Bruxelles
I ricercatori italiani al secondo posto per le borse di studio Ue
Tra i contratti di ricerca assegnati dalla Commissione europea gli “Erc Consolidator Grants” gli italiani seguono i tedeschi. Sinonimo di una eccellenza che sa farsi riconoscere nel nostro Paese e soprattutto all’estero
L’Italia compie un prestigioso salto di qualità in termini di riconoscimenti esteri sulla ricerca. Infatti, a seguito dell’assegnazione annuale degli Erc Consolidator Grants, gli autorevoli contratti di ricerca assegnati dalla Commissione europea, gli scienziati italiani si aggiudicano il secondo posto dopo quelli tedeschi, per numero di “borse” ottenute sia in Italia che all’estero.
Ancora, quest’anno, la novità riguarda il fatto che i finanziamenti chiesti ed ottenuti dai laboratori italiani, sono 21, a fronte degli 11 dello scorso anno.
Guida la classifica nostrana, la veneta Ca’ Foscari, con quattro contratti, poi l’Università di Trento con due riconoscimenti, seguita dagli atenei di Padova, Bologna, Pisa (Ssnt’Anna), e Cagliari, che ne ottengono uno a testa. Milano, invece, tra Statale, Bicocca, Politecnico, Human Technopole e Vita e Salute San Raffaele, vede assegnarsene ben 5.
I ricercatori italiani, quindi, si confermano tra i migliori d’Europa, superando francesi e inglesi, seppur poco facilitati a realizzarsi nel nostro Paese, a causa di una insufficienza cronica dei fondi di finanziamento e costretti a guardare all’estero come approdo più sicuro.
Delle 21 borse di studio erogate in favore dell’Italia, però, 5 sono state vinte da ricercatori di altri Paesi, segno di come, nonostante mille difficoltà, le nostre università non esportino solo cervelli, ma riescano anche ad importarne.
Gli Erc consolidator grants consistono in finanziamenti destinati a ricercatori esperti, ovvero che abbiano concluso il loro dottorato da non meno di 7 anni, per un investimento che può raggiungere i 2 milioni di euro. A fronte di 2.222 domande, solo 321 ne sono state accettate. Di sicuro, la scarsità di fondi che l’Italia riserva ogni anno alle attività di ricerca, rappresenta un deterrente enorme rispetto al resto della Ue. Nel nostro Paese, solo l’1,5 % rapportato al Pil è accantonato per i ricercatori, mentre il Regno Unito ne impiega l’ 1,7%, la Francia il 2,2% e la Germania, addirittura, il 3,1%.
Un dato da tenere, ad ogni modo, in debita considerazione, riguarda la presenza femminile all’interno dei 321 finanziamenti assegnati dalla Commissione europea. Troviamo 112 donne coinvolte e 208 uomini. Nello specifico, in Italia, abbiamo 7 donne su 21 progetti di ricerca. Appare evidente, perciò, come si debba ancora fare molto in una ottica di parità di genere anche nella ricerca.
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