Ambiente
Aranciate in via Cavour
Diciamolo chiaramente, una volta per tutte. Il problema principale che ci affligge oggi, tutti, a tutti i livelli e in tutte le classi sociali non è il mutamento climatico, o lo spettro di una guerra nucleare, o l’asteroide cattivo che devierà dalla propria orbita e giocherà a carambola colla Terra o i quattro cavalieri dell’Apocalisse in libera uscita. Non è nemmeno il supervulcano sotto i nostri piedi o l’alluvione prossima ventura. No.
È l’ignoranza crassa dei nostri governanti e amministratori, nonché anche di certi esponenti di associazioni naturalistiche o guardiane della salute delle nostre città e dei loro monumenti.
Prendo spunto da un articolo su Firenze, città che conosco in ogni suo angolo perché ci ho abitato per più di venti anni. Città che amo per molte ragioni e che posso riuscire a detestare per altrettante. Ma è indubbio che sia uno dei patrimoni storico-monumentali unici in tutto il mondo. Le sue colline, poi, sono una delle cose più belle che l’Europa possegga e, quando ci abitavo, andavo spesso a perdermi nei boschi profumati a cinque minuti d’auto.
L’articolo è questo:
https://www.stamptoscana.it/aranci-nel-centro-storico-interviene-italia-nostra/
Ora, a parte gli aranci amari in via Cavour per risolvere il problema del calore atroce che affligge notoriamente Firenze, vi si parla, anche da parte dei due di Italia Nostra, della conservazione del manto arboreo già presente in città.
Andiamo per ordine. Gli aranci in via Cavour sono una colossale minchiata. Per varie ragioni. La prima è che, sebbene siano piante abbastanza resistenti al freddo invernale, almeno sulla costa e in luoghi protetti (a Firenze se ne può vedere qualcuno addossato a muri di orti privati, per esempio in via del Biancofiore) non è che poi facciano questa grande ombra da scongiurare la graticola estiva. La ragione è puramente estetica e qualcuno riporta nell’articolo l’esempio di Paolo Uccello come albero decorativo nelle sue pitture. Probabilmente non in via Cavour (che all’epoca di Paolo Uccello si chiamava in un altro modo). La Città Ideale di Laurana, che si trova esposta a Urbino, meravigliosa idealizzazione di uno spazio urbano, non prevedeva piante. Probabilmente perché le città all’epoca erano assai piccole e perché ovunque c’erano dei boschi che garantivano un ricambio d’aria con un sistema di brezze oggi assolutamente vanificato dalle cementificazioni arbitrarie.
Ma la controindicazione degli aranci amari in una via che diventerebbe pedonale e affollatissima è anche un’altra, a cui NESSUNO ha pensato. Gli aranci amari sono piante bellissime, generose, con fioriture profumatissime e abbondanti. Ma l’inconveniente è che producono una quantità di frutti abnorme. E questi frutti, che di certo esteticamente fanno una gran figura, inevitabilmente, se nessuno li coglie, così come si fa nei frutteti, si spiaccicano al suolo e lo rendono una pista di pattinaggio. Ora, in una strada pedonale frequentatissima come la via Cavour, la vedo malissimo. Non parlo a vanvera, ossia come per lasciare sfuggire scoregge dalla bocca e altre parti del corpo, come altri fanno, ma per semplice osservazione. A Palermo, dove attualmente vivo, c’è una strada alberata ad aranci amari, i cui frutti io raccolgo in inverno per fare un’ottima marmellata con una ricetta tutta speciale che piace molto ai miei amici. La quantità di frutti per terra rende il marciapiede e la carreggiata un percorso a ostacoli difficilissimo per i pedoni (figurarsi per i disabili), anche perché gli spazzini passano poco frequentemente. I frutti spiaccicati sono infatti scivolosissimi oltre ad attrarre una quantità di insetti notevole.
Ma anche dopo che passano gli operatori ecologici la mole di frutta che cade dagli alberi, o per un po’ di vento o semplicemente per la stessa forza di gravità che fece cadere la mela in testa a Newton, è incalcolabile e si è punto e a capo. Io, se fossi in Nardella, lascerei che gli aranci amari decorassero solo gli acquarelli da vendere alle turiste giapponesi, come se fosse un’operazione di Firenze nostalgie, sapete, qui un tempo era il Giardino delle Esperidi e bona l’è.
È pur vero che a Siviglia, a Cordova e in altre città andaluse alcune strade sono alberate ad aranci amari, le famose arance di Siviglia, materiale delle marmellate inglesi (le mie sono più buone), ma lì la frequentazione delle strade non è come quella della via Cavour che a volte sembra una lotta all’ultimo sangue sui marciapiedi per passare. E loro le raccolgono, come vedremo più avanti.
Riguardo alla conservazione del manto boschivo dei viali devo rimarcare che a Firenze si è fatto un uso smodato del pino a ombrello, il Pinus pinea o da pinoli, bello, bellissimo, per carità. Mi pare di ricordare che viale Redi fosse tutto alberato a pini da pinoli. Anche lì, l’esperienza farebbe molto qualora i nostri amministratori e anche chi vorrebbe difendere il verde urbano facesse funzionare la logica e la memoria.
Qualche anno fa una tromba d’aria violentissima sradicò e spezzò tutto il filare di pini a ombrello che abbelliva il Lungarno Colombo, bloccando la circolazione per settimane. I tigli che alloggiavano lì vicino, per quanto danneggiati, resistettero. Ma i pini volarono via come alberelli di carta. Per la semplice ragione che i pini, a differenza dei cipressi, hanno le radici che corrono parallele al suolo e quindi, quando sono isolati le grandi chiome a ombrello con un vento molto forte fanno vela e abbattono l’albero e il pane di terra esiguo dove le radici vegetano. Risultato: uno sfacelo. Oltre, anche qui, un problema prodotto dai frutti che cadono: le grosse pigne, che cadono da notevoli altezze sono dei veri proiettili che possono uccidere i passanti e danneggiare le auto parcheggiate.
Molto più utile sarebbe piantare lecci, bagolari, cipressi, che sono piante che si trovano peraltro sulle colline di Firenze. Via Statuto, prima che fosse disboscata per far posto alla tranvia, e diventasse così anche un altro forno estivo sotto il sole a picco, era alberata a freschissimi lecci. Via, legna da ardere.
Adesso, per la via Cavour non so che piante si potrebbero mettere anche perché, forse, sarebbe necessario prima fare un’indagine del sottosuolo e vedere che spazio potrebbero avere delle radici di eventuali alberi. Di certo gli aranci amari, pur bellissime piante, presentano i problemi che ho già descritto. Speriamo che gli “esperti” della giunta comunale non pensino a palme da datteri…
Certamente il problema della poca forestazione urbana di Firenze si pone, ma l’urbanistica della città antica non agevola quest’idea dell’alberatura stradale perché le strade sono strettissime e chissà che selva di tuberie di gas, di luce e acqua c’è sotto. Le radici farebbero disastri.
Nelle parti più nuove di Firenze ci sarebbe indubbiamente più spazio.
In via Scipione Ammirato, strada espansiva verso il Piagentino della fine dell’Ottocento, c’erano i lecci, saggiamente piantati da qualcheduno in un’epoca più attenta. Lo testimoniano delle fotografie dello scorso secolo. Oggi è una strada caldissima d’estate, anche perché ha il sole tutto il giorno, est-ovest.
Sempre a Siviglia, per cercare di mitigare la calura estiva nelle strade – pensiamo che in Andalusia le temperature primaverili ed estive vanno dai 35° C ai 45° C, mediamente – pongono delle tende in cima ai palazzi che corrono parallele o perpendicolari alla strada e sono abbastanza efficaci. Chissà perché nessuno a Firenze ci ha pensato, così come in nessun’altra città, nemmeno al sud. Eppure recherebbero frescura.
A meno che, ma non ne ho sentito parlare da parte di nessuno di costoro che citano Paolo Uccello e quindi continuano ad avere una visione della realtà puramente estetica, non si faccia un’operazione ancora più raffinata e si prenda sempre come esempio proprio Siviglia.
Nella capitale dell’Andalusia, che ospita 40.000 (!) alberi di aranci amari oltre alle famose marmellate, colle arance cadute per terra, e quindi inutilizzabili, ci fanno una cosa straordinaria. Producono energia. Sembra una favola ma è così. Nel 2020 con 35 tonnellate di arance cadute per terra e col loro succo, opportunamente raccolte, si sono prodotti migliaia di kw di energia per i bus elettrici e per le abitazioni. Questa di ricavare energia dalle frattaglie degli agrumi non è una novità.
In Sicilia, per esempio, ci sono delle stazioni di rifornimento di metano che propongono prezzi assolutamente abbordabili e io, quando posso, mi rifornisco da quelle. Sono poche e sono tutte ubicate nella parte orientale della Sicilia, accidenti a loro. Ce ne vorrebbero di più anche in Sicilia occidentale, dove il metano scarseggia.
Un giorno che mi trovavo a passare da Patti, vicino Messina, decido di andare a fare metano proprio lì e siccome non mi faccio mai i fatti miei chiedo al buon uomo che mi fa il rifornimento di spiegarmi come mai da loro il metano costava 1,2 euro al kg mentre in un distributore vicino oltre i 2 euro. Il buon uomo sorride e mi dice che la compagnia proprietaria della sua rete di distribuzione non usa il metano fossile ma quello prodotto dalla macerazione delle frattaglie degli agrumi. Agrumi che, notoriamente, in Sicilia, coprono distese enormi di coltivazioni. E a un costo nettamente inferiore di quello estrattivo e, soprattutto, cosa importantissima, continuamente rinnovabile. Capito? Altro che auto elettrica! Che speculazione c’è dietro l’affare dell’auto elettrica con un’elettricità che sarà prodotta chissà come?
Nardè, vuoi fare di Firenze un pozzo di metano anche tu? Viaggia, togliti da quel buco rinascimentale affollato di ignoranti e istruisciti. E albera di aranci amari anche i tetti del Duomo, di Santa Croce, di Santa Maria Novella, dell’Accademia e degli Uffizi. E magari pure di casa tua. Sempre inverni rigidi permettendo… Buone marmellate.
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