Genova
Crollo del ponte Morandi, in aula il 15 ottobre
A seguito del crollo trovarono la morte 43 persone mentre riportarono lesioni gravi altre 28 persone e altre 12 riportarono lesioni lievi. Rinviate a giudizio 59 persone e 2 società. Le accuse sono di attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo colposo, omicidio colposo e omicidio stradale.
Erano le 11.36 del 14 agosto 2018 quando, sotto una pioggia incessante, un boato assordante squarciò la città di Genova: crollava un tratto del viadotto sul Polcevera, un torrente il cui corso si sviluppa interamente nella città di Genova attraversando l’omonima valle. Crollava così un tratto del famosissimo “Ponte Morandi”, inaugurato nel settembre 1967, dopo 4 anni di lavori, che ha rappresentato una pietra miliare nella storia delle autostrade italiane, sia per la complessità della soluzione tecnica, sia per l’elevato risultato estetico.
Lungo 1.182 metri, il ponte Morandi presentava un’altezza al piano stradale di 45 metri e attraversava il torrente Polcevera tra i quartieri di Sampierdarena e Cornigliano, passando anche sopra la rete ferroviaria. Il viadotto, progettato dall’ing. Riccardo Morandi, aveva lo scopo di connettere la nuova A10 con la A7, scavalcando un vasto parco ferroviario, case e industrie. Due le particolarità strutturali del ponte: gli stralli, a differenza di quanto avviene per i ponti in acciaio, non formano un ventaglio o un’arpa, ma sono solo una coppia per lato e sono realizzati in calcestruzzo armato precompresso e le modalità di realizzazione dell’impalcato, ossia la parte che sostiene direttamente il piano viabile, realizzato in calcestruzzo armato precompresso, secondo un brevetto ideato dallo stesso Morandi.
A seguito del crollo trovarono la morte 43 persone mentre riportarono lesioni gravi altre 28 persone e altre 12 riportarono lesioni lievi.
L’inchiesta è durata quasi tre anni. Coinvolti gli ex vertici e tecnici di Aspi e Spea, la controllata che si occupava della manutenzione, oltre a ex e attuali dirigenti e tecnici del ministero delle Infrastrutture. Le accuse sono di attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo colposo, omicidio colposo e omicidio stradale. Durante l’inchiesta sono stati eseguiti due incidenti probatori, uno sullo stato di salute del viadotto e un secondo sulle cause vere e proprie del crollo che si è chiuso a fine febbraio.
Il 15 luglio 2021, il Giudice dott.ssa Luisa Avanzino, sulla base della richiesta di rinvio a giudizio depositata il 25 giugno 2021dai PM Terrile, Cotugno, D’Ovidio e Cozzi, ha fissato per il 15 ottobre 2021 alle ore 9:30, davanti alla dott.ssa Paola Faggioni presso il Tribunale di Genova l’udienza preliminare anticipando inoltre il calendario delle udienze successive che si terranno a seguire ogni lunedi, mercoledì e venerdì dei mesi di ottobre, novembre e dicembre sino al giorno 22 dicembre 2021.
Rinviate a giudizio 59 persone e 2 società: AGNESE Paolo, ALLEMANNI Serena, ASCENZI Alberto, BANDINI Claudio, BERGAMO Mario, BERNARDINI Lanfranco, BERTI Paolo, BRENCICH Antonio, BUONACCORSO Salvatore, CAMOMILLA Gabriele, CASINI Carlo, CASTELLUCCI Giovanni, CENERI Maurizio, CESERI Pierluigi, CHINI Stefano, CHISARI Agostino, CINELLI Vincenzo, COLETTA Mauro, DE ANGELIS Emanuele, DE SANTIS Matteo, DI TADDEO Fulvio, DONFERRI MITELLI Michele, FABRIANI Giorgio, FERRAZZA Roberto, FERRETTI TORRICELLI Lucio, FRANZESE Michele, FRAZZICA Luca, GALATA’ Antonino, GIACOBBI Massimiliano, GIORDANO Marita, LAI Igino, MALGARINI Mauro, MARIGLIANI Stefano, MASELLI Dino, MELANDRI Giorgio, MELEGARI Alessandro, MELIANI Massimo, MOLLO Riccardo, NATALI Alessandro, NEBBIA Giampaolo, PROIETTI Giovanni, RAPINO Franco, RENZI Michele, RIGACCI Riccardo, ROMAGNOLO Mariano, RUGGERI Massimo, SANETTI Fabio, SANTOPOLO Michele, SANTORO Bruno, SARTINI Ugo, SERVETTO Mario, SISCA Giuseppe, SPADAVECCHIA Nicola, STRAZZULLO Paolo, TESTA Carmine, TRIMBOLI Marco, VALENTI Antonino, VEZIL Marco, ZANZARSI Federico oltre a AUTOSTRADE PER L’ITALIA spa e SPEA ENGINEERING spa.
Il corposo fascicolo delle indagini consegnato al GIP, parzialmente in formato cartaceo e parzialmente in formato digitale, è costituito da 123 faldoni + 1 scatola contenente cronotachigrafo digitale e analogico; 135 faldoni contenenti la documentazione cartacea sequestrata e 10 scatole contenenti 96 HD contenenti copie forensi della documentazione nativa digitale sequestrata.
L’ordinanza di rinvio a giudizio riporta fatti e accadimenti che, sin da qualche anno dopo l’inaugurazione del ponte Morandi, evidenziano come la manutenzione della struttura fosse determinante per la sua sicurezza perché «la convinzione del progettista Riccardo MORANDI, secondo la quale i cavi di acciaio interni agli stralli dei tre sistemi bilanciati nn.9, 10 e 11, che reggevano l’impalcato, sarebbero stati completamente e definitivamente protetti dall’azione corrosiva dell’acqua, dell’umidità, degli agenti atmosferici e delle sostanze chimiche emesse dagli insediamenti industriali della zona, dal fatto di essere immersi in guaine di calcestruzzo precompresso, era stata smentita, a soli 8 anni di distanza dall’inaugurazione dell’opera e a 4 dalla conclusione delle operazioni di collaudo, da una relazione tecnica di SPEA (società cui erano affidate le attività di sorveglianza e di ispezione della rete in concessione) redatta dall’ing. ZANNETTI in data 15.7.1975 (poi aggiornata in date 3.10.1977 e 2.6.1978), la quale aveva verificato, anche lungo gli stralli, la presenza di fessurazioni nel calcestruzzo, con tracce di infiltrazioni di umidità, unite anche a ruggine».
Non solo, «lo stesso progettista Riccardo MORANDI, in una relazione presentata a un convegno internazionale nel 1979, aveva riconosciuto l’insorgere di “fenomeni aggressivi di origine chimica” sulle superfici esterne e aveva raccomandato di proteggerle con apposite vernici allo scopo di evitare l’infiltrazione di agenti aggressivi in grado di causare la corrosione dei cavi di acciaio interni» e ancora «lo stesso progettista Riccardo MORANDI, in una relazione per AUTOSTRADE in data 15.12.1981, rilevava, sull’opera, importanti segni di degradazione, dovuti al traffico di notevolissima intensità e alla “atmosfera altamente corrosiva per la presenza di alta salinità combinata con fumi acidi industriali”, affermava che “tutta l’opera, ove più ove meno, è sottoposta ad un’azione di degradazione talmente rapida da dover temere in tempo futuro anche della sua consistenza statica”, che essa “presenta i segni di un rapido processo di degradazione delle sue superfici esposte all’atmosfera, tale da temere nel prosieguo qualche incidenza alla sua consistenza statica” e raccomandava “immediati interventi di restauro allo scopo di evitare inconvenienti e pericoli futuri di notevole gravità”».
Una relazione di SPEA, la società d’ingegneria di Autostrade per l’Italia (Aspi) della famiglia Benetton che avrebbe dovuto controllare lo stato dei circa 3 mila chilometri della rete, in modo particolare ponti, viadotti e gallerie, avente ad oggetto ispezioni eseguite tra marzo e giugno 1985 segnalava che «dopo la rimozione, nel 1984, di alcune porzioni di calcestruzzo pericolanti dagli stralli della pila 9, il degrado era progredito e si erano verificati ulteriori distacchi di calcestruzzo; “in alcune zone sono visibili lesioni a ragnatela e le sottostanti staffature; si notano, inoltre, lesioni lungo l’asse degli stralli e perpendicolari in corrispondenza delle staffe. Sarebbe opportuno procedere a un’ispezione degli stralli lungo tutto lo sviluppo procedendo al rilievo delle lesioni, al distacco dei frammenti pericolanti ed alla esecuzione di alcuni saggi all’intradosso per accertare lo stato di iniezione delle guaine sia dei cavi di tipo A (cioè i cavi principali) che di quelli di tipo B (cioè quelli secondari) e lo stato di conservazione dell’acciaio all’interno delle guaine stesse”; questo stato di degrado veniva poi confermato in una relazione in data 18.7.1985 del responsabile della Condirezione Centrale Tecnica di AUTOSTRADE, Gabriele CAMOMILLA».
Sempre la richiesta di rinvio a giudizio cita che «in uno studio a firma DONFERRI e PARDI, pubblicato sulla rivista Autostrade nel 1993, si riferiva che “gli stralli del viadotto Polcevera (…) presentano un livello di corrosione delle armature di precompressione variabile (…) Tale fenomeno è da relazionare principalmente all’aggressione ambientale (…) Durante i lavori di manutenzione ricorrente a cui la struttura è stata sottoposta negli ultimi anni, si è scoperto, oltre al degrado diffuso su molte parti strutturali dell’opera, una serie di ulteriori anomalie concentrate prevalentemente all’attacco degli stralli con i rispettivi traversoni di sommità delle singole antenne, in particolare per i sistemi 10 e 11”» e che «da una relazione a firma di MARTINEZ, CAMOMILLA, DONFERRI, PISANI e MARIONI, presentata alle Giornate AICAP del 1993, emergeva che “durante i lavori di manutenzione e ripristino a cui la struttura è stata sottoposta negli ultimi anni, si è scoperto, oltre al degrado diffuso sugli stralli dei 3 sistemi bilanciati, con punte variabili, una serie di ulteriori degradi concentrati, alcuni dei quali all’attacco degli stralli con il traversone in sommità dell’antenna nel sistema bilanciato n.11” e che era stata “accertata la gravità del fenomeno di degrado che coinvolge prevalentemente le armature di acciaio armonico degli stralli”».
La corposa documentazione acquisita e consegnata al Gip permette, inoltre, di determinare che «a consapevolezza del fatto che gli stralli delle pile 9 e 10 presentassero stati fessurativi – che quindi esponevano i cavi di acciaio al loro interno all’azione corrosiva dell’umidità, degli agenti atmosferici e delle sostanze chimiche emesse dagli insediamenti industriali della zona – aveva indotto ASPI ad affidare a SPEA, nel marzo 2010, un incarico di progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva avente ad oggetto il “ripristino localizzato dei calcestruzzi degli stralli di pila 9 e pila 10 mediante l’impiego di malta cementizia fibrorinforzata tixotropica previa demolizione meccanica delle parti risonanti e/o che presentano fessurazione superficiale e successiva verniciatura con protettivo poliuretanico”; nonostante SPEA avesse portato a termine il proprio incarico di progettazione, l’intervento di ripristino conservativo degli stralli, il cui completamento era previsto entro il 2011, non veniva mai neppure avviato da ASPI» e che «nel periodo compreso tra il 13.6.1991 e la cessazione del suo incarico (8.237 giorni, 270 mesi, oltre 22 anni), non erano mai state eseguite, sugli stralli della pila 9, osservazioni dirette e ravvicinate dello stato di conservazione dei trefoli».
Sempre nella richiesta di rinvio a giudizio si legge come il concessionario pubblico, dal 1967, anno dell’inaugurazione del ponte, a oggi abbia sostenuto la quasi totalità dei costi della, seppur scarsa, manutenzione, mentre il concessionario privato abbia sostenuto costi risibili, nello specifico «tra l’inaugurazione del 1967 e la cessazione del suo incarico – e, quindi, per oltre 46 anni – non era stato eseguito il benché minimo intervento manutentivo di rinforzo sugli stralli della pila 9, e, nei 32 anni intercorsi tra il 1982 e la cessazione del suo incarico, gli interventi di natura strutturale eseguiti sull’intero viadotto Polcevera avevano avuto un costo complessivo di 24.284.731,00 €; di questi 24.284.731 € complessivi, 24.090.476,00 € (cioè il 99,2%) erano stati spesi dal concessionario pubblico e solo 194.255,00 € (cioè lo 0,8%) dal concessionario privato; la spesa media annua del concessionario pubblico era stata di 1.338.359,00 € (3.665,00 € al giorno), quella del concessionario privato di 13.866,00 € (37,99 € al giorno), con un decremento pari al 98,96%; situazione non giustificabile, per il concessionario privato, con l’insufficienza delle risorse finanziarie necessarie, dal momento che aveva chiuso tutti i bilanci dal 1999 al 2005 in forte attivo (utili compresi tra 220 e 528 milioni di € circa), e che, tra il 2006 e il 2017, l’ammontare degli utili conseguiti da ASPI è variato tra un minimo di 586 e un massimo di 969 milioni di € circa, utili distribuiti agli azionisti in una percentuale media attorno all’80%, e sino al 100%».
Ai rinviati a giudizio si contesta che «per colpa, consistita in imperizia, imprudenza, negligenza e inosservanza di norme (anche in materia di circolazione stradale e di sicurezza dei luoghi di lavoro) e in concorso o cooperazione con altri» si «poneva in pericolo la sicurezza dei pubblici trasporti e cagionava, non impedendolo, il crollo della pila 9 e del collegato tratto autostradale di circa 240 metri del viadotto Polcevera, ubicato al km 000+551 dell’autostrada A10 Genova–Savona, in concessione alla società AUTOSTRADE COSTRUZIONI E CONCESSIONI AUTOSTRADE (di seguito solo AUTOSTRADE) sino al 29.4.2003 e, successivamente, alla società AUTOSTRADE PER L’ITALIA (di seguito solo ASPI), crollo dovuto alla rottura per corrosione dei cavi portanti all’interno dello strallo lato mare lato Genova del sistema bilanciato n.9, nel tratto terminale di collegamento alla sommità dell’antenna, e in conseguenza del quale trovavano la morte 43 persone» e questo è avvenuto «nell’ambito del suo ruolo, delle sue funzioni e dei suoi poteri, ometteva di adoperarsi con disposizioni, iniziative, segnalazioni e proposte, affinché sul viadotto fossero eseguite frequenti, sistematiche e adeguate attività di diagnosi del degrado e di sorveglianza sulla sua evoluzione ed installati impianti idonei a prevenire il cedimento dei tiranti, nonché sistemi di monitoraggio idonei a consentire un costante e adeguato controllo del suo comportamento al fine di prevenire disastri, e, in particolare, affinché si procedesse, anche sugli stralli della pila 9, a interventi analoghi a quelli eseguiti sugli stralli della pila 11, che avevano identica struttura – interventi che, se realizzati, avrebbero impedito con certezza il crollo – o, quanto meno, a interventi analoghi a quelli eseguiti sugli stralli della pila 10, o, in alternativa, affinché il traffico veicolare sul viadotto venisse interdetto».
Da quanto compare nella richiesta di rinvio a giudizio, appare evidente che l’utilizzo di stralli ricoperti da cemento precompresso ha dimostrato sin da subito quanto l’ardita scelta progettuale non garantisse standard qualitativi sufficienti per un’opera pubblica, al di là della magnificenza costruttiva che sembra, però, abbia più soddisfatto egocentrismi che non servizio pubblico. Il solo fatto che la manutenzione, che obbligatoriamente doveva essere pianificata, era evidentemente costosa e, ancora una volta, non adeguata ad un’opera pubblica e di importanza strategica come quella del ponte sulla Polcevera. A questo, purtroppo, si somma l’evidente disinteresse di risolvere un problema sia perché il controllore, lo Stato, fu presto trasformato in un controllato dagli appaltatori privati, sia perché, come spesso accade per le aziende private, il profitto era la mission aziendale, al contrario di quanto sarebbe accaduto, invero, per un’azienda pubblica la cui mission deve essere quella di porsi al servizio della “res publica”. La parola ora passa alla corte. I tempi della prescrizione dei singoli reati ascritti, al netto della legge Cartabia, fortunatamente oggi giocano a favore delle vittime che potranno, ci si augura, avere giustizia anche se, ancora una volta, il suo raggiungimento non potrà cancellare il dolore di chi ha perso una moglie, un figlio, un genitore o anche solo un amico. E ancora una volta dovremo rimettere sulla bilancia i pesi della giustizia e dell’etica.
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