Londra

UK, Il ritorno di Blair è il miglior sponsor di Jeremy Corbyn

18 Agosto 2015

Tutto sta avvenendo nel Regno Unito, solo in apparenza lontano, eppure molto vicino a quanto avviene in Europa, dove proliferano realtà come Syriza e Podemos. La questione investe l’identità della sinistra. Il Labour, il partito di centrosinistra britannico, deve eleggere il nuovo leader dopo le dimissioni di Ed Miliband arrivate come inevitabile conseguenza della sconfitta elettorale. Jeremy Corbyn è lo spettro che sta togliendo il sonno a mezzo partito.

Il motivo è molto semplice: il suo programma teorizza un ritorno su posizioni di sinistra radicale con la nazionalizzazione dei servizi elettrici, delle ferrovie e con un massiccio investimento pubblico per stimolare economia e occupazione. Seppellendo in maniera brutale l’austerità praticata dall’attuale governo guidato da David Cameron e rilanciando il partito laburista sul modello Novecentesco.

Jeremy Corbyn ha così proiettato nuovamente sulla scena l’ex premier Tony Blair, l’uomo del New Labour e della Terza Via, grande nemico dei laburisti arroccati sul “tassa e spendi”. Sul Guardian ha scritto un articolo al vetriolo contro il candidato favorito alla vittoria delle primarie (riservate agli iscritti). Ecco uno stralcio:

Se arriverà alla guida del partito, alla prossima elezione non saremo davanti a una sconfitta come quella del 1983 o del 2015, ma davanti alla disfatta totale, forse all’annientamento. Jeremy Corbyn non ha nulla di nuovo da offrire – scrive ancora Blair – la sua è la proposta più risibile di tutte quelle avanzate dal suo schieramento. Quelli di noi che hanno conosciuto gli sconvoglimenti degli anni Ottanta già conoscono a memoria ogni riga del suo copione. Queste sono politiche del passato.

L’intervento di Blair segue una strategia ben precisa: demonizzare l’avversario, prospettando una catastrofe politica con il disfacimento del Labour. Eppure l’ex primo ministro rischia di essere uno sponsor involontario del ‘nemico’. L’improvvisa popolarità di Corbyn non è certo legata a un suo particolare talento comunicativo, né tanto meno alla capacità di prospettare una visione innovativa. Tutt’altro. Il mite esponente laburista non ha nulla di pirotecnico. Eppure vola nel gradimento con la concreta possibilità di conseguire il successo a settembre quando saranno resi noti i risultati della consultazione.

La ragione del suo consenso è semplice: il modello Blair non risponde più alle esigenze degli elettori che si riconoscono in una posizione di sinistra. A questo si unisce la debolezza degli altri competitor. Così, alla fine, l’elettorato cerca rifugio nella scorciatoia identitaria, affidandosi a una figura rassicurante per quanto ‘perdente’ in un ipotetico scenario elettorale (i voti moderati sarebbero irrimediabilmente persi con l’eventuale vittoria di Corbyn, facendo un regalo ai conservatori). Insomma, la fuga dal blairismo è un elemento rilevante del gradimento nei confronti Corbyn. Una dinamica che in parte si era già verificata con lo scontro tra Ed e David Miliband, con il primo più schierato a sinistra e il fratello indicato all’epoca come l’erede perfetto di Blair. Seppure in una contesa incerta, ha finito per prevalere proprio Ed Miliband.

La questione, quindi, va ben oltre il Corbyn-sì o Corbyn-no, in quanto investe la categoria di un partito di sinistra oggi, nel Regno Unito come in Europa. La crisi della Terza Via ha innescato una reazione di chiusura, che rischia effettivamente di risultare letale per il Labour con un doppio passo indietro. Ma di certo non è salvifico fare un solo passo indietro rimescolando la ricetta blairiana. Perché – al di là del giudizio che darà la storia – quel modello ha esaurito la spinta. Consegnando la vittoria alla destra e facendo arroccare molti elettori su posizioni nostalgiche. Come quelle di Corbyn.

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