Bruxelles
La missione navale anti-scafisti? La solita farsa made in UE
Nei corridoi di Bruxelles qualche diplomatico un po’ cattivo la chiama già «missione light». Difficile dargli torto. Perché la missione navale antiscafisti “EuNavFor Med” (con sede a Roma, sotto il comando dell’ammiraglio italiano Enrico Credendino), il cui lancio ufficiale è stato approvato questo lunedì a Lussemburgo dai ministri degli Esteri dei Ventotto, è poco più che una farsa. L’ennesimo episodio di annunci solenni seguiti da un’attuazione minimalistica cui purtroppo l’Unione Europea ci ha abituato. Una missione che almeno per i prossimi mesi a venire, e forse oltre, da missione militare per fermare gli scafisti si riduce a una mera raccolta di «informazioni» sulle rotte e i traffici di migranti. Punto. Non è un caso se il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni abbia definito la decisione solo un «primo passo». Se ne seguirà un secondo, resterà tutto da vedere.
E dire che l’idea di fondo della missione sarebbe quella di compromettere il «modello di business», per dirla con l’Alto rappresentante per la politica estera Ue Federica Mogherini, dei trafficanti di uomini che si arricchiscono facendo salire su pericolosi barconi migranti in cerca del paradiso in Europa. L’idea iniziale era quella di catturare e distruggere i barconi una volta salvati i profughi, in modo da lasciare i criminali senza mezzi per nuovi, lucrosi, viaggi della morte. Si era parlato – all’inizio, dopo il vertice straordinario sull’emergenza migratoria del 23 aprile – di spingersi fin sulle coste libiche, eliminando le barche prima ancora che partissero. Solo che poi molti, tanti stati membri si sono impauriti – a cominciare dalla Germania, che dal 1945 rifugge come può (con alcune eccezioni, vedi l’Afghanistan) da missioni militari all’estero. Che le cose si mettessero non troppo si era già capito dal fatto che a maggio, prima del via libera politico dei ministri degli Esteri, era già sparita dal piano operativo la parola «destroy» (distruggere) riferita ai barconi, sostituita dal più generico «dispose» (togliere di circolazione). Soprattutto, sono in molti ad aver capito che mandare mezzi militari a ridosso della Libia a distruggere le barche degli scafisti era qualcosa di piuttosto azzardato, al limite di atto di guerra dai dubbi risultati. Non a caso ipotesi iniziali di brevi incursioni di commando militari sulle spiagge libiche per eliminare i barconi sono state spazzate via molto in fretta. “No boots on the ground”, niente uomini a terra, ha precisato più volte la Mogherini. Diciamola tutta: l’Europa ha lanciato proclama senza riflettere a dovere sulle conseguenze e i rischi – altissimi – salvo dover far poi macchina indietro.
Soprattutto, almeno per operare in acque libiche serve una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu – bloccata a New York dalla Cina e soprattutto dalla Russia, che di aiutare gli europei in tempi di sanzioni per la crisi ucraina non ha certo una gran voglia. Oppure, servirebbe il permesso di un governo libico. Peccato che questo non ci sia, visto che la Libia è in guerra civile e ci sono due governi (uno, riconosciuto internazionalmente, a Tobruk, l’altro, non riconosciuto, a Tripoli), mentre la missione dell’inviato speciale dell’Onu Bernardino Leon per riconciliare le fazioni e ottenere un governo di unità nazionale è prossimo al fallimento. E il governo di Tripoli ha già lanciato minacce virulente nel caso qualche nave militare europea si azzardi a operare nei pressi della costa.
A dire il vero, però, anche senza risoluzione Onu una missione navale per il sequestro di barconi avrebbe almeno potuto cominciare ad operare in acque internazionali, come prevede la fase due della missione, appunto la cattura e la messa fuori uso dei barconi in mare (a sua volta divisa in due parti: operazioni in acque internazionali e quelle in acque libiche, che invece richiedono l’Onu). Così avrebbe voluto l’Italia e così pure Mogherini, che nelle riunioni preparatorie ha messo in guardia da una missione «light». Niente da fare: Berlino e vari altri stati hanno colto la scusa dell’assenza di un risoluzione dell’Onu per bloccare la missione alla fase 1, che è quella preliminare, di pura raccolta di informazioni con mezzi navali, aerei, intelligence (al momento partecipano 12 nazioni per un totale di cinque navi, due sottomarini, tre aerei, due droni e tre elicotteri), stoppando del tutto operazioni più «ambiziose», anche là dove non sarebbe necessaria la risoluzione. A Bruxelles varie fonti diplomatiche spiegano che dopo un mese dal varo di questa prima fase 1 (che opererà dal primo luglio) si farà una prima valutazione, la cui preparazione durerà un mesetto. Si arriva così a settembre, mentre per il passaggio alla fase 2 ci vorrà una nuova decisione formale dei ministri degli Esteri, che avrà bisogno a sua volta di preparazione – e, insistono vari stati membri, della famosa risoluzione Onu, a prescindere che sia in acque internazionali o libiche. Per non parlare della fase 3, quella più a ridosso delle coste libiche, che oggi appare ancor più improbabile.
A Bruxelles, insomma, si punta alle famose calende greche, e così da una minacciosa missione militare antiscafisti si è scivolati a una missione semi-fantasma per salvare la faccia. Del resto, anche il grande impegno dimostrato da vari stati per il salvataggio dei profughi nel Mediterraneo – missione a parte – con l’invio di navi militari comincia a sfrangiarsi. Proprio in questi giorni la Gran Bretagna ha ritirato la possente Bullwark per sostituirla con la più piccola Enterprise. Motivo: Londra si è stufata di salvare i profughi e preferisce partecipare piuttosto, appunto, alla «raccolta di informazione». Lo stesso, pare, si accingono a fare le due navi militari tedesche fin qui in prima fila nei salvataggi. Non c’è che dire, le informazioni non mancheranno, che però questo scoraggi gli scafisti è piuttosto dubbio.
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