Bruxelles
Bruxelles: 19 comuni per una sola emergenza sociale
Bruxelles è una capitale europea che, nel bene e nel male, tradisce molti canoni delle capitali. Dimensioni tutto sommato ridotte, distanze umane e ritmi non frenetici, tanto nel lavoro quanto nelle abitudini quotidiane. Ma Bruxelles è anche la capitale del Belgio, un paese che ha fatto delle complicazioni burocratiche e della moltiplicazione dei livelli amministrativi la sua caratteristica. Questa confusione si riverbera su molti piani, e mostra i suoi effetti ogni volta che c’è un problema che necessita di risposte rapide o che bisogna programmare nel lungo termine (proprio qualche settimane fa i leader di molte aziende hanno firmato un appello affinché il Belgio elabori una strategia a lungo termine su molti settori chiave).
Amministrativamente parlando, infatti, Bruxelles è una regione, suddivisa in 19 comuni, ognuno con le sue competenze in urbanistica, polizia, assistenza sociale e altro. Il risultato è che la differenza tra le diverse aree della capitale è molto più forte che altrove, e non è facile mettere a punto piani organici per la gestione del disagio sociale. In molte aree, ad esempio, i senzatetto sono una presenza costante, al punto che alcuni di essi hanno praticamente postazioni fisse, e d’inverno i bancomat al chiuso diventano comprensibilmente rifugi notturni. Inoltre, esiste una forte separazione tra i diversi gruppi etnico-sociali in base alle aree di residenza: come dimostrano queste mappe la città è sostanzialmente spaccata in due, con la parte nord abitate da persone con background africano o arabo, e la parte sud dove vivono i belgi da generazioni o gli expats europei.
Poche storie esemplificano la mancanza di una gestione unitaria a Bruxelles quanto il caso recente della Gare du Nord. La stazione e la zona limitrofa sono da mesi divenuti luoghi di stazionamento di immigrati arrivati da poco nel paese e di senza tetto che non trovano riparo strutture di accoglienza. Nella situazione di disagio che si è venuta a creare, si sono diffuse nel quartiere malattie come la scabbia, e sono aumentati i piccoli furti e gli attriti tra i migranti e gli utenti della stazione. A causa di ciò, gli autisti della De Lijn, la linea di bus per il trasporto locale, hanno manifestato preoccupazioni per la loro incolumità. Come risultato, i sindacati degli autisti hanno dato indicazione di non usare più il terminal della Gare du Nord per le fermate, spostando il punto per la raccolta dei passeggeri (e lasciando inalterata ovviamente la situazione in stazione, che così si trova a essere ancora più isolata). Gli autisti hanno messo in atto questa forma di protesta per la seconda volta da novembre, quando la Regione di Bruxelles ha espresso l’intenzione di risolvere la situazione, ma senza intraprendere azioni specifiche. Nei giorni seguenti, il sindaco di Schaerbeek (il comune dove si trova la stazione) ha annunciato una verificare per accertare la presenza di malattie, mentre alcuni reporter sono stati aggrediti mentre filmavano la zona.
La scorsa settimana, gli autobus hanno ripreso a effettuare il normale servizio, e la polizia sta intensificando il controllo dell’area. Molti senza tetto vengono attualmente trasferiti in centro di accoglienza che però, spesso, non hanno gli strumenti per far fronte alla mole di richieste. La situazione è resa più complicata dal fatto che nei pressi della zona sorgono Maximilian Park e il Boulevard Re Alberto II, divenute anche queste zone di accampamenti arrangiati, ma che rientrano nel comune di Bruxelles Ville. Negli ultimi giorni, molti senza tetto cacciati dalla Gare du Nord trovano rifugio in questi posti. Di fatto, quindi, il problema si trasferisce semplicemente da un comune all’altro, e il sindaco di Bruxelles Ville, Philippe Close, non ha attualmente dichiarato cosa intende fare per intervenire in questo scenario.
Di fronte a questa situazione, dove la confusione amministrativa sta giocando un ruolo non secondario, è lecito sollevare più di un’obiezione rispetto a una divisione del territorio che mostra continuamente limiti, e che tende a complicare ulteriormente i problemi che la capitale si trova ad affrontare.
Eppure, proprio qualche giorno fa, uno studio pubblicato dall’Università di Lovanio, nelle Fiandre, sosteneva che unire i 19 comuni non porterebbe vantaggi. Tra le motivazioni, tra l’altro, si legge che è utile mantenere una concorrenza tra comuni in materia di servizi (un meccanismo che in realtà tende a far spostare i residenti lì dove se lo possono permettere, e non solo per via degli affitti come succede ovunque), evitando quindi che i comuni più ricchi debbano aumentare le tasse locali per sostenere spese sociali che crescerebbero in caso di accorpamento dei comuni, dato che la composizione sociale diverrebbe più stratificata, favorendo l’emigrazione di alcuni cittadini verso i centri limitrofi extra-bruxellesi.
Di fronte a situazioni del genere, però, la struttura amministrativa si dimostra incapace di una gestione adeguata e la scala degli enti inevitabilmente si rivela troppo piccola per le dinamiche in atto in una città che, pur nella divisione amministrative, costituisce pur sempre una realtà unitaria per quanto eterogenea. Serve a poco quindi sostenere l’utilità di chiudersi nei quartieri (perché questo, di fatto, sono i comuni bruxellesi) di fronte a un disagio sociale che spesso si fa intenso e non si ferma certo al cambio dei codici postali. In effetti, il punto è proprio se Bruxelles vuole o meno combattere questo disagio.
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