Bruxelles
Il tortuoso sentiero di Tsipras verso Berlino, tra successi e diffidenze
La situazione politica e mediatica in cui si trova Alexis Tsipras rappresenta realmente una delle posizioni più anomale che siano state mai analizzate negli ultimi anni. All’indomani del primo passo di un lungo cammino, la Grecia torna dal faccia a faccia con l’Eurogruppo chiudendo un buon pareggio in trasferta e districandosi nella selva d’insidie propagandiste che piovono da tutti i lati. D’altronde le scale di valori sono quelle che sono, e la Grecia da paese insolvente ha raccolto il massimo, considerando questo come un primo incontro settato per prendersi il tempo necessario. In fondo Varoufakis più volte ha detto che alla Grecia serve tempo, come ribadito anche in un’intervista rilasciata al New York Times, lo scorso 16 febbraio: «Il nostro governo non sta chiedendo ai suoi partners una via d’uscita per non ripagare i propri debiti-scrive il ministro ellenico- Noi stiamo chiedendo alcuni mesi di stabilità finanziaria che ci consentano di intraprendere il piano di riforme che la maggioranza del popolo greco può condividere e supportare, così da poter tornare a crescere e a essere nuovamente in grado di ripagare i nostri debiti».
In virtù di questo e in virtù di ciò che l’accordo Ue-Grecia con relativa presentazione del programma ha scatenato nella variopinta stampa internazionale prima, durante e dopo la concertazione. Noi vorremmo fare un po’ di ordine e provare a disporre le cose seguendo un criterio logico:
L’accordo
Partiamo subito dicendo che l’intesa è nata soprattutto a livello politico, prim’ancora che economico. Questo perché sono in molti a pensare che siano sempre i conti a comandare -e in effetti in parte è così, perlomeno negli ultimi trentacinque anni. Quando però ci si trova in negoziati così difficili in cui si incontrano parti non paritarie e con posizioni molto distanti, la prima cosa da utilizzare è la politica, proprio per livellare il discorso e fare in modo di prepararsi alla vera e propria concertazione economica. Ecco perché l’accordo è da considerare un buon punto di partenza: Syriza ha ottenuto da Bruxelles riconoscimento politico e credibilità. Un passo fondamentale per iniziare la prossima riunione con più fiato alle proprie richieste, e soprattutto un segnale importante per un discorso più ampio che poi avremo modo di riprendere.
I punti di Tsipras e Varoufakis vertono su quattro principali temi: lotta alla corruzione e alla grande evasione; deregulation e tagli dei costi in politica; riforma del pubblico impiego; privatizzazioni. Cifre poche, per ora. La Bild parla di 2,5 miliardi ricavabili dalla lotta all’evasione dei magnati greci – quelli che hanno contribuito a creare la voragine come si racconta qui– e di 2,3 miliardi ricavabili dalla lotta al contrabbando. Toccando un altro punto, il Corriere parla di rimozione da parte dell’Eurogruppo dei target di surplus -3% per il 2015 e 4,5% per l’anno venturo, giudicati da Atene incompatibili per poter iniziare a crescere.
Oggi il progetto verrà ulteriormente arricchito, ma è ad aprile che l’esecutivo Tsipras dovrà presentare un documento definitivo per farsi accettare il programma di ripresa: insomma, per le faccende tecnicamente economiche c’è tempo, l’importante è iniziare con un passo diverso. Tsipras all’indomani dell’incontro ha così dichiarato che la Grecia «ha vinto una battaglia, non la guerra» e che «i negoziati più difficili ancora ci attendono», rimarcando però la netta presa di distanza dai precedenti governi, soprattutto l’esecutivo Samaras (ma non solo): «Ieri abbiamo cancellato i loro piani. Abbiamo salvato la dignità della Grecia, tenendola in piedi» ha detto il premier greco, aggiungendo come «questo sia un giorno più importante per l’Europa che per la Grecia» perché l’Europa «è il luogo del negoziato, non delle esecuzioni, dell’obbedienza o della punizione».
La stampa
Qui entriamo in un ascesso purulento. Diciamo che durante questi giorni da più pulpiti sono arrivati giudizi piuttosto netti su Tsipras, tra imprecisioni tanto sconcertanti da lasciare più di un dubbio –come spiega bene qui Umberto Cherubini– e chiromanzie dell’economista Fratini durante il Tg Cronache di La7, sabato scorso, ove già si annunciava con particolare sicumera “una resa di Tsipras”, senza sapere in base a quali criteri.
All’indomani dell’incontro -e dell’accordo- tutti i principali quotidiani decidono di uscire con le dichiarazioni del 92enne ex partigiano Manolis Glezos che indica Syriza come una delusione, addirittura «chiedendo scusa al popolo greco per le mancate promesse». Glezos nonostante il suo glorioso passato non è certo una voce politica altisonante o particolarmente rappresentativa in Grecia. Oltretutto non si capisce da dove nasca tutta questa improvvisa passione delle redazioni (TUTTE) per i partigiani. Per intenderci, capisco Il Manifesto, capivo l’Unità, posso provare a comprendere il Fatto, ma che Tgcom, Libero, Giornale escano inneggiando all’ex partigiano greco mi sembra cosa assai improbabile, per la serie “cosa si è disposti a fare pur di”. La notizia d’altronde è una, le dichiarazioni sono due frasi, e il copia-incolla è feroce, risultato? Tutti appresso al 92enne ex partigiano: “Tsipras si è piegato”. Intanto Tsipras ha risposto a Glezos con un laconico «è poco informato sugli sforzi».
Per carità i quotidiani più istituzionali non sono gli unici a trattare in maniera curiosa la notizia dell’accordo: voci di dissenso si levano anche dall’altra ala, quella dell’antieuropeismo conditio sine qua non, quello di Soros e dei poteri forti, delle metafore e delle piazzate di Barnard con i suoi riferimenti al nazismo, tra l’altro sempre gli stessi: “abbiamo una pistola alla tempia”, “camere a gas”.
Quel che sconcerta è però il totale appiattimento di idee, conoscenze e opinioni, sia dal pulpito pro-Eurogruppo, sia da quello “rivoluzione e poi non lo so”: due concetti spalmati in ogni dove. Fortunatamente internet ci ha dato la possibilità di valicare i confini e avventurarci in edicole estere, ove si possono trovare articoli esaustivi come quello di Shawn Tully sul Fortune, in cui viene intervistato l’economista James Galbraith che racconta una settimana insieme al ministro delle finanze ellenico Varoufakis. Questo per seguire la classica usanza anglossassone dello “spend a week with” prima di realizzare un focus. Nel pezzo Galbraith, amico di Varoufakis pur avendo estrazione “dottrinale” differente, evidenzia proprio in Angela Merkel l’asso nella manica per Tsipras: «Sta tutto nelle mani di Merkel» dice James Galbraith, anche perché «abbiamo sentito dal ministro delle Finanze che prende una posizione negativa, e dal suo vice cancelliere che vuole parlare. L’unica persona che ancora non abbiamo ascoltato è Merkel. Sappiamo che lei non parla fino a quando non sarà necessario. Fanno i duri ad oltranza, questo per poter fare una concessione all’ultimo minuto, in modo da non doverne fare due», anche se secondo Galbraith il Merkel-dilemma e con esso la più rosea speranza per un compromesso finale che cambi l’Europa prima della Grecia si riassume in una domanda piuttosto semplice: «Merkel vuole essere la persona che presiede la distruzione della zona euro?»
Questo sarà soltanto il tempo a dircelo. Per ora la piccola Grecia ha ancora da superare diversi ostacoli, a iniziare da discutibili convinzioni apparse nei giorni scorsi sulla Bertelsmann Stiftung. Prima di approfondire le dichiarazioni chiariamo che la Bertelsmann Stiftung è una fondazione no profit che si occupa di contenuti editoriali sulle più varie discipline a livello internazionale, fondata da Reinhard Mohn, ricchissimo affarista tedesco dal passato un po’ ambiguo ma dalla vocazione profondamente europeista e orientata alla cooperazione transatlantica. La fondazione non solo detiene il 77% delle azioni della Bertlesmann -multinazionale tedesca che opera sui media- ma monitora attraverso personali graduatorie “l’indice di democrazia” e l’indice di riformismo di ogni paese dell’area, organizzando anche convegni annuali sul debito globale a cui partecipano anche Djisselbloem e Schaeuble.
Ecco, proprio Schaeuble in un articolo uscito sulla suddetta piattaforma cinque giorni fa elogiava il Portogallo, dicendo che il piano di salvataggio triennale imposto ai lusitani è “ha funzionato”, facendo eco al ministro portoghese Albuquerque che consigliava ai greci “di essere un partner credibile”. Insomma, accennando ai discorsi di Schaeuble potremmo dire che la Troika -ossia “il piano di salvataggio”- ti salva dalla Troika stessa ma non dall’austerity, che è altra cosa ed è provocata anche dalla Troika. Dunque se il Portogallo ha chiuso i conti con i salvataggi non vuol dire che abbia superato l’austerità, cosa che, come emerge dai dati provenienti da Lisbona, infatti non è ancora accaduta.
Italia
Al di là del chiosco dell’edicola, come hanno reagito gli italiani alla prima riunione di ieri? Risposta: nessuna reazione, ma adeguamento. E soprattutto, similitudini. Questo paese d’altronde soffre da decenni di una grossa anemia da politica estera, e giocoforza si è tesi sempre a traslare realtà di altri paesi tentando di sovrapporle alla nostra. Questo non per capriccio, ma proprio perché si ha bisogno di modelli conosciuti, prima di esprimere un giudizio. E allora via al “Tsipras è come Renzi perché si piega al volere dell’Eurogruppo”, dimenticando che Syriza non è il Partito Democratico -paragonabile invece ai socialisti europeisti del PASOK- ma un partito molto meno legato all’establishment e molto più legato al ventre degli elettori. Da qui parte il secondo assunto: “Tsipras è come Grillo perché si è sciolto sul più bello”, mescolando orrendamente realtà che poco si assomigliano, ma soprattutto che incidono in maniera nettamente differente. Tsipras infatti è il capo di una coalizione che governa un paese con una buona maggioranza, che ha eletto un Presidente della Repubblica e che nel giro di un mese è andata a trattare con l’Europa, ricavando un compromesso impensabile fino a un anno fa. Insomma, due parabole un po’ diverse.
Conclusioni
Evidente è che conclusioni vere e proprie non possano esserci, visto il lungo cammino che attende la Grecia in questa primavera. Decisivo aprile, decisivo giugno. Una dinamica però è da sottolineare: Tsipras fa sul serio, e questo al netto di pettegolezzi e supposizioni, è innegabile. In 30 giorni il duo Varoufakis-Tsipras ha fatto ciò che vari governi italiani non sono riusciti a fare in decenni: riformare dapprima un’opposizione credibile per evitare l’emorragia a destra -leggi Alba Dorata-, affrontare una campagna elettorale, una tornata, una anzi due formazioni di governo e nominare un nuovo Presidente, dopodiché trattenere il respiro e iniziare il viaggio tra i consensi sussurrati e gli sguardi diffidenti, tra gli imperativi categorici dei colossi e l’alternanza dei pavidi possibili alleati -leggi Italia, leggi Francia, leggi Spagna– ancora troppo servizievoli all’ala conservatrice per poter offrire garanzie. Al centro, il ruolo di Angela Merkel come possibile mediatore . Strano pensare che proprio il politico straniero più odiato in Grecia possa essere una risorsa, come è strano pensare che la politica stia lentamente riacquistando potere decisionale a spese della finanza. Strano pensarlo, in un mondo che sembrava già delineato dopo i Trattati del 2007. Ci voleva la piccola Grecia di Tsipras a suggerire un piccolo laboratorio per l’Europa che potrebbe essere, o che sarà. D’altronde la Grecia fu un laboratorio anche nel 1967, è che a occhio e croce, tra i due, ci convince più questo.
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