Genova
“Lebensraum”, Il teatro è uscito fuori dallo schermo
“Lebensraum”, o come entrare e uscire dalla macchina più perfetta dei sogni, il cinema, ritagliando centimetro dopo centimetro una zona franca tra realtà e finzione, un luogo di sola poesia e invenzione d’arte. Jakop Ahlbom, mimo di origine svedese _ naturalizzato in Olanda dove dirige la sua compagnia _ , nonchè acrobata, produttore e teatrante, quel limite lo ha forzato in questo spettacolo _ approdato l’anno scorso alla Biennale di Venezia e replicato nei giorni scorsi per più sere, con un significativo successo di pubblico di ogni età, al Teatro della Tosse di Genova _ andando davvero oltre i limiti di una mera rappresentazione teatrale. D’altra parte in tedesco “Lebensraum” significa “spazio vitale”, anche se a pronunziarlo suona sinistro: del termine infatti, nato come definizione biogeografica, se ne impadronirono i nazisti per giustificare la teoria dell’espansione territoriale (ad Est, verso i paesi slavi): concetto ripreso anche dai fascisti italiani. Ma nello show il titolo ha poco da vedere con quel passato. Se qualcosa prende di mira è piuttosto la generale freddezza dei rapporti interpersonali, la tangibile deriva di un mondo che tende a rinchiudersi in se stesso individuando negli altri un pericolo. Minacce per una società che, minata nel profondo, lascia poco spazio ai sentimenti e alla condivisione, favorendo invece la crescita di razzismo, egoismo e ignoranza. Questo è il quid di uno spettacolo che dal vivo si presenta come un intrigante patchwork di humour, visioni surrealiste e situazioni al limite del beckettiano. Uno spettacolo emblematico, costruito come un meccanismo ad orologeria di gags e macchine teatrali: da seguire come un film muto catturati dalle visioni e dalle azioni di super acrobati che si susseguono le une alle altre.
Rendendo omaggio al grande Buster Keaton, Ahlbom ha preso in prestito pari pari la prima scena del film “Scarecrow” del 1920, trasformandola, nel suo allestimento teatrale, nell’epicentro di un dramma del tempo sospeso. In fluttuazione plastica e sognante dai giorni del muto, quelli dei grandi come Charlie Chaplin e Harold Lloyd a Keaton appunto, anti eroe per eccellenza, dall’espressione perennemente amara. Lo spettacolo parte da subito in un ribollente alternarsi di gioco a specchi con il film che lo ha ispirato. “All the rooms in this house are in the room”. Così annunciava il primo cartello in bianco e nero di “Scarecrow”: “Tutte le stanze di questa casa sono in questa stanza”. Ecco quindi ricostruito l’identico unico ambiente da casa delle bambole, dalla zona notte al soggiorno sino al bagno con il water. E con mille sorprese: il letto si trasforma in pianoforte, il divano nasconde una vasca da bagno mentre l’impianto del grammofono è la cucina da dove arriveranno le brioches e il caffè fumante per la prima colazione dei due unici conviventi e inventori un po’ folli (oltre ad Ahlbom, Reinier Schimmel) vestiti di bianco e nero come copie in costume di Buster, con le espressioni minimal e i movimenti calibratissimi, calcolati cioè al millimetro per permettere gags e complicati incastri da matrioske. Il momento del breakfast, vero “must” di teatralità zeppo di marchingegni, al pari del film vede i due intenti a servirsi le vivande grazie a fili sospesi e carrelli del pane comandati da manovelle che viaggiano lungo il tavolo, mentre un intricato sistema di contrappesi lancia bottiglie e saliere che scompaiono e appaiono per magia.
Così accade con la coppia di musicisti rock che sembra uscire letteralmente fuori dalla tappezzeria disegnata con fiori e linee verdi e marron, la stessa fantasia con la quale sono confezionati i loro abiti. Sono gli Alamo Race Track (i chitarristi Leonard Lucier e Ralph Mulder), curano la colonna sonora dello spettacolo _ come facevano i pianisti dei film muti _ con un originale collage di motivi indie. Imperturbabili, quasi dei soprammobili: suonano appollaiati sopra gli armadi, seduti o in piedi accanto alle finestre della stanza. I loro volti cerei, quasi spettrali, richiamano la band dei mitici Tiger Lillies. Impertubabili, proprio come i pianisti da saloon, che continuano a suonare, mentre attorno sta scoppiando il parapiglia. E la baraonda cresce a ritmo sostenuto con l’irruzione della robotica e strepitosa Silke Hundertmark nelle vesti di una bambola meccanica voluta, e probabilmente costruita, dalla strana coppia, da destinare ai lavori casalinghi, ma che in breve sconvolgerà il tran tran quotidiano.
Tutto procede per slittamenti progressivi, colpi di scena sommati a coup de theatre: porte girevoli, carambole e tuffi improvvisi dentro quadri e finestre. E’ un magistrale Helzapoppin dove non si risparmia alcuna tecnica per far sorridere e conquistare: dall’illusionismo alla poetica dell’assurdo, dalla danza alla clownerie. Il cinema entra dentro il teatro, buca la celluloide per venire allo scoperto come nella “Rosa purpurea del Cairo” il film di Woody Allen con Jeff Daniels che, indossando in un film i panni dell’archeologo Tom Baxter , un giorno esce dallo schermo in un locale della più sperduta provincia americana, durante gli anni della Grande Depressione. Ma qui nel teatro non c’è Cecilia, una dolce e svagata Mia Farrow innamorata della sua star. Bensì un sorprendente manichino dai capelli rosso fuoco con le calze gialle che rimbalza come fosse di gomma, ha una vacua fissità nello sguardo e le pose di un automa, ne combina di tutto e di più, pomo di discordia finale dei due inventori e coinquilini.
La sensazione è che costoro, dopo aver evocato forze ed energie fuori dal limite di una normale esistenza non siano poi capaci di governare e controllare il tutto. Silke in azione è un incanto per gli occhi: conquista subito in virtù di una consumata tecnica di attrice e performer. Attraversa la stanza quasi con passo marziale armata di secchio e bastone, serve a tavola rovesciando il caffè (mentre sulle labbra strette si disegna un perfido sorriso); vera sovvertitrice di un ordine casalingo pianificato dai due padroni di casa malati di misoginia, è meno Frankestein e più donna in carne e ossa, possibile oggetto di desiderio sessuale, eroina di una rivoluzione già compiuta un attimo prima che con un soffio spenga il lume di una candela.
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