Ambiente
Laura Castellano, una vita da biologa marina all’Acquario di Genova
Arthur Clarke diceva che sarebbe più giusto chiamare il nostro pianeta Oceano, anziché Terra. Mari e oceani, in effetti, ricoprono oltre il 70% della superficie del pianeta; eppure sappiamo davvero poco delle profondità oceaniche.
Ma conoscere è il primo passo per proteggere. E uno degli obiettivi dell’Acquario di Genova – fra le istituzioni più importanti del suo genere non solo in Italia, ma a livello globale – è proprio permettere al pubblico di scoprire forme di vita e ambienti sconosciuti ai più. Chi di noi, del resto, ha mai visto delle gorgonie o dei lamantini, dei pinguini Papua o degli squali pinna nera?
Ancora, l’Acquario collabora a livello scientifico con importanti università e centri di ricerca, e partecipa alla cura di animali in difficoltà: da tartarughe marine impigliate in reti da pesca, a rettili prima acquistati e poi abbandonati dove capita (è il caso di pitoni e boa), passando per animali tenuti in condizioni a dir poco inadeguate (come uno squalo pinna nera costretto per anni a vivere nell’acquario di una discoteca).
Di tutto questo si occupa la biologa marina Laura Castellano, veterana nello studio e nella tutela della biodiversità marina, che all’Acquario di Genova è responsabile del settore Mediterraneo, acque fredde, rettili e anfibi.
Laura, raccontaci un attimo di te. Di dove sei, cosa hai studiato?
Sono nata a Sanremo ma mi sono laureata in biologia marina a Genova, nel 1992. Ho trascorso un semestre in Francia grazie a una borsa di studio e sono tornata qui nel 1993, anno in cui iniziava la seconda grande apertura dell’Acquario. Ho fatto un colloquio e mi hanno assunta.
Immagino che essendo di Sanremo, e quindi essendo a contatto col mare sin da molto piccola, la scelta di biologia marina sia stata in qualche modo naturale. È così?
In effetti sì. Sai, come ligure che ha vissuto a Sanremo tutta la sua infanzia e adolescenza, ho sempre visto il mare, l’ho sempre avuto davanti a me. Che fosse calmo o agitato era una presenza costante. In città così il mare fa parte di te. Infatti quando sono venuta a Genova per l’università ogni tanto ne sentivo la mancanza: all’epoca c’era proprio una barriera fra la città e il mare e mi sembrava impossibile vivere a Genova ma non vedere mai il Mediterraneo. Ora la città è diversa, si è aperta molto sul mare per fortuna! Per me vederlo è imprescindibile.
Come è nata la tua decisione di studiare il mare?
Non saprei dirti come è successo, è un interesse che ho avuto sempre. Dopodiché, ai tempi dell’università avevo cominciato a fare immersioni, e il binomio biologia-immersioni è stato decisivo nella scelta di specializzarmi nello studio del mare. Tuttora fare immersioni è una cosa che mi completa. Il mondo sottomarino mi affascina enormemente perché è davvero come un altro mondo. È sempre il nostro pianeta, eppure è completamente diverso dall’ambiente in cui viviamo noi. Basti pensare che i pesci, per esempio, respirano l’acqua, non l’aria. Infatti il mio sogno è avere le branchie [ride].
Hai un legame molto forte con l’acqua.
Sì. Quando capita che non possa fare immersioni per un po’ ne sento la mancanza. Appena entro in acqua e mi immergo dimentico anche il più grosso dei problemi che ho. È sempre un’esperienza catartica, in qualche modo, ci si immerge e si riemerge più leggeri e aperti. Inoltre quello sott’acqua è un ambiente ovattato, si fluttua… perdere il proprio peso e sentirsi sospesi dall’acqua è una sensazione meravigliosa. Tra l’altro per me l’acqua è stata fondamentale sempre, ma nel 2004 lo è stata in modo particolare.
Perché?
Quell’anno ho avuto un grave incidente durante una spedizione alle Isole Marshall, nel Pacifico, dove ero andata insieme a una ONG che studiava le barriere coralline di quelle isole e di cui facevo parte all’epoca. Ho riportato davvero tante fratture, e molto gravi. La mia gamba aveva subito un trauma tremendo, avevo il femore, un braccio e uno zigomo rotti, il bacino fratturato in più punti… ero veramente uno straccio. Mi ci sono voluti mesi per ricominciare a camminare e lavorare, e l’acqua è stato un aiuto straordinario: mi portavano in piscina e appena entravo in acqua mi commuovevo per il sollievo. L’acqua mi liberava del peso del corpo e finalmente potevo muovermi e fare riabilitazione.
Tu sei responsabile del settore Mediterraneo, acque fredde, rettili e anfibi dell’Acquario di Genova. In che senso “acque fredde”?
Nel 2005 con l’Acquario abbiamo avuto due spedizioni in Antartide, e oggi siamo gli unici in Europa a ospitare degli animali antartici. Sono sia pesci che invertebrati, animali che vivono a meno un grado di temperatura, e sono stati trasportati qui da spedizioni che hanno fatto l’Università di Genova e altre istituzioni, in collaborazione con noi. Quel lavoro ha avuto risultati inaspettati, considera che queste due spedizioni sono state fatte rispettivamente nel 2004 e 2005, e quegli animali sono ancora qui all’Acquario. Abbiamo creato delle condizioni così adeguate che alcuni di loro si sono anche accoppiati, e questo ci ha permesso di osservare e descrivere molti aspetti di questi animali che prima non si conoscevano, dalla dimensione delle uova alle cure parentali: studiare gli animali sott’acqua, in Antartide, è molto difficile. Infatti, insieme all’Università di Genova e al CNR, abbiamo anche pubblicato degli studi scientifici su alcuni di queste specie.
Ad esempio?
Ad esempio abbiamo pubblicato sui cosiddetti icefish, in italiano pesci ghiaccio. Naturalmente gli animali antartici in generale hanno degli adattamenti particolari per vivere in quell’ambiente. Ebbene, gli icefish sono dotati di una proteina anti-congelamento diciamo, che permette al sangue di restare fluido anche a –1°. Hanno una respirazione cutanea, cioè respirano attraverso la pelle, e il loro metabolismo è molto lento… infatti si muovono veramente poco! I nostri icefish si sono accoppiati, e così abbiamo potuto osservare che le uova di questa specie, a differenza di molte altre, sono piuttosto grosse, che è il maschio a prendersi cura delle uova, e che durante l’accoppiamento avviene una serie di cambiamenti nel dimorfismo sessuale tra maschio e femmina, tutti aspetti che prima non erano così noti.
Siete anche un attore importante nella conservazione. Capita che vi occupiate di animali che provengono dal mare aperto?
Sì, ad esempio ci occupiamo di recuperare tartarughe marine da trent’anni, e nel 2008 siamo stati autorizzati dal Ministero come centro di recupero in Italia per la Liguria. Quindi esiste un protocollo di intesa con le Capitanerie di porto, per cui se in mare viene ritrovata una tartaruga in difficoltà facciamo insieme le valutazioni del caso e, se stabiliamo che è plausibile, l’animale viene trasportato da noi. Lo accogliamo seguendo un iter ben preciso, l’animale viene visitato dai nostri veterinari e curato nelle nostre vasche, dove creiamo un ambiente idoneo alle sue esigenze, ad esempio per quanto riguarda la luce, la circolazione dell’acqua, lo spazio, il cibo. Vengono somministrate le eventuali terapie necessarie e, quando l’animale si riabilita lo liberiamo in mare riportandolo dove era stato trovato.
Com’è una tua giornata tipo all’Acquario?
Dunque, il lavoro non manca [ride]. Appena arrivo come prima cosa controllo la mia posta. Poi coordino un gruppo di dieci acquaristi che lavorano con me, e che svolgono la gestione ordinaria e straordinaria delle vasche di nostra pertinenza, da quelle con gli invertebrati a quella degli squali, passando per i rettili, la parete vegetale e le vasche antartiche. In pratica ogni giorno il gruppo si occupa di fare un’apertura delle vasche per controllare che sia tutto a posto e che tutti gli animali stiano bene, nonché di nutrirli. È molto importante che chi si occupa di questi animali abbia un occhio molto attento perché un pesce, a differenza di un cane o un gatto per esempio, non dà grandi segnali quando non sta bene, avendo una mimica facciale inesistente e il corpo piuttosto rigido. Lo si capisce osservando il suo nuoto, o se le branchie si muovono in modo un po’ diverso dal solito, forse è spuntato un puntino dove prima non c’era nulla. Questa è una grande capacità che devono avere i biologi e gli acquaristi, perché permette ai veterinari di intervenire immediatamente, quando il problema è ancora facilmente risolvibile spesso. Magari con un supporto vitaminico oppure cambiando la luce. Occorre una buona conoscenza dell’ecologia degli animali, del loro comportamento, di quello di cui hanno bisogno.
E poi c’è la questione del carattere. Ad esempio, se si sa che un esemplare è molto spavaldo mentre un altro è molto timido, quando li si nutre bisogna trovare il modo di far mangiare senza rischi anche quello più timido. E a volte bisogna inventarsi anche degli strumenti o delle piccole strategie per riuscirci. E poi si raccolgono campioni d’acqua da far analizzare in laboratorio, perché l’acqua deve rientrare sempre in parametri ottimali per garantire il benessere degli animali.
Inoltre studiamo sempre delle migliorie, progettiamo nuovi habitat, partecipiamo a progetti di ricerca e conservazione. E non ci occupiamo solo dei nostri animali o di quelli trovati in difficoltà in mare aperto, riceviamo tantissimi animali anche dai privati.
Cioè?
Questo è un fenomeno sul quale cerchiamo di fare molta sensibilizzazione. Spesso chi acquista degli animali non ha idea di quanto vivranno, né delle dimensioni che raggiungeranno. E spesso succede che a un certo punto non sappia più cosa farsene. È facile che accada, per esempio, con i rettili. Tantissime persone comprano delle tartarughe, ma non dovrebbero proprio farlo, diciamolo pure. Le tartarughe vivono anche trenta, quarant’anni, diventano grandi e non si sa più dove metterle. Per cui molte persone le hanno lasciate nei vari rigagnoli e laghetti che ci sono in giro, queste hanno sterminato le tartarughe locali – ossia hanno fatto un bel danno – e ora abbiamo in giro migliaia di queste tartarughe, che sono un problema non da poco. Una volta mi hanno chiamata perché ne hanno trovata una abbandonata in metropolitana! Oppure ci chiedono di ospitare iguane, serpenti, pesci, persino squali. Abbiamo preso in carico degli squali da privati.
Addirittura.
Sì. Dallo squalo nutrice a un pinna nera persino. Un giorno mi hanno chiamata per uno squalo pinna nera che, a quanto mi dissero, era stato tenuto in una discoteca. In pratica l’ambiente peggiore che potesse esistere per lui! Mi mandarono delle foto e notai che la sua bocca, anziché essere piegata verso il basso, come succede in tutti gli squali, sembrava quella di un delfino perché era arcuata verso l’alto. Ne ero molto sorpresa naturalmente, ma le visite del veterinario hanno chiarito tutto. Quello squalo soffriva di un tiroidismo tale che la tiroide gli aveva cambiato la forma della mandibola… L’abbiamo preso in carico, curato, e devo dire che è stato davvero un successo, la sua bocca è tornata normale.
Ancora, all’Acquario per esempio abbiamo uno squalo nutrice che avrà almeno trent’anni, ma per la sua età è piccolo. Gli squali nutrice in genere arrivano a più di due metri di lunghezza, mentre lui è circa un metro e mezzo, perché per tantissimi anni, prima di arrivare da noi, ha vissuto in una vasca molto piccola. Anche lui ha avuto un problema enorme alla tiroide, ora sta bene però è rimasto piccolo. Quindi adesso vorrebbe accoppiarsi con le femmine, ma è troppo corto. Negli squali il maschio morde la pinna pettorale della femmina e poi c’è la copula, ma lui è troppo piccolo per poter fare questa manovra, diciamo così. Anche questo animale, se non fosse arrivato da noi, avrebbe fatto proprio una brutta fine.
Hai una vasca preferita all’Acquario, una in cui ti piace particolarmente immergerti?
In realtà mi piacciono tutte. Dalla vasca degli squali, in cui è molto piacevole e anche interessante immergersi, perché li si vede proprio da vicino e si lavora a strettissimo contatto con loro, fino alla vasca delle gorgonie, dove ci si può avvicinare e guardare come crescono i polipi, che sono davvero minuscoli, qualche millimetro appena. Mi affascinano tutte, non riesco a trovarne una che preferisco alle altre.
Oggi si parla molto dello spazio, fra lanci di satelliti, missioni su Marte, addirittura prospettive di turismo spaziale. Allo stesso tempo però, i mari e gli oceani del pianeta Terra sono perlopiù sconosciuti, non è vero?
Esatto. La maggior parte del globo terrestre è ricoperta dai mari e dagli oceani, e ci sono profondità abissali di cui sappiamo poco o niente. C’è ancora moltissimo da studiare, ad esempio, oggi sappiamo che la parte abissale e profonda degli oceani è una sorta di motore che fa muovere tutte le acque del globo. Quindi, se le conseguenze del cambiamento climatico dovessero influire anche sulle temperature di queste acque profonde, potrebbero rischiare di modificare o persino fermare la circolazione dei nostri mari. Anche la fauna degli abissi è pressoché sconosciuta, anche perché non è affatto semplice andare a studiare un organismo a 1500 metri di profondità, figuriamoci a 10mila! È un po’ come andare su Marte, nel senso che Marte è incredibilmente lontano, però anche le profondità abissali del nostro pianeta sono tuttora inaccessibili per noi. Per fortuna oggi esistono strumenti fantastici, come robot che scendono a profondità estreme e possono raccogliere dati, filmati, campioni; però dobbiamo ancora fare tanta strada, e in particolare moltissime campagne oceanografiche, per capire bene come funzionano gli oceani e i mari del nostro pianeta. E sarebbe davvero importante andare a conoscere meglio quelle profondità, perché solo conoscendo un ambiente si riesce a trattarlo adeguatamente, senza fare danni.
C’è un’esperienza che ti ha colpito in modo particolare?
Ormai sono quasi trent’anni che faccio questo lavoro, e sono successe tante cose che mi sono rimaste impresse, alcune in acquario, altre all’esterno. Ad esempio, ti confesso che ogni volta che andiamo a liberare una tartaruga mi emoziono tantissimo. Un’altra esperienza memorabile è successa qualche anno fa, in estate. Una femmina di mobula mobular, ossia di manta mediterranea, è entrata nel porto di Savona. Era di un paio di metri, quindi piuttosto piccola. E ha cominciato a restare sempre nelle vicinanze della costa, nei dintorni di Savona, la Capitaneria ci chiamava spessissimo. Un giorno sono tornata a vedere come stava e l’ho trovata con le ali intrappolate nelle lenze dei pescatori che pescavano da riva. L’abbiamo seguita con la Capitaneria di porto di Savona per capire cosa potessimo fare, dovevamo aiutarla perché ogni volta che muoveva le ali le lenze la tagliavano di più. Mi sono immersa molte volte e la cosa straordinaria è che questa manta, anziché scappare quando mi vedeva, come fanno normalmente i pesci, lasciava che mi avvicinassi. Tanto che sono riuscita a staccarle le lenze e gli ami di dosso. Fra una cosa e l’altra abbiamo seguito quella manta per oltre due mesi, dopodiché per fortuna è tornata al largo, dove è più normale che stia. Però nel frattempo il suo caso era stato seguito da tantissime persone, e ci ha offerto l’opportunità di parlare di questi animali, spiegare cosa sono e come comportarsi con loro, perché a volte la manta si spingeva fino a riva. È stato un lavoro faticoso ma una bellissima esperienza.
E in Acquario?
Un giorno ero in immersione nella vasca degli squali, e di solito loro ci nuotano sempre intorno. A un certo punto una ricciola piuttosto grossa, poco meno di un metro, ha cominciato a nuotare verso di me, ad avvicinarsi. Tanto che ha cominciato a smangiucchiarmi la maschera e mi chiedevo cosa volesse. Allora ho provato a toccarla, ad accarezzarla sotto la testa… e lei è rimasta lì a farsi accarezzare! Si è addirittura infilata sotto il mio braccio lasciandosi accarezzare, io sono rimasta basita perché un pesce che si lascia accarezzare non è certo una cosa comune. E sia chiaro, quando si è in mare una regola fondamentale è “guardare e non toccare”. Ma questo era un animale che conoscevo molto bene, conosciamo molto bene tutti gli animali che sono nell’Acquario, conosciamo il carattere di ognuno. Anche questa è stata un’esperienza che mi è decisamente rimasta impressa! Come pure l’allevamento di larve di riccio di mare, che grazie alla grande cura e dedizione del mio staff sono metamorfosate e i piccoli ricci sono lentamente cresciuti. Ma per me è straordinario anche osservare gli animali che abbiamo in Acquario giorno per giorno… osservare i maschi di castagnola pulire freneticamente le pareti rocciose per invitare le femmine a deporre le uova, gli apogon maschi che portano le uova fecondate in bocca per proteggerle, la cura dei piccoli dei cavallucci marini, l’accoppiamento furioso degli squali.
È risaputo che il Mediterraneo, come tutti i mari e gli oceani del mondo, purtroppo si trova ad affrontare problemi molto gravi: dall’inquinamento ai comportamenti irresponsabili, dalla pesca dannosa e illegale ai cambiamenti climatici. Tu però tieni molto a far vedere anche le luci, ad esempio in altre occasioni mi hai detto che gli sforzi di conservazione, come le Aree marine protette, i santuari, ecc., stanno dando dei risultati.
Sì, fortunatamente sì. Secondo me le Aree marine protette sono fondamentali, svolgono un ruolo importantissimo nel ripopolamento, non solo di quel punto ma anche delle aree circostanti. Chiaramente la protezione deve essere fatta coinvolgendo le popolazioni locali: se ci si basa solo sui divieti non si ottengono i risultati che invece arrivano quando c’è la partecipazione di tutta la comunità, che sicuramente è la cosa più difficile da realizzare. Perché bisogna dire che gli esseri umani tendono a mostrare una fortissima resistenza al cambiamento, quindi in principio ci si spaventa. Ma se la gestione del mare diventa qualcosa che preoccupa e coinvolge ognuno di noi, allora i risultati si ottengono davvero.
Ad esempio, quando noi liberiamo le tartarughe organizziamo un vero e proprio evento. Prima che scoppiasse la pandemia ne abbiamo liberate cinque dalla spiaggia di Corso Italia, cioè la spiaggia della città a Genova, invitando tutti coloro che volessero partecipare. Sono arrivate decine di bambini, erano davvero tantissimi, e hanno potuto guardare queste tartarughe da vicino e vedere come le rimettevamo in mare. Penso che quel giorno, in qualche modo, abbiamo piantato un semino di consapevolezza sul rispetto del mare in ognuno di loro, e questo è molto importante. Tutti noi dobbiamo sentire che ogni essere vivente sul pianeta è anche un pezzetto di noi, ecco. Secondo me, oltre allo studio e alla ricerca, che naturalmente sono fondamentali, la via per la conservazione passa anche per la partecipazione delle persone.
Un riavvicinamento alla natura e agli animali, perché ne siamo così staccati nella nostra quotidianità che spesso ce ne dimentichiamo.
O non li conosciamo. Pensa che spesso e volentieri le persone mi dicono che nel Mediterraneo non c’è niente… ma come non c’è niente? Tutti pensano ai mari tropicali, che senz’altro a livello di immagine hanno un altro impatto con tutti i pesci variopinti, le barriere colorate, però non è vero che nel Mediterraneo non c’è niente. Allora lo racconto, e racconto che si può davvero vedere un mondo eccezionale. Poi una cosa che io dico sempre è che nel Mediterraneo esistono le stagioni, proprio come fuori, nel senso che l’acqua diventa fredda in inverno e calda d’estate, e quindi cambia l’ambiente sott’acqua a seconda della stagione in cui ti immergi vedrai degli animali diversi, delle alghe diverse, è un mare in cui ci sono le stagioni, e per me questo è straordinario.
L’Italia è una penisola, eppure sembra esserci molta poca attenzione verso il mare, sembriamo ricordarcene solo in estate e quando si tratta di mangiare uno spaghetto allo scoglio. Cosa ne pensi?
È vero, in realtà il mare non lo si conosce così tanto. Non sono poi così tante le persone che, quando vanno al mare, indossano una maschera e guardano cosa c’è sotto. Probabilmente sono sempre di più, però è un ancora un ambiente perlopiù sconosciuto. E non c’è dubbio che più si conosce un ambiente, più ci si sforza per proteggerlo. In effetti il nostro ruolo, all’Acquario, è anche quello di mostrarlo e farlo conoscere. Riproduciamo gli ambienti naturali il più fedelmente possibile, con un’attenzione davvero meticolosa, in modo che le persone possano almeno avere un’idea di quello che c’è sott’acqua.
Cosa consiglieresti a tutte le persone, e sono sempre di più, che si preoccupano per la salute dei mari e degli oceani? Cosa potrebbero fare per dare il proprio contributo e avere un impatto positivo, per quanto piccolo?
Certamente le grosse decisioni devono essere prese a livello politico, i governi devono trovare un cammino per proteggere questo pianeta, altrimenti distruggiamo le nostre stesse chance di sopravvivenza: senza di noi il pianeta sopravvive, siamo noi che non sopravviviamo senza il pianeta. Però sono convinta che anche ognuno di noi debba e possa fare qualcosa per partecipare a questo sforzo. Ad esempio fare la raccolta differenziata, non lasciare rifiuti sulle spiagge, non usare quintali di sapone per lavare i piatti o farsi la doccia quando si va in barca… per decenni abbiamo visto il mare come un grosso serbatoio, ma siamo arrivati a un punto tale che ora ci restituisce tutto quello che gli abbiamo buttato dentro. Ognuno di noi, con amore, può contribuire a recuperare un po’ del mare che frequenta, del mare che vive.
E cosa consiglieresti a un giovane o a una giovane biologa marina che magari sta ultimando gli studi?
Non voglio mentire, in questo momento il lavoro è difficile. D’altra parte anch’io quando studiavo biologia marina mi sono sentita dire spesso che sarebbe stato difficile trovare un lavoro. Però penso sempre che chi ha una grande passione è già un po’ salvo, perché significa avere una marcia in più. Chi vuole davvero fare questo lavoro deve perseguire la sua passione. Esistono molti enti di ricerca oltre all’Acquario, si può diventare guide naturalistiche, si possono anche svolgere studi di impatto ambientale come liberi professionisti. Ci sono delle possibilità, l’importante è essere molto determinati.
Immagine in copertina: Laura Castellano e il suo team dell’Acquario di Genova
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