Bruxelles
Il voto polacco è un pessimo segnale per l’Italia e per l’UE
Alla fine, ha prevalso il nazionalismo.
Non di molto, ma di misura e con ancora strascichi di dubbi sull’effettiva regolarità del voto come riferisce a Reuters l’esponente di Piattaforma Civica (il partito del candidato perdente), Tomasz Siemoniak. Indagini sono in corso e gli osservatori parlano ora di probabili querelle giudiziarie all’orizzonte.
51,2% a 48,8%, così si è conclusa una delle campagne elettorali più aspre della storia recente della Polonia. Il tutto tra scontri verbali, siparietti insoliti come il dibattito TV svolto dai due candidati contemporaneamente in due trasmissioni diverse, e speculazioni su temi di varia portata tra diritti lgbtq+, rapporto con l’Unione Europea e collocazione geo-politica del Paese.
Alla luce di un voto che dipinge su tela il ritratto di una nazione letteralmente spaccata in due, l’unica cosa a rimanere intatta è l’alleanza tutta ad est tra i paesi a guida euroscettica del c.d. blocco di Visegrád.
In un clima surreale, i due candidati si “affrontano” in due studi diversi all’assenza dell’altro
Europa sì, Europa no
Il perdente è Rafal Trzaskowski, ex sindaco di Varsavia, ex eurodeputato ed esponente del centrodestra liberale e cattolico polacco. La sua era un’agenda europeista in netto contrasto con le politiche estere dell’ultimo quinquennio del presidente uscente (ora riconfermato) Andrzej Duda.
Non solo, Trzaskowski si era imposto anche come difensore dei diritti lgbtq+ in evidente contrapposizione – anche qui – con un Duda che invece aveva fatto proprio dell’argomento oggetto di strumentalizzazione, senza mezzi termini, becera e denigratoria.
“Per tutto il periodo del comunismo nelle scuole è stata inculcata ai bambini l’ideologia comunista. Si trattava del bolscevismo. Oggi si tenta di inculcare a noi e ai nostri figli un’ideologia diversa, nuova, una sorta di neobolscevismo”
Andrzej Duda, così, in riferimento alla ideologia gender
Tuttavia la sconfitta di Trzaskowski è tutto tranne che un nulla di fatto. Questo già si è andato delineando dal primo turno delle elezioni presidenziali terminate con un inaspettato 30%. Il secondo turno si è concluso – in negativo – sul filo del rasoio ma, seppur non sia bastato per vincere le elezioni, ha indicato in maniera chiara la strategia futura dell’opposizione polacca. Metà Polonia chiede una maggior collaborazione con Bruxelles e anche se un 1% di differenziale ha portato Duda al trionfo, questo è comunque un messaggio politico da non sottovalutare per la tenuta sociale del paese.
“È necessario affermare che oggi la Polonia è divisa. I politici dovrebbero fare di tutto per tentare di abbassare la temperatura dello scontro”
Michal Dworczyk, capo della cancelleria del premier Mateusz Morawiecki
Focus: tra quali fasce d’età e in quali aree del Paese i candidati hanno preso voti
E’ interessante in questo senso notare i dati relativi ai voti confluiti sui due candidati. Quello che emerge infatti è uno spaccato che ancora una volta ci indica uno spartito simile a quanto già visto nel 2016 nel referendum sulla Brexit e in Italia durante le elezioni europee del Maggio 2019.
Città versus campagne ed un’Europa che è tanto più apprezzata quanto più ci si avvicina ai grandi centri economici e culturali metropolitani.
Allo stesso tempo, anche i dati relativi all’età dei votanti e alle rispettive preferenze in cabina elettorale, presenta forti analogie con quello che fu il Referendum sull’UE nel Regno Unito. In questo caso il confronto è tra fasce più giovani e (sembrerebbe) progressiste e fasce più anziane e (in linea di massima) conservatrici. L’Europa sta tra i primi e perde terreno tra i secondi. Lo si legge tra le righe di una a tratti schiacciante vittoria di Trzaskowski tra le età più basse ed un ribaltamento di fronte a favore di Duda via via che si sale.
La vittoria di Duda è un sospiro di sollievo per Washington e per il blocco di Visegrád
Partendo da Est, la Polonia fin dal 1991 fa parte assieme a Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca del c.d. blocco di Visegrád o V4. Un’unione regionale mai realmente istituzionalizzata ma comunque organizzata sia sulla base di prassi e consuetudini sia attraverso un sistema di rotazione della presidenza del Blocco fra i quattro paesi che lo compongono.
La rilevanza di questo fronte, detta anche fronte dei paesi di Visegrád, è risultata fondamentale in ambito Europeo. In particolar modo è avvenuto per ciò che riguarda l’emergenza migratoria che dal 2015 riguarda l’Europa. E’ in questo frangente infatti che l’unione e l’intesa fra le quattro nazioni ha svolto un ruolo – per loro – fondamentale nel respingere le istanze della passata Commissione Junker riguardo all’applicazione di un sistema di ricollocazione dei migranti sbarcati tra Grecia e Italia.
Questo genere di blocchi ha messo in luce tutti gli spigoli di un sovranismo a matrice balcanica che dentro i confini raccoglie consensi, critica aspramente l’Unione Europea ma non manca di riscuotere denaro e risorse da Bruxelles, spesso anche in misura ampiamente maggiore rispetto a quanto versato. Basti pensare che nel 2017 la Polonia ha ricevuto da Bruxelles quasi 12 miliardi di euro e ne ha versati appena 3. Discorso analogo vale per l’Ungheria.
…le ripercussioni
Da un lato è vero che le azioni dei quattro paesi non sono passate senza lasciar traccia in ambito europeo e tutte (a eccezione della Slovacchia) sono state sottoposte ad una procedura di infrazione spesso minacciata ma mai intrapresa prima da parte dell’UE. Altrettanto vero però è che questo non ha scoraggiato il Blocco a mantenere le proprie posizioni e anzi, in qualche modo, ad inasprirle.
Si fa rimando in questo senso ad altre procedure di infrazione intraprese sia contro l’Ungheria sia contro la Polonia. La prima, in seguito a un rapporto che indicava il governo di Budapest come responsabile di violazioni di diritti dei migranti, violazioni alla libertà di stampa e conflitto di interesse. La seconda invece a causa di una controversa riforma del sistema giudiziario da parte di Andrzej Duda che ha comportato il pensionamento anticipato di ben 27 giudici della Corte Suprema contrari al Presidente.
…e gli States
Andrzej Duda (a sinistra) assieme a Donald Trump (a destra). Da EuropaToday.
E Washington? La lontananza di Duda da Mosca e la sua vicinanza a Washington sono riassumibili in un fatto istituzionale non secondario. Proprio poco prima del secondo turno delle presidenziali, il presidente polacco è volato nella capitale statunitense per essere ricevuto personalmente da Donald Trump.
E’ stato il primo presidente a farlo dopo il lock-down. Risulta quindi agevole da qui delineare lo stretto rapporto che intercorre tra la Polonia e quegli Stati Uniti che, in una visione geopolitica, considerano strategica l’alleanza del blocco di Visegrád come cordone sanitario tra Mosca e Bruxelles.
Le ripercussioni per l’Italia e per l’UE
L’esito della consultazione elettorale è una doccia fredda – seppur tutt’altro che inattesa – per l’Unione e per il nostro paese.
Da un lato la prima vede consolidarsi al potere il PiS (Libertà e Giustizia, il partito che esprime Duda). Esso negli ultimi anni non solo si è posto in aperto conflitto con l’Europa in quanto a collaborazione ed al rispetto dei requisiti necessari per far parte del’UE ma ha anche incoraggiato e stretto alleanze politiche con i partiti e gli esponenti euroscettici di mezza Europa (per l’Italia non solo Matteo Salvini ma anche Giorgia Meloni che dopo il voto si è congratulata con il presidente polacco).
Le ripercussioni per l’Italia sono invece da leggere soprattutto nel breve periodo. In particolar modo, rispetto al Consiglio europeo che si svolgerà presto tra i capi di Stato per discutere di misure ritenute – dall’attuale governo italiano – fondamentali per la ripresa economica: Recovery Fund e Next Generation EU. In questo frangente si assiste ad un braccio di ferro non indifferente. Da una parte i Paesi del sud-Europa (oltre all’Italia il Portogallo, la Spagna ma anche la Francia e la Germania); dall’altra quelli del Nord (Olanda in testa) restii a quelle che ritengono essere misure ad unico beneficio del Sud, come il nostro.
E’ in questo senso che una vittoria europeista in Polonia avrebbe potuto “facilitare” (ma il condizionale è comunque d’obbligo) un buon esito in seno alle trattative.
La riconferma nazionalista invece preclude in principio questa possibilità.
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