Genova
Decrescita demografica straordinaria: il caso di Genova
L’imparzialità dei numeri di fronte alla situazione demografica di Genova è chiara.
Il censimento del 1971 rilevava una popolazione di 816.000 unità, era una città industriale in crescita e la cronaca fu dominata dal rapimento e omicidio di Milena Sutter, era in carica il Governo Colombo. Nel successivo censimento del 1981, anno della nevicata record, la popolazione era arrivata a 762.000 unità in quel periodo si sono succeduti almeno 4 Governi che dureranno pochissimo tempo, Governo Cossiga II per 197 giorni, il Governo Forlani per 253 giorni e quindi il Governo Spadolini per 421 giorni, il Presidente della Repubblica era Sandro Pertini. Il seguente censimento del 1991 registrò 678.000 unità, anno della Sampdoria Campione d’Italia e dell’affondamento della petroliera Haven, l’anno dopo si sarebbero celebrate le Colombiadi ’92 segnado di fatto la fine dell’epoca industriale, si erano perse in venti anni 138.000 unità praticamente un’interna parte della città era sparita, pari alla popolazione della Media e Bassa Val Bisagno che comprende il quartiere di Marassi, certamente il più popoloso della città. I Governi Andreotti VI e VII si erano succeduti dal 1989 al 1992. Nel censimento del 2001, anno del G8, si era arrivati a 610.000 unità con una perdita di ulteriori 68.000 unità, quindi un quarto della popolazione residente era sparita in 30 anni, il Governo era il Berlusconi II il più longevo della storia Repubblicana con 1412 giorni. Quindi nel successivo censimento del 2011, si registrò una delle varie alluvioni nei primi giorni di novembre, la popolazione era di 586.000 unità, Governo Berlusconi IV secondo più longevo della storia con 1287 giorni.
Ci sono due date intermedie che vanno precisate puntualmente e sono il 2003 e il 2012 entrambe sotto la Presidenza Berlusconi durante le quali vennero approvate due leggi che consentirono la regolarizzazione dei cittadini immigrati, durante questi due periodi la popolazione di Genova crebbe di circa 15.000 unità nel 2005 e di altre 14.000 unità nel 2013 ma entrambe le date furono seguite da trend ancora una volta negativi risultando comunque in perdita sul lungo periodo, lo confermano i dati del 2017 che indicavano un popolazione di 580.000 unità ancora in discesa nonostante l’ultima regolarizzazione degli immigrati clandestini resa possibile dal Decreto Legge n°109/12.
Uno studio demografico realizzato dal Comune di Genova nel 2010 si concludeva con delle stime che oggi potremmo definire ottimistiche nel senso che prospettava che la popolazione cittadina sarebbe rimasta sostanzialmente invariata nei 15 anni successivi dandosi come orizzonte il 2025. Appare quindi ovvio che la previsione sulle dinamiche demografiche fu completamente sbagliata prevedendo che nel 2025 la popolazione si attestasse intorno alle 605.000 unità quando l’ultimo dato del 2018 parla di 578.000 unità. Di fronte a questi dati la statistica conferma la tendenza e possiamo provare a riportala nel lungo periodo, ipotizzando che nel 2036 la popolazione possa ancora scendere almeno del 10%. Nessuna altra città del nord ha dati di questo tipo, dati che possono essere comparati solo con le regioni del sud, avendo presente che la variazione demografica nazionale è del -4% e che in Liguria arriva al -11,8% quindi tripla rispetto alla media nazionale. Dobbiamo chiederci cosa ne è stato del patrimonio edilizio della città di fronte ad uno spopolamento così marcato e che sembra non arrestarsi nonostante l’immigrazione abbia di fatto attenuato il fenomeno negli ultimi 10 anni. Siamo di fronte ad una città di anziani, circa un terzo degli abitanti ha più di 60 anni e di questi il 30% vive in una casa da solo. In generale 16 abitanti su 100 vivono da soli.
A questa tendenza possiamo affiancare i dati dell’immigrazione che vede a Genova la più grande comunità ecuadoriana in Italia, circa 16.000 unità, di cui il 60% sono donne che si trasferirono come badanti richiamate dal mercato, questa comunità al contrario tende a vivere in una sola abitazione condividendo anche tre generazioni, nonne figlie e nipoti abitano nella stessa casa, le nonne accudiscono i bambini che molto spesso nascono da madri molto giovani e di conseguenza anche le nonne sono molto giovani, quindi una popolazione immigrata giovane che sostiene una popolazione molto vecchia e sola. Questo genera anche flussi interni alla città che rispondono a queste esigenze, cioè dai quartieri periferici come Sampierdarena o Cornigliano si muovono migliaia di badanti e colf che attraversano la città per andare al centro e a levante dove la presenza di immigrati è praticamente inesistente ma dove l’età media è molto alta e la superficie di abitazione pro-capite è elevatissima, case che senza l’aiuto degli immigrati sarebbero destinate all’abbandono come anche le persone che le abitano. Gli uomini immigrati che risultano in minoranza hanno comunque trovato impiego soprattutto nell’edilizia e più in generale sono occupati in lavori di fatica che praticamente nessuno svolgeva più, anche loro ricalcano i flussi delle compagne andando a lavorare in centro affiancando quindi la pulizia delle case con le manutenzioni ordinarie di cui c’è sempre bisogno. Piccole ristrutturazioni interne o esterne, manutenzione dei condomini sono sempre più affidate a imprese artigiane di immigrati sudamericani che hanno trovato una via preferenziale grazie alla lingua ed alla propensione al lavoro.
In Liguria il numero di colf e badanti assunte in modo regolare erano 29.400 circa, di cui 18.000 solo a Genova, nel 2018, rispetto ai circa 34.000 addetti del settore ‘costruzioni’ rilevati dall’Istat. A Genova ci sono 18 colf o badanti ogni operaio siderurgico, una lavoratrice domestica ogni due dipendenti del porto. Il quadro che emerge dai dati pubblicati dall’Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico, che ha rielaborato gli ultimi dati Inps disponibili, è sorprendente. Manutenzione ordinaria e straordinaria sia degli immobili che degli abitanti, un patrimonio edilizio datato e di scarsa qualità e allo stesso modo un patrimonio umano invecchiato e di poca utilità.
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