Genova

A Genova diciannove anni di Festival dell’eccellenza al femminile

13 Dicembre 2023

GENOVA. Se c’è un festival teatrale che in Italia sta raggiungendo una sua dimensione di efficace stabilità è il “Festival dell’eccellenza al femminile” di Genova. Sono diciannove anni che è in campo nel panorama culturale italiano e il Teatro Nazionale di Genova, col suo direttore artistico Davide Livermore e col dramaturg Andrea Porcheddu, ha avuto la buona idea di intrecciare le due programmazioni. Un’operazione intelligente che da una parte ha rafforzato il Festival e dall’altra parte ha posto attivamente e di fatto il Teatro Pubblico genovese su un versante della dialettica culturale e politica che forse è il più necessario e il più fecondo di futuro. Ne abbiamo discusso con Consuelo Barilari, attrice, regista, direttrice artistica del Festival e soprattutto instancabile  e caparbia organizzatrice culturale.

Il “Festival dell’eccellenza al femminile”, con l’edizione appena completata, ha compiuto 19 anni e certo non sono pochi: pensa che la durata nel tempo e la permanenza in un luogo siano ingredienti importanti per far sì che un festival sviluppi una propria specifica identità e una propria significatività nel panorama culturale nazionale? Qual è la sua esperienza in tal senso?

«Sì credo che il tempo e la durata abbiano una grande importanza nell’affermazione di un evento come un Festival. Il Festival dell’Eccellenza al Femminile, che ormai è confidenzialmente conosciuto come FEF, inoltre è un Festival molto particolare, già il titolo pone dei quesiti, delle interpretazioni, non è immediatamente chiaro che cosa sia: che cosa si intende qui per eccellenza? Che cosa si intende per “al femminile”?  a chi si rivolge, si potrebbe pensare ad un pubblico di sole donne. E ci sono voluti anni perché si chiarisse che gli uomini sono i nostri interlocutori privilegiati, che a loro in primis si rivolgeva il Festival e che dovrebbero essere  proprio gli uomini i protagonisti del cambiamento a cui il Festival vorrebbe contribuire. Quando abbiamo lanciato il Festival nel 2005 l’idea è nata da uno spettacolo teatrale con la mia regia che allora facemmo con Manuela Kustermann su Matilde di Canossa, emblema dell’eccellenza al Femminile, e fu molto grande e immediato l’entusiasmo della citta e direi al livello nazionale delle Istituzioni e di tutte le donne. Ho ricevuto quattro Medaglie d’Oro del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per il Festival dal 2008 al 2013. I momenti più difficili sono arrivati dopo, quando abbiamo dovuto lottare per dimostrare che in città c’era bisogno del FEF e che ogni anno facesse il punto. Oggi poi con l’Agenda ONU 20/30 il nostro Festival risponde a un Goal, a una necessità riconosciuta dalle massime istituzioni in materia di sviluppo culturale e umano. Per confermare la nostra idea di base sono voluti gli anni dei grandi movimenti: prima di “Se Non Ora Quando”, che con  FEF abbiamo appoggiato, e poi del “Me Too” di cui ci siamo fatte portavoce. Tutto intorno a noi ci mostra che nulla è cambiato se non la coscienza, sempre crescente, della necessità di un cambiamento epocale. In questo contest è chiaro che un’iniziativa come FEF abbia bisogno di anni, molti anni per  incidere nella realtà e contribuire a trasformarla».

Qual è l’apporto principale del Teatro nazionale di Genova al vostro Festival?

«Il Teatro Nazionale di Genova grazie al suo direttore Davide Livermore ha portato un grande cambiamento in città e nel Teatro in genere. Ha mostrato al pubblico che usciva dal covid la forte relazione che c’è tra il Teatro, la società e le persone con i loro bisogni e diritti, scegliendo un teatro d’Arte proiettato nel sociale. Ha reso possibile quello che fino ad oggi credevamo un miracolo, mettendo una figura di dramaturg militante come Andrea Porcheddu al servizio di questa causa. Il Festival in questa prospettiva ha avuto una grande opportunità di crescita e impowerment, ampliando il numero e la qualità degli spettacoli e della programmazione, inglobato nella stagione del Teatro Nazionale di Genova si è avvantaggiato della collaborazione tecnica, della condivisione programmatica in linea con le tematiche proposte con il dramaturg e la direzione. Anche dal punto di vista dell’immagine il Festival ha avuto un restyling con  un nuovo logo e immagine creati con l’equipe del Teatro nazionale di Genova.

Perché avete scelto l’Identità come tema di questa edizione?

«Il Festival ha il contributo e sostegno del MIC nel piano triennale del Fus e presenta dunque un progetto organico per il triennio 2021/2024, i temi annuali del triennio sono “Icone”, “Identità” e “Ruoli” che tradurremo con role plays. Si tratta di un percorso di spettacoli e incontri che declinano questi temi. L’identità in particolare è stato un tema bellissimo da indagare attraverso il Teatro. Le modalità  in cui gli spettacoli hanno affrontato questo argomento  sono poi così attuali da far impressione».

Con quale criterio avete scelto gli spettacoli teatrali? E quale è stata la risposta del pubblico?

«La risposta del pubblico è stata fortissima, su dodici spettacoli e venti repliche abbiamo avuto praticamente sempre sold out, e per alcuni titoli liste di attesa di centinaia di persone. Anche gli spettacoli più di nicchia erano pieni con pubblico entusiasta. Particolarmente felice l’accoglienza per gli spettacoli internazionali, il pubblico ha dimostrato di avere bisogno di respirare anche su orizzonti europei più ampi superando la barriera della lingua e dei sovra-titoli. Il criterio, oltre a quello del fil rouge tematico, è stato il pubblico stesso del Festival a cui si  dovevano rivolgere gli spettacoli. Un pubblico variegato: più tradizionale per spettacoli main stream come “Le nostre anime di notte”,  un pubblico d’età, affezionato alla ricerca insieme con i giovanissimi per “Vaduccia”, moltissimi giovani alle proposte di Simona Semenic e di Elly Papakostantinou, una risposta in massa come nei grandi festival internazionali. Infine un pubblico di sole donne, dai 15 ai 60 anni, figlie, madri e attiviste femministe che hanno preso d’assalto lo spettacolo sul corpo femminile per un pubblico di sole donne “Svelarsi”: la piéce terminava con un happening in cui il pubblico si riversava sul palco a ballare con le attrici che nude avevano dialogato sul loro corpo per tutta la durata del lavoro. Una signora di 60 anni dalla platea si è spogliata anche lei, finalmente libera per un momento dai condizionamenti che soffocano il nostro corpo».

Anche gli incontri e i dialoghi politico-culturali sono rilevanti nella tessitura complessiva del festival, che così sembra aver superato i confini di un semplice festival teatrale. Perché questa necessità?

«Grazie per questa domanda. Il Teatro apre strade verso dimensioni imperscrutabili del nostro io, per questo è così terapeutico, lo fa con delicatezza attraverso la sensibilità di ciascuno, offrendoci passioni così forti da non farci capire che stiamo entrando da quella porta nella dimensione della conoscenza, entra negli argomenti  e apre orizzonti. Per questo poi è necessario, trattandosi di un Festival, organizzare dei momenti di riflessione con studiosi che approfondiscano e contestualizzino. Poi il Festival vanta un importante Premio Ipazia da ben quattordici edizioni che sottolinea, con le presenze  di donne esemplari, il tema dell’anno. Si articola in cinque sezioni: Teatro Nuova Drammaturgia, Teatro Migliore Attrice, quest’anno consegnato a Giuliana Musso, Teatro Migliore Attrice in carriera, andato a Laura Curino, Premio Ipazia all’Eccellenza Femminile Nazionale, quest’anno consegnato a Liliana Segre, Premio Ipazia all’Eccellenza Femminile Internazionale alla giornalista siriana Wafa Ali Mustafa e a Carmen Lasorella e Premio Lady Truck alla direttrice del Secolo XIX».

E poi c’è il premio Ipazia, alla nuova drammaturgia che quest’anno raggiunge la sua XI edizione: quale tipo di partecipazione attrae? C’è una o più peculiarità nella nuova drammaturgia che, da questo osservatorio, ha potuto osservare?

«Come dicevo il Premio Ipazia alla Nuova Drammaturgia è arrivato alla XI edizione ed ogni anno premia un testo ed un autore. Negli anni hanno partecipato davvero molti autori, donne e uomini di ogni età e man mano, negli anni, si sono auto-selezionati. I testi che arrivano sono tutti di altissima qualità. Lo scorso anno il testo vincitore è stato selezionato per altri importanti Premi. Anche il Premio Ipazia Drammaturgia segue l’argomento dell’anno. Sarebbe per noi un coronamento del Premio riuscire a creare ogni anno le condizioni perché il testo vincitore venisse degnamente rappresentato e circuitato. In passato questo è stato possibile e in alcuni casi abbiamo avuto testi rappresentati sui palcoscenici internazionali».

 

Crediti fotografici di Mino Luxardo

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