Londra
Il ragazzo cui pioveva nel cuore. E sua madre
Quando ho quei momenti, insopportabili, di vittimismo, e mi sembra che l’universo sia ingiustamente vuoto, allora penso a Nick Drake. Penso alla sua ultima notte, a soli 26 anni, due pasticche di antidepressivi di troppo ed è finita lì, non c’è stato risveglio. E nel suo caso l’universo è veramente stato ingiusto, perché nessuno ha scritto canzoni così belle, leggere, disperate, roride di passione al tramonto, ma finché era vivo, nessuno si è accorto di lui.
Non voleva suonare dal vivo, non voleva rilasciare interviste, la gente gli faceva paura. Quando era morto, stava vivendo in una casetta di campagna dei suoi genitori, proprio perché stava componendo e non voleva vedere nessuno. Rod e Molly l’avevano fatta per lui, così come avevano fatto tante cose, sperando di salvarlo. Rod era un manager di una società commerciale a Rangoon, ed aveva solo 20 anni. Molly era la figlia di un sottufficiale indiano e di anni ne aveva solo 16. Hanno dovuto aspettare per potersi amare. Camminavano seguiti da parenti, quasi sempre a due metri di distanza l’uno dall’altra. Un discografico della Island, che aveva sotto contratto Nick, mi raccontava che avessero occhi enormi e tristi, ed avessero sempre almeno una mano nella mano dell’altro. Un amore tremebondo e senza fine.
Quando Nick è nato, ed era cagionevole, Rod, Molly e la loro prima figlia, Gabrielle, hanno deciso di trasferirsi in Inghilterra (che per loro era quasi un paese straniero). Della Birmania Nick porta con sé le pioggie torrenziali stagionali, una malattia dell’anima incurabile che allaga i cuori, una mestizia congenita. I suoi organizzarono tutta la vita intorno a quel figlio con un eterno sorriso timido, che a sei anni aveva imparato a suonare chitarra e pianoforte ad orecchio, ascoltando le canzoni che scriveva sua mamma, e che sono state registrate solo quando è morta… Gabrielle (che ha poi avuto una buona carriera da attrice) racconta che i due passavano ore a modificare e ripetere accordi ed armonie, chiusi in un mondo esclusivo ed inaccessibile, cui Rod aveva il diritto di partecipare, in silenzio, la sera, dopo cena.
A causa di enormi pressioni familiari, Nick viene mandato al famoso (e rigidissimo) collegio militare di Sandhurst, dove erano stati suo padre, suo nonno ed il suo bisnonno. Nick si è persino fatto valere, è diventato capitano della squadra di rugby, ma non aveva nessun amico. Solo una band, nella quale lui suonava, di volta in volta, piano, chitarra, clarinetto, flauto e sassofono. Una band finita nel 1967: Nick ha ora 19 anni, va a vivere dalla sorella a Londra, e poi riesce ad entrare a Cambridge.
Laggiù lo notano tutti. Subito. Lui suona al davanzale della sua stanzetta di disperazione, fuma marijuana, non vuole vedere nessuno, ma viene accostato di diversi musicisti famosi, poi da produttori famosi, ed alla fine lo convincono a fare un disco con i brani scritti (in parte) insieme a sua madre. Meraviglioso. Non lo compra nessuno. La Island non demorde: tutti si accorgono che Nick è unico, ma non funziona. Per sei anni guadagna dalla casa discografica l’equivalente di 250 € a settimana, e gli bastano.
In sala di incisione si ravviva, diventa un altro, suona tutti gli strumenti, sembra calmo, sereno, solo un po’ timido. Ma sua sorella dice che i medici avevano già iniziato a parlare di psicosi. Per quello lo hanno riportato a casa, a ricostruire quel mondo esclusivo con la mamma. Solo che non funziona più. Scrive cose molto più complesse, e le scrive da solo. E muore. Negli anni successivi, la Island guadagnerà milioni con i suoi dischi stupendi ed inarrivabili. Troppo tardi.
Per questo, quando il vittimismo mi macera, penso a Nick Drake, e mi grido di smetterla, che dalla vita ho avuto tutto, persino un presente, un futuro, e la percezione di essere vivo, pulsante, appassionato. Come il carillon di un grande orologio cittadino, quello di questa canzone di Nick.
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