Bruxelles

Rilanciare il “progetto europeo”, proprio dopo gli attentati di Parigi

17 Novembre 2015

Riprendendo un’antica maledizione cinese, il filosofo sloveno Slavoj Žižek ha definito “interessanti” i tempi che stiamo vivendo. Tempi di transizione. Tempi di ridefinizione. Tempi in cui anche l’Europa deve essere pronta ad affrontare i propri demoni, assumersi le proprie responsabilità ed entrare, grazie all’aiuto di tutti noi, nella maggior età. Il compito della politica, soprattutto dopo i fatti di Parigi, è di offrire una prospettiva di lungo periodo, un orizzonte a cui aspirare e una nuova cornice da costruire. Sembra una frase fatta, ma mai come in questo momento si sente la necessità di “più” Europa e di “più” politica nel suo senso più nobile e alto. Lascio ad altri, ben più titolati, le riflessioni di carattere strategico per concentrarmi su un ragionamento politico su come deve comportarsi l’Unione Europea in questa fase. Perché dopo Parigi lo scenario è totalmente cambiato e dobbiamo essere pronti.

Discutiamo spesso della necessità di una politica estera “continentale” e della difficoltà di Bruxelles nel fare sintesi tra i singoli interessi nazionali all’interno di un quadro molto più complesso. L’Europa ha, ancora adesso, poca governance e poca autonomia. Paradossalmente c’è poca politica. Questa emergenza può essere l’occasione per riflettere tutti assieme sulla costruzione di un nuova politica Europa e credo che il Parlamento Europeo debba iniziare un grande lavoro culturale che rilanci proprio il “progetto europeo”. È il momento di crescere come comunità e tornare all’idea di un continente basato su pace, tolleranza, integrazione; superare divergenze locali per la ragione superiore di chi non ha paura di affrontare i problemi e le sfide, le responsabilità e le difficoltà. Un’Europa che non ha timore di chiamare le cose col proprio nome. Fosse anche per ridefinire un vocabolario per orientarsi nel caos che ci circonda.

Credo che, in tal senso, ci siano tre punti da affrontare subito dopo Parigi.

1. Il Parlamento Europeo deve tornare luogo centrale per la costruzione e definizione dell’Europa del Ventunesimo Secolo. Quello che affronteremo qui ridefinirà il senso del continente: dobbiamo affrontare la novità e essere all’altezza del mandato che i cittadini ci hanno dato l’anno scorso, quando ci siamo presentati alle elezioni proponendo di costruire davvero l’Europa politica dei popoli che era nei progetti dei nostri padri fondatori. Per fare questo dovremo prenderci molte responsabilità e riflettere anche sulle colpe dell’occidente: il tipo di alleanze che abbiamo fatto, come la politica sia stata subordinata alla finanza e al ritorno economico sul breve termine, come si sia sostanzialmente improvvisato senza seguire un disegno complessivo. Il ritorno della politica deve coincidere con una rinnovata governance nelle relazioni internazionali e in questa prospettiva, il rilancio del “progetto Europeo” è fondamentale. Nei momenti più bui della Storia, l’uomo ha sempre reagito studiando grandi prospettive che costruissero il futuro. Ora tocca a noi.

2. Siamo chiamati a una sfida cruciale che ci vedrà affrontare uno dei grandi tabù del nostro tempo: la guerra. Purtroppo potranno rendersi necessarie risposte anche di natura militare. La Francia ha già fatto la sua scelta, noi non dobbiamo lasciarla da sola in questo momento. Dobbiamo lavorare ad un’azione internazionale sotto il cappello delle Nazioni Unite che metta assieme l’alleanza più ampia possibile ma senza farci dettare i tempi dalla rabbia e dalla paura. Dobbiamo definire prima, e nel modo più accurato possibile, una strategia e un obiettivo di lungo termine che eviti situazioni post-Iraq e post-Libia. Non possiamo permettercelo. Non dobbiamo permetterlo. L’Europa, in questa alleanza, dovrà dialogare con tutti gli agenti interessati, compresi stati come Turchia, Russia, Cina e Iran. Paesi con cui abbiamo dei contenziosi politici aperti per il loro non rispettare valori fondamentali come i diritti umani, i diritti civili e il diritto alla libertà dei loro popoli. Questi contenziosi non devono essere usati come moneta di scambio per il supporto di questi paesi. Non possiamo sacrificare la nostra idea di società più aperta e tollerante. L’alleanza non deve fermare il progresso, ma favorirlo. Dobbiamo continuare il lavoro su tutti i tavoli.

3. Non perdiamo di vista il ruolo della politica nella costruzione della consapevolezza e del progresso della civilità. Dobbiamo creare cultura per le giovani generazioni. Il Parlamento Europeo si impegna tantissimo per la sua promozione. Bisogna rivedere le strategie con cui “comunichiamo l’Europa”. Siamo un continente inclusivo e aperto, contrario a ogni fondamentalismo e oscurantismo. Dobbiamo promuovere la cultura della differenza. Solo così supereremo le divisioni, le barriere, l’ignoranza. Solo così eviteremo la fastidiosissima equazione per cui Islam è uguale a Terrorista. La battaglia va fatta anche sul tavolo della cultura. Anche questa è politica. Lo sguardo deve essere a 360° e deve essere lunghissimo. Qui non si tratta del prossimo anno: si tratta del prossimo secolo in cui cresceranno i “nuovi europei”.

Dobbiamo costruire un nuovo mondo. Dobbiamo costruire una nuova Europa. Dobbiamo farlo tutti assieme. Dobbiamo essere laici e responsabili. Consapevoli delle difficoltà e delle grandissime problematiche che qualsiasi nostro gesto comporterà. Il rilancio del “progetto europeo” è possibile e il Parlamento deve farsi trovare pronto nel tracciare la linea, nell’indicare la prospettiva. Qual è il senso delle nostre azioni future? Qual è il senso del nostro intervento? Cosa succederà dopo? Non dobbiamo più improvvisare, farci prendere dall’ansia del momento e compiere azioni per cui, anni dopo, dobbiamo chiedere scusa. No. Dobbiamo essere finalmente maturi. È arrivato il nostro tempo e non possiamo farci trovare impreparati.

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