Firenze

Hanno ammazzato Carmen, Carmen è viva!

8 Gennaio 2018

Non ho visto la Carmen al Maggio Musicale Fiorentino, dunque ne parlo solo per sentito dire. Ma la cosa è divertente.

Pare che il finale dell’opera sia stato cambiato: la Carmen di Bizet, per questa volta, non muore, con buona pace dei librettisti, Henri Meilhac e Ludovic Halévy che, nel 1875, avevano lavorato partendo dalla Carmen di Prosper Mérimée.

All’Opera, ormai è chiaro, si sperimenta molto: è diventato sempre più il regno della fantasia registica. Contestualizzazioni originali, salti temporali, tenori e soprani che cantano a testa in giù o vestiti da bambini, orchestre e cori dislocati ovunque. Va tutto bene e anzi ci piace, ci diverte un po’ di sana iconoclastia.

Per la Carmen fiorentina, il regista Leo Muscato si è inventato un finale “aperto”: non so – non posso dirlo – se intrinsecamente coerente, ma penso di sì. Muscato è uno bravo, intelligente, in gamba. Non ha mai fatto sciocchezze né scelte frivole.

Carmen di Bizet, Maggio Musicale Fiorentino, Regia di Leo Muscato

Il guaio è che, al di là di far storcere il naso ai soliti “puristi” del belcanto (i quali si appellano a non si capisce mai bene quale “tradizione”) stavolta è sceso in campo nientemeno che il sindaco di Firenze, Dario Nardella, nella veste di Presidente del Maggio.

In un tweet del 7 gennaio, ore 22.52, non solo difende legittimamente la scelta registica ma ne fa, come si dice, una questione politica.

Galvanizzato forse dalla prospettiva di una ribalta inattesa in vista delle prossime elezioni politiche o dalla serata Golden Globe, declinata in rigoroso nero per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema tragico della violenza contro le donne, Nardella si schiera: «Sostengo la decisione di cambiare il finale di Carmen, che non muore. Messaggio culturale, sociale ed etico che denuncia la violenza sulle donne, in aumento in Italia».

Mo’ vagli a spiegare, al sindaco Nardella, che la morte di Carmen proprio quello denunciava, e già da tempo, ossia la violenza sulle donne. Vagli a spiegare che le eroine tragiche muoiono (così come muoiono gli eroi) proprio perché di tragedia si tratta, e la tragedia ha, avrebbe, il compito di portare a quella “catarsi” tanto cara ad Aristotele.

Vagli a dire che la scelta registica è valida in quanto tale, che Muscato, oltre all’ambientazione più Rom che gitana, può far quel che gli pare da artista qual è, ed è l’opera stessa, semmai, a controllare le sue interpretazioni. Ma no, tocca buttarla in politica, in attualità, in campagna elettorale.

Resta fermo che sulla violenza contro le donne, sul femminicidio, sulle molestie bisogna superare ogni ambiguità o compromissione, essere drastici, fermi, risoluti nella condanna, e fare tutto quel che possiamo per combattere questa battaglia, culturale come tutte le battaglie. Però la questione Carmen fiorentina apre scenari sorprendenti.

Una scena di Carmen

Seguendo la linea solerte di Nardella, infatti, possiamo immaginare una Mimì, finalmente stanca della vita da Bohème, mollare Rodolfo, soffiare Alcindoro a Musetta e comprarsi con i suoi soldi il caffè Momus. Oppure ancora Violetta che, al canto di “Parigi o cara!” si rimette in salute grazie alle cure di una costosa clinica privata della capitale francese e fugge in Costa Azzurra con Alfredo.

E perché non una Desdemona che, anziché finire strangolata da Otello, si alza incazzata dal letto, manda a quel paese il Moro e il suo fazzoletto e scappa con Emilia. Oppure ancora ipotizzare una Ofelia che, stanca delle vessazioni di quel matto segaiolo di Amleto e delle costrizioni del padre Polonio che la vorrebbe sposa-bambina, invece di suicidarsi fonda una rock band e incide il primo album titolato Here is a willow grows aslant a brook. E allora perché non fare una Giulietta che si mette a ridere quando scopre che quel cretino di Romeo non ha capito nulla?

Scherziamo, ovviamente. Eppure c’era una tradizione, nell’Ottocento, di cambiare i finali di drammi e tragedie, per renderli meno tristi, meno deprimenti: il pubblico usciva da teatro più contento. E magari chissà, anche pronto a votare. Di buonumore.

 

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