Londra
«A Londra è esplosa la bolla dell’élite»
«Trecento anni fa Jonathan Swift scrisse che in molti commettevano l’errore di confondere ciò che veniva detto nei caffè di Londra per la voce del regno». È con un riferimento letterario che Brendan O’Neill – direttore di Spiked e collaboratore di Spectator, Daily Telegraph e Reason – riassume lo scenario britannico all’indomani del referendum sull’Unione europea. La bolla di sapone in cui viveva l’élite politica e culturale del regno è esplosa e accettarne l’esito, per i sostenitori del Remain, è evidentemente difficile.
The Right Nation l’ha intervistato per provare a mettere insieme i pezzi, partendo dall’ultimo capitolo di una settimana storica: la decisione di Boris Johnson di non correre per il ruolo di leader dei Conservatori. «Ha tutto a che vedere con la battaglia all’interno del partito», risponde O’Neill. «Sono sorpreso perché Boris è molto popolare tra la gente, specialmente quella comune».
Ma Johnson e Michael Gove si aspettavano davvero di vincere?
Non credo che entrambi si aspettassero la vittoria, sono rimasti molto sorpresi e credo si sentano anche a poco agio con il fatto di aver raccolto tutto questo sentimento democratico: la gente in Inghilterra ha provocato uno sconvolgimento nell’ordine delle cose, un assalto dal quale l’Unione europea dovrà faticare per riprendersi. Il referendum è stato un momento estremamente positivo che ci ricorda come dovrebbe essere la democrazia.
Allora chi al posto di Cameron?
È difficile da dire. Gove ha molti ideali politici, soprattutto che l’ordinary people sia intelligente e perspicace come quella ben istruita e allo stesso tempo si rivela spietato. Theresa May è più autoritaria, anche sul tema dell’immigrazione, decidendo chi può entrare e chi no e chi può parlare o meno. Poi ci sono i volti più giovani, come il ticket Stephen Crabb – Sajid Javid che arriva dalla classe lavoratrice, a differenza del Partito laburista dove a sfidare Corbyn sono avversarsi che appartengono a classi sociali più alte.
Ciò che è certo è che Londra non è il Regno Unito.
L’élite politica è molto lontana dal popolo al momento. Esistono due nazioni: gli indicatori sociali descrivono se un elettore è per il Leave o il Remain. Per esempio, se vivi in un’area con un’alta concentrazione di lavoro manuale, è molto più probabile che tu voti per uscire, così come nelle zone dove le abitazioni hanno un basso valore. È un contrasto tra la fascia di popolazione più povera e la classe politica, dei media, delle celebrità, di Washington e Bruxelles: a tutti quelli che dicevano di scegliere il Remain, hanno risposto no, agiremo diversamente. Due nazioni: un’élite culturale che vive nella propria bolla di sapone che non capisce e non si fida della gente comune. Ma credo sia ancora più interessante il fatto che anche a Londra, dove hanno votato chiaramente per restare nell’Unione, ci sia stata questa divisone: se passiamo in rassegna i quartieri della città e prendiamo in considerazione che in ciascuno di questi in 16.000 hanno votato per Remain e 14.000 per Leave, quest’ultimi vengono dalla zona più povera e dura”.
Viene dipinta una nazione razzista e fanatica: esiste realmente?
Non credo affatto che il Regno Unito sia una nazione razzista e ignorante. Se prendiamo in considerazione due ricerche abbiamo fatto si nota come il primo motivo per il quale la gente abbia votato Leave sia perché Bruxelles può scrivere leggi senza il nostro consenso democratico, mentre la questione dell’immigrazione è al secondo se non al terzo posto. Le decisioni democratiche devono essere prese in Gran Bretagna, non in Belgio. Se segui i giornali e i media ti raccontano che questo è un paese razzista, ma non è corretto. Chi ha votato Leave non è ignorante e fanatico, ma piuttosto si stanno rivelando tali quelli che hanno votato Remain, definendo stupidi e ignoranti e male informati chi si è espresso diversamente.
Non teme il rischio di un tracollo economico e finanziario?
Sono dell’idea che ci sia molta esagerazione a riguardo. Credo che la classe politica stia rispondendo al voto in modo immaturo e pericoloso: più fa riferimento al disastro economico, più sono alte le probabilità che ciò si riveli un’auto-profezia negativa. Se si continua ad affermare che siamo andando incontro ad un disastro economico, si spinge chi opera nell’economia e nella finanza a non investire. Il problema principale per me è il fatto che la classe dirigente sia incapace di venire a patti con il cambiamento.
Qual è dunque l’orizzonte futuro britannico?
Io spero che altre nazioni possano seguirci. La vera unione in Europa ora è tra gli euroscettici, la gente comune che ne ha abbastanza di Bruxelles: è un punto di partenza per ripensare all’Europa e a come possa funzionare. Io sono favorevole all’ideale di Europa, ma sono contrario all’Ue: l’Ue non è l’Europa, che è un insieme di culture che possono operare assieme se diamo loro un possibilità di farlo.
C’è anche la questione scozzese che potrebbe riproporsi.
Sarebbe molto stupido riaprirla da parte di Nicola Sturgeon (First Minister a Edimburgo, ndr), che sta rispondendo in modo molto infantile al risultato del referendum, affermando di fatto che non riconosce l’autorità del popolo britannico. E poi non credo che in Scozia ci sia voglia di un altro referendum: quello sull’indipendenza è stato perso, quello sulla permanenza nell’Unione non ha raccolto, andando a vedere attentamente i numeri, una maggioranza così massiccia per rimanere e, leggendo le interviste o parlando con degli amici scozzesi, si capisce che manca il desiderio, ne hanno abbastanza: piuttosto cercano normalità.
Detto dei Conservatori, chiudiamo con i Laburisti. Che fine farà il leader Jeremy Corbyn?
Corbyn può sopravvivere per poco tempo. Il Labour Party si sta corrodendo, non ha più legami con la working class, è un contenitore vuoto con fazioni che si combattono e non mi sorprenderei se si scindesse. D’altra parte i membri devono prendere coscienza del fatto che i guai vanni oltre Corbyn e che, ad oggi, il partito non sembra avere più motivo di esistere.
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