milanesi tollererebbero con gentilezza ma infinito fastidio, colpevoli in fono solo di “lavurà”, dal loro sensato punto di vista.

 

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