Londra
Gli appunti che Renzi dovrebbe prendere dopo la vittoria di Corbyn
Forse è davvero l’ipoteca sul governo per i conservatori, con il premier David Cameron e i suoi eredi che gongolano. Forse è davvero una retromarcia che rischia di condurre i laburisti in un vicolo cieco. È fuori di dubbio, comunque, che si tratti di un cedimento a sinistra dopo la debacle subita alle ultime elezioni quando al timone del Labour c’era Ed Miliband, uno che già era additato come “esponente della sinistra”.
La vittoria di Jeremy Corbyn, 66 anni, è vista dunque come una polizza vita per la destra britannica, che assiste da spettatore interessato alla svolta radicale del Labour. In questo modo i voti moderati vanno in libera uscita e potrebbero confluire su altri partiti, come i liberal-democratici, o disperdersi nell’astensionismo. La previsione elettorale favorevole a Cameron appare abbastanza scontata. Ma c’è un altro fattore. La virata a sinistra dà un altro vantaggio a David Cameron, nonché una ragione di preoccupazione all’Europa: l’assenza di un’opposizione sinceramente europeista, visto che il nuovo leader del Labour è fiero avversario della politica di austerità propugnata dall’Unione europea. Insomma, seppure da posizioni diverse, Cameron e Corbyn guardano con diffidenza l’Unione europea, aumentando le chance di un voto referendario favorevole all’abbandono dell’Ue. E il primo ministro avrebbe meno pressioni nell’assumere decisioni contro Bruxelles.
Ma allora perché i laburisti hanno premiato Corbyn alle primarie di partito? Si tratta solo dello spirito autolesionista dell’elettore di sinistra? Oppure c’è una motivazione sociale e politica più profonda? I numeri della vittoria sono schiaccianti con quasi il 60% a favore del 66enne parlamentare laburista, che ha così distaccato di 40 punti il primo avversario, Andy Burnham. Il senso di questi dati è quello di un premio a un’ideologia dal sapore passatista con un programma che prevede un massiccio intervento dello Stato nell’economia e un braccio di ferro con il neo-liberismo che ha spogliato i lavoratori di molti diritti. Un vero e proprio schiaffo all’era del blairismo che sul cambio di visione ha fondato il proprio successo.
La questione potrebbe essere derubricata a un rifugio identitario. Ma c’è forse un senso più profondo sull’era che sta cambiando: l’elettore di sinistra, almeno nel Regno Unito (ma segnali in tale direzione giungono anche dalla Spagna), avverte la necessità di risposte alle insicurezze dettate dall’epoca contemporanea. Così ha scelto prima Ed Miliband, poi addirittura Jeremy Corbyn. Molto probabilmente la risposta ‘passatista’ di Corbyn non sarà esaustiva come non lo è stata quella del suo predecessore. Ma al momento del voto è stata preferita al bis del blairismo. Un appunto da segnare anche sul taccuino della politica italiana, perché Matteo Renzi sogna – senza farne troppo mistero – di voler ripercorrere in Italia i passi compiuti da Tony Blair in Gran Bretagna. E chissà che in futuro, anche in Italia, lo sbocco degli elettori di centrosinistra, rispetto a un partito che si è spostato a destra, sia proprio la rianimazione di una visione antica, rassicurante e identitaria, benché non vincente.
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