Città
Il Pd dell’era Renzi? Noioso e protervo
Lo spunto me lo fornisce Marco Damilano che nel suo blog sull’Espresso parla sostanzialmente di un Partito Democratico senza vergogna sulla questione Marino. Un partito, all’epoca allo sbando, che per conquistare il Campidoglio si ripara sotto l’ombrello del chirurgo bravo e serio e che invece ora, appena il brodo primordiale renziano comincia a dare i suoi effetti, squarta il povero dottore con la precisione e la cattiveria di un canaro (questa è una mia personalissima immagine, Damilano è più gentile). Particolarmente distintasi per istinti maramaldi è la consigliera comunale Di Biase in Franceschini, mai pervenuta da nubile. Naturalmente Marino ci ha messo ampiamente del suo e anche questo è un fatto.
L’esagerata verve della signora Di Biase in Franceschini è il paradigma di un partito in sostanziale ed evidente evoluzione. Un partito in cui per dimostrare di essere renziano (e quindi risoluto e quindi liquidatorio) devi sottoporti a un vero e proprio allenamento del pensiero, raccordandolo presuntivamente su quello del premier. Siamo dunque all’interpretazione. Quando si interpretano gli altri, soprattutto se ne si cerca la benevolenza, una solida attitudine italica è quella di strafare, di lanciare il giavellotto dell’invettiva a una distanza siderale, quando magari basterebbero un paio di rilievi intelligenti e di buon senso per illustrare anche situazioni critiche, portando se stessi ben oltre il realismo del re (Matteo) proprio perché lui – il re – sia soddisfatto di noi e della nostra più totale disponibilità nei suoi confronti.
Questi atteggiamenti generalmente uccidono il senso di una comunità invece di rafforzarla, come ingenuamente credono solerti interpreti del pensiero renziano. Lo uccidono perché spengono ogni tensione al confronto, ne riducono gli spazi, e soprattutto incancreniscono i rapporti. Guardarsi in cagnesco, sperando nell’altrui rovescio (e anche di peggio) è la caratura minima dello stare insieme nello stesso partito. Sino al prossimo voto nazionale, che porterà nelle botti renziane il vino che finalmente il premier desidera, il tono dello scontro tra fedeli e riottosi sarà questo. E poi, quando finalmente anche le segretarie del Nazareno saranno di matrice renziana che Partito Democratico sarà?
Anche in questo caso, si può prendere a paradigma un cammino illuminante, il cammino di Matteo Richetti. Per dire quello che sarà il deputato prossimo futuro. Poniamo che siano tutti renziani, i deputati della prossima legislatura, meno quote Navajos da destinare ai Civati della situazione. Poniamo che i posti di potere a disposizione, tra ministri, sottosegretari, consiglieri economici, consiglieri di immagine, seggiole e poltroncine nei consigli di amministrazione, ente parchi, e bla e bla e bla, siano quelli che sono. Ecco, finite queste rendite di posizione, tutti gli altri deputati subiranno una trasformazione, ovviamente chi in maniera più marcata chi meno: con lo scorrere della legislatura e con la consapevolezza d’essere un semplice numerino schiaccia-bottoni, perderanno progressivamente l’afflato renziano originario sino a trasformarsi in piccoli e fastidiosi mosquito che, ora in una situazione ora in un’altra, mostreranno il fastidio per Renzi e i suoi modi di fare, per una politica che non ascolta “gli altri”, che decide tutto in splendida solitudine e, last but not least, che si circonda di troppa gente che dice solo signorsì. Insomma, tutto ciò che sarebbero stati volentierissimamente loro, solo con una bella poltroncina sotto le chiappe.
Il sentimento prioritario e, ahinoi, malinconico del prossimo Partito Democratico sarà una noia proterva, una sorta di ossimoro climatico reso possibile dalla forza liquidatoria del premier rispetto a ogni confronto (alto) e un’assuefazione impiegatizia della forza lavoro interna.
Per noi osservatori, la morte civile.
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