Firenze

La Leopolda è in vendita, il renzismo resta, ancora sano e forte

11 Dicembre 2015

FIRENZE – Comunisti, gente di sinistra, uomini di fatica, il tempo stringe! Avete ancora pochi giorni e il sogno svanirà, ma sino all’11 gennaio 2016, momento in cui  si chiuderanno le offerte, per voi resta il piedi la fiammella di una epocale opportunità. Con miseri sette milioni e due, roba che Davide Serra si fuma la mattina lavandosi i denti, toglierete il giochino più bello al bimbo Matteo – la Leopolda – rimodellandola eventualmente su convegnistica trotzkista, in luogo di quella fierona per fighetti che è arrivata, udite udite, alla sesta edizione di scassamento di cabasisi. Insomma, per farla breve, l’ex stazione a cui mise mano persino Gae Aulenti esce dal mammozzone immobiliare di Ferrovie e messa sul mercato per un Bertelli qualsiasi, che se l’avesse saputo prima l’avrebbe forse fusa in Fondazione Prada. Che questa Leopolda 6 possa essere anche l’ultima di una lunga serie pare forse delirio da contro-onnipotenza, ma se qui a Firenze si sogna e si sogna generalmente in grande, niente vieta ai casalinghi disperati della sinistra-sinistra di lanciare un gigantesco crowdfunding comunista e tappare per sempre la bocca al primetto della classe che evoluisce sul palco come neppure il Bolle Roberto. Signore e signore, dunque, andate allegramente sul sito di Ferrovie e gettate sul rosso la vostra fiche, il soldino della speranza per riportare in prima fila Bersani e i suoi ghepardi spelacchiati. In fondo, cosa sono sette milioni e duecentomila euro, un paio di corridoi di Banca Etruria?

Cosa si respira qui a Firenze/Leopolda lo sapete bene, avendone letto di sotto e di sopra, ma se ci sono ancora storie segnalabili tutte provengono ancora e sempre dal presidente del Consiglio che qui ovviamente è di casa, essendone stato padrone molto apprezzato. Entrando a corte, ognuno trova il suo sentimento, perchè tutti i sentimenti sono a disposizione della platea ma proprietà intera e indivisibile di Matteo Renzi. È cosa buona e giusta esibire un pregiudizio, entrando a corte, poco importa che sia positivo o negativo anche se la critica del primo tipo, nei pressi dell’adulazione, è generalmente la più abusata e in tutte le categorie presenti: semplici appassionati, medi appassionati, grandi appassionati, appassionatissimi giornalisti. Ma anche chi dovesse esibire il pregiudizio del secondo tipo, non potrebbe che rotolarsi dalla soddisfazione per l’ideuzza felice del buon Matteo di silenziare completamente quei tromboni dei suoi colleghi (ad eccezione di quattro ministri) che avrebbero voluto salire sul palco e menarcela terribilmente con le cose fatte e quelle eventualmente ancora da fare. Spazzare via la politica politicante, risoluzione demagogica ed estrema in linea coi lineamenti impazienti di un Paese inquieto. Meraviglioso Renzi, consapevole che esibire una Serracchiani o farci addormentare da un Carbone non collima con quella visione tecnologicamente smart che ha sempre fatto la fortuna della Leopolda. Del resto, tre giorni di moratoria da Roma ladrona nel centro estetico Leopolda non sono la migliore tisana possibile?

Alla ricerca di una lontana Leopolda, dove il sentimento estremo per il Capo si univa all’idea molto concreta di cambiare la società italiana, urge tornare alle convention di Publitalia in cui la folla di promotori alla guida di Marcello Dell’Utri urlava – compatta – «Sei il nostro Sole!» e quel Sole naturalmente non poteva essere che l’inarrivabile Cav. che con quella strutturina agile ma economicamente poderosa il mondo, il nostro, poi lo cambiò davvero. E si racconta, ma sono racconti di primissima mano, che i ragazzi in carriera che in quegli anni seguirono i raggi di quel Sole poi divennero autenticamente miliardari (c’era ancora la vecchia, cara, liretta). Così adesso, non sembra essere un’eresia mettere in parallelo quelle carriere con queste di oggi, vivaci ragazzuoli di provincia che gettarono un soldino di speranza sulla ruota di Matteo Renzi, presidente di qualcosa, e oggi magari si ritrovano con un ministero importante sulle spalle. Ma perché qualcuno non abbia l’illusione di essersi liberato di un ingombro ventennale, come oggi verrebbe considerato Berlusconi, siamo in grado di darvi il punto proprio da Arcore, dove questa mattina il padrone di casa ha ricevuto una troupe di Sky, con al timone l’Emilio ma Carelli, per il solito intervistone natalizio. Ebbene, tutti i presenti hanno concordato su un punto, che il Cav. fosse in pienissima forma per un semplicissimo motivo, che poi è fondativo della storia berlusconiana: li ha crivellati di barzellette. Di cui una, una in particolare, ha tramortito gli astanti e non possiamo negarvela, pur essendo per orecchie particolarmente delicate. «Lo sapete perchè le principesse hanno il sangue blu?», ha chiesto Berlusconi ai suoi ospiti occasionali. Ovviamente silenzio, nessuna risposta, pur conoscendola magari, se non altro per non rovinargli l’effetto sorpresa. «Ma perchè fanno i pompini al Principe Azzurro!». Ci si chiede, qui, se ci possa essere allora un filo rosso, certo sottile ma forse non invisibile, tra due mondi così lontani e certamente diversi di due Capi della nostra storia politica, visto che se ne parla sempre che uno è un po’ il figlioccio dell’Altro, considerando comunque l’Altro inarrivabile per storia, personalità e mille e mille magistrati alle calcagne come mai prima.

Tutti qui si sentono tonici, si guardano, si abbracciano, vecchi arnesi rimodellati a renziani dopo aver servito altri padroni s’aggirano senza macchia e anche senza vergogna perchè il renzismo ha questo di buono, fa partire di nuovo tutti da zero, screma il passato e offre solo il presente, il grande presente della Leopolda. Che non contempla dispensatori di inquietudini politiche, che non ammette eccezioni alla felicità, per cui ha buon gioco il padrone di casa a mettere alla porta «chi viene per parlare di correnti». Scrive nella sua letterina elettronica, Matteo, prima ancora di palesarsi in carne e ossa, che «la Leopolda per noi è una festa, come tornare a casa, da dove tutto è cominciato. Uno spazio fisico ma soprattutto un luogo dell’anima per chi crede che fare politica sia una cosa bella, un servizio a tempo, un impegno civile. Chi viene per parlare di correnti, discussioni interne, posti di potere (sic) può restare a casa. Alla Leopolda sono di casa le idee, i sogni, anche le critiche» (sic 2 la vendetta).

Dopo aver frequentato numero illimitato di convention di Forza Italia, conveniamo che la sovrapposizione è plastica, perfetta, irredimibile. A cui si può aggiungere, a piacere, un certo umanesimo compassionevole respirato più volte, invece, in quel di Rimini, in occasione del meeting di Comunione e Liberazione. L’unica, vera, differenza è la partenza musicale che qui si affida a una joint venture da macchina del tempo tra  il povero Saint-Exupéry e Jovanotti sulle note della «Terra degli uomini». Si mixano nei mille video le storie di cinque Leopolde cinque, la musica spacca, e poi entra i bravi presentatori, lui che in Campania ha travolto gli sfidanti ed è diventato sindaco di Ercolano, Ciro Buonajuto, lei giovanissima, Ottavia Soncini, vice presidente del consiglio regionale Emilia Romagna. Poi entra il terzo bravo presentatore, che “si farà”, lo annunciano così con un pizzico di ironia. Matteo prende l’applauso e mille flash, sorride come il vecchio Frank prima di My Way, e spiega semplicemente i suoi tre giorni del condor, tra cose fatte nel 2015 – “quelle buone e quelle così così” – otto testimonianze piene del racconto italiano. Ma poi si fa serio, ammette per un attimo che “senza la Leopolda non sarei a Palazzo Chigi”, poi chiede alla platea la riflessione su un comune tormento: “Come vivere il cambiamento al tempo del terrorismo e della paura? Restando noi, con la nostra identità, la nostra cultura”. Non gli garbano quelle ironie sui 500 euro ai diciottenni da spendere tra musei, teatri, cinema e mostre, e ci torna, associandole a un filmato in cui Palmyra muore sotto i colpi dell’Isis. Poi parte uno «scandaloso video di propaganda» – sono proprio le parole del premier – sui successoni del jobs act, scopiazzatissimo, nell’ideazione, da quei filmatini agili e svelti di Floris con pennarelli e lavagnette. Qui invece si va lunghissimi, una roba variamente pallosa che non porta nulla anche alla platea.

Si dovrebbe dire di Sala, Sala Beppe candidato sindaco della nostra cara Milano. Esce per secondo, gli hanno consigliato di “scamiciarsi” com’è l’uso della casa, per cui niente cravatta, solito allegro abito bleu, sorriso tutto sommato disteso, e cinque minuti divisi tra il “grande orgoglio” per quel che è stato Expo, un no deciso alla solita moda emergenziale per cui sarebbe stato “un nuovo miracolo italiano”, l’elogio della collaborazione tra pubblico e privato, un grazie a Cantone e due minuti finali di foto orgogliose, lui con tutti i potenti o gli illustri che sono passati da Expo. Alla fine, un saluto, l’abbraccio col premier. Molta discrezione milanese, ma un sostanzioso segnale politico, averlo lì, su quel palco, scelto tra gli otto che marcheranno il 2015. Balzani, Majorino, siete avvertiti.

Il primo giorno scorre senza troppa emozione, come se un sentimento trattenuto avesse consigliato al padrone di casa un profilo basso, ma neppure la regia costruisce gioco, forse troppo imbrigliata dalla presenza renziana. Gente che prende capotto e cappello se ne vede già al terzo intervento, forse domani saremo tutti più tonici. Ma sembra davvero l’ultima Leopolda, sembra davvero che più di questa narrazione quinquennale non si possa cavare anche da un funambolo come Renzi. Un capitolo forse è finito per sempre. Ma il renzismo continua, beninteso, ancora sano e forte. Buonanotte.

Ps. Aleggiava il fantasma di Roberto Saviano sulla Leopolda parte Boschi. Cannoneggiata sul piano morale e politico per la questione Banca Etruria, la ministra si ė chiusa a riccio. Di più, neppure è salita sul palco. Di più, per lunghe ore non si è fatta proprio vedere in sala

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