Genova
Quando crolla un ponte
L’immagine di un ponte crollato ha qualcosa di persino più forte di quella di un terremoto o di uno tsunami: dove questi ultimi cancellano tutto, e rendono così tutto indistinguibile, il ponte crollato si staglia contro tutto il resto che è ancora in piedi, illeso come prima. L’immagine del ponte di Genova è un “urlo” (l’urlo delle persone che sono crollate con il ponte, l’urlo di chi ha visto cadere il ponte in diretta e che la televisione ci ha restituito), uno “squarcio” nel paesaggio, una “ferita” aperta che non si rimarginera` in tempi brevi. È uno “scandalo” che rimarrà visibile per molto tempo, monito e memento (“memento mori”) della fragilità delle cose umane.
Un ponte è qualcosa che unisce, collega, crea un “legame”, rende “comune” qualcosa che prima era separato. Quando un ponte crolla, qualcosa si “dis-integra”, fuori di noi, nella comunità che quel ponte ha contribuito a creare, ma anche dentro di noi.
Un ponte non è mai solo “quel” ponte, un ponte richiama alla mente altri mille ponti: il ponte di Brooklyn (che è stato richiamato esplicitamente dai mass media come modello di quello di Genova, ad esaltarne e riconoscerne la supposta modernità), il ponte di Mostar, che per la mia generazione è uno dei simboli più forti della devastazione e distruzione di una comunità (certo, lì c’era una guerra in corso, ma i simboli si richiamano e diventano tali a prescindere dall’occasione che li rende tali, è uno di quei casi in cui l’immagine diventa più forte della sua origine storica).
La costruzione di un ponte è una delle opere più antiche dell’umanità, è qualcosa che sfida le leggi della natura, è un’opera di “ingegno” che caratterizza una civiltà (l’impero romano deve anche ai suoi ponti e acquedotti, oltre che alle strade e al diritto, la sua potenza e la sua capacità di “tenere insieme” un territorio più grande di quello amministrato prima).
La ricostruzione di un ponte non è quindi solo un’opera di ingegneria. È anche, e forse soprattutto, un’opera di ricostruzione di una comunità.
Dopo Genova, città tristemente ma indelebilmente impressa nella nostra memoria collettiva per i disastri causati dalle pioggie (anche ieri pioveva e qualcuno ha pure collegato il crollo del ponte alla pioggia…), simbolo e sintomo di un territorio devastato da un’urbanizzazione disordinata e asfissiante (“Genova per noi” è purtroppo anche questo), non possiamo più comportarci come prima: la ricostruzione dei “legami”, della “comunità” è il compito, pratico e simbolico, che ci attende tutti; le nostre parole e i nostri comportamenti saranno misurati su questo.
Quando un ponte crolla, ci dice anche che è giunto il momento di smetterla di far circolare veleni che “corrodono” tutto e tutti, cose e uomini. È il momento di fare altro.
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